giovedì 28 novembre 2013

La Biblioteca Classica di Raffy: Come on Barbie, let's go party!

 
La cantante degli Aqua non è stata la prima norvegese a dichiarare di sentirsi una Barbie girl. Prima di lei c'è stata Nora Helmer, la protagonista di Casa di bambola (Et dukkehjem)*, il dramma ibseniano che ha scosso le fondamenta della borghesia europea di fine Ottocento, un terremoto il cui epicentro è un insospettabile, sobrio salotto di Oslo. Qui fa ritorno canticchiando la padrona di casa, stanca ma felice, dopo un'estenuante mattinata di shopping natalizio.
Immaginate il freddo che si porta addosso. Si sfrega le mani e, senza neanche togliersi il cappotto, ritorna ad ammirare con febbrile entusiasmo i regali che ha comprato. "Gorgheggia lì fuori l'allodola?" domanda dallo studio la voce dell'avvocato Helmer, suo marito. "Proprio così" trilla Nora, aprendo un paio di pacchetti. "Quand'è venuto a casa lo scoiattolo?" chiede ancora Helmer, senza staccarsi dalla scrivania. "In questo momento" squittisce lo scoiattolo, poi rosicchia in tutta fretta un dolcetto, nasconde l'incarto e lo chiama, senza trattenere l'eccitazione: "Torvald, vieni a vedere i miei acquisti."
Innanzitutto, per noi gente di mare... Mediterraneo, che siamo abituati a immaginare i nordici come algidi e austeri, fa un po' strano sentir parlare un norvegese come Ned Flanders, un "trottolino amoroso" tutto "pucci pucci." Ci saremmo aspettati i ghiacci perenni, non certo la ghiaccia reale.
Ciò che più non convince di queste prime battute, però, è che a pronunciarle siano un marito e la madre dei suoi figli. Torvald la vezzeggia, la rimprovera bonariamente per le spese eccessive, la coccola, le lancia occhiate torve quando esagera con i dolcetti, fa sfoggio di un melenso campionario di nomignoli ornitologici, e infine cede ai suoi capricci perché gli spezza il cuore vederla col broncio. Il loro si direbbe piuttosto un rapporto padre-figlia. Quasi non ci sorprenderemmo se Torvald la lasciasse ballare sui suoi piedi come farebbe un papà.
Nora, d'altronde, è perfettamente a suo agio nel ruolo di moglie-bambina: per lei la felicità è rivestita di glassa, o morbida come pelliccia di visone, se non tintinnate come un borsello pieno di corone da spendere.  Leziosa e civettuola, dei bambini ha anche l'egoismo e la spontaneità quasi brutale. Non si rende nemmeno conto (o forse sì?) di sbattere in faccia la sua felicità alla sua vecchia amica di scuola, ridotta sul lastrico, vedova e senza nemmeno il conforto dei figli. E al dottor Rank, l'amico di famiglia palesemente invaghito di lei, dispensa sorrisi e dolci colpetti inferti con le sue nuove calze color carne (ci manca solo lo spogliarello in stile Sofia Loren), del tutto inconsapevole delle emozioni che innesca.
Il salotto degli Helmer è "arredato con gusto, ma senza lusso." Non ci saranno dunque divani leopardati o tappeti zebrati, ma è a tutti gli effetti una giungla. E la prima, fitta, foresta pluviale che ha preso possesso della casa è senza dubbio quella dei sentimenti, un groviglio inestricabile. A partire dai disequilibri della coppia.
In occasione di un ballo in maschera, Nora si veste da napoletana e fa arrossire tutti gli uomini presenti esibendosi in una provocante tarantella, finché Torvald la rapisce e la trascina di peso a casa, non vedendo l'ora di dedicarsi ad altri, più intimi, balli di coppia: "E' pur bello trovarsi di nuovo fra le proprie pareti... solo con te. Oh, creatura mia deliziosa e cara!"
"Torvald, non guardarmi così!" protesta debolmente Nora.
"Non dovrei guardare il mio bene più caro, guardare tutto lo splendore che mi appartiene, tutto mio, soltanto mio? [...] Sai, quando sono in società con te, sai perché ti parlo così poco, ti sto lontano, ti mando solo ogni tanto un'occhiata di soppiatto? Sai perché faccio così? Perché mi figuro che tu sia la mia amante segreta, la mia segreta sposa e che nessuno immagini come fra noi due ci sia un segreto. [...] E quando poi stiamo per allontanarci e io avvolgo nello scialle le tue spalle giovani e tenere, questo tuo collo meraviglioso... mi figuro allora che tu sia la mia giovane sposa e che stiamo uscendo dalla chiesa, che ti porto per la prima volta in casa mia, che sono la prima volta solo con te... solo, solo con te, mia giovane bellezza tremebonda! Tutta questa sera ti ho desiderata. Quando ti ho visto turbinare, così seducente, nella tarantella, mi sono sentito ribollire il sangue; non ne potevo più... e perciò ti ho riportata a casa così presto..."
Torvald, portavoce della borghesia emergente, classe sociale che si fregia orgogliosamente del diritto alla proprietà privata, rivendica in questi termini il possesso di sua moglie. Con una confessione che mette i brividi, trasforma l'incontro nel talamo nuziale da scambio d'amore tra marito e moglie, che è quanto di più legittimo possa esserci, in uno squallido segreto. Dichiara, in altre parole, di vivere la sessualità come una quotidiana violazione, il perpetrarsi giornaliero di un rito sanguinoso, la rievocazione della prima, traumatica notte di nozze. Niente lo attrae di più che vedere Nora "giovane" e "tremebonda", candida sposa ancora immatura e indifesa.

Luce del sole in salotto. Con i suoi malinconici grigi e i colori slavati, il danese
Vilhelm Hammershøi (1864 - 1916), riesce nell'impresa impossibile di ritrarre il silenzio.
Sulla gaia atmosfera natalizia, sull'apparente serenità degli Helmer, però, è già calata un'ombra minacciosa. Il salotto, simbolo di comodo conformismo, è a un passo dall'esplodere e vomitare la sua imbottitura di piume.
Nora, che non perde occasione per sbandierare ai quattro venti la sua felicità, decide, non contenta, di metterla alla prova. Se la Tristana di Galdós non vedeva l'ora di scappare dalla torre in cui l'aveva relegata il suo tiranno, Nora non si ribella al suo "padre-padrone", anzi, vuole saldare ulteriormente questo vincolo con una sfida alquanto pericolosa: contrae un debito illecito con un brutto ceffo per salvare il sedere a Torvald, ma nasconde tutto al consorte, provando così l'ebbrezza della responsabilità. Per lei, però, questo non è che l'ennesimo gioco infantile: giocare a mandare avanti la baracca, a "portare i pantaloni", la pretesa narcisistica di "salvare" il suo Torvald.
Ma quando il procuratore Krogstad la ricatta, mettendo in dubbio la legalità del debito, la "bambola" non tenta di difendersi. Al contrario, confessa il suo reato: aver falsificato la firma del padre. Arma il suo nemico, sicura del fatto che suo marito interverrà prontamente a toglierla dai guai. Non dubita neanche per un istante che Torvald si prenderebbe una pallottola pur di non far torcere un capello alla sua "lodoletta". D'altronde lui gliel'ha fatto credere in tutti i modi, giurandole di esserci sempre per lei, accada quel che accada: "Cerca di riprenderti e di ritrovare l'equilibrio, mio spaventato uccellino canoro. Riposa tranquillamente. Ti coprirò con le mie ali forti. [...] ti terrò come una colomba inseguita che io abbia strappato agli artigli assassini dello sparviero."
Ma a Torvald non funziona il Bat-segnale, proprio ora che c'è bisogno di lui.
Nora, che fino a cinque minuti prima era stata il suo "uccellino canoro", una volta scoperte le carte, diventa una "Disgraziata... cos'hai fatto? [...] Hai distrutto tutta la mia felicità! Tutto il mio avvenire hai annientato. E' orribile solo a pensarci. Sono nelle mani di un uomo senza scrupoli..." E quando, ormai calata nel ruolo della vittima tragica, Nora si dichiara disposta a suicidarsi per espirare la sua colpa, il marito le grida di farla finita con le sceneggiate napoletane e, rivelando un cinismo disarmante, considera ad alta voce che il suicidio della moglie le impedirebbe di scagionarlo da ogni accusa di complicità.
Tuttavia il reato, tutto sommato, non è niente di ché: una firma falsa... capirai! Non parliamo mica di frode fiscale o favoreggiamento della prostituzione minorile (ogni riferimento è casuale). Chi non ha giustificato un'assenza a scuola copiando la firma della mamma?
Di fatti si riesce in poco tempo a trovare un compromesso che metta a tacere il ricattatore. E' tutto a posto, ora: nessuno minaccia di cantare.
"Sono salvo, Nora, sono salvo!" è la ridicola esclamazione di Torvald, dopo aver temuto il peggio. "E io?" pigola lei. "Anche tu, beninteso. Siamo salvi tutti e due, tu e io."
Ma non si è accorto che ormai non esiste più nessun "tu e io."
La delusione di Nora è devastante come una doccia gelata. A dicembre. In Norvegia.
La donna non può fare a meno di ripensare a tutte le volte in cui lui le ha fatto credere di essere sempre pronto a difenderla a spada tratta. Per otto anni di matrimonio l'ha fatta sentire la sua Lois Lane. Nel momento del pericolo aveva sempre creduto di vederlo sfrecciare in suo soccorso: "E' un aereo? E' un uccello? No, è Torvald!"
Ed ora è tutto finito. La tremula colombella scopre che il suo nido non è affatto ben sorvegliato come pensava. Che è sempre stata un canarino chiuso in gabbia. Che papà pellicano non si prenderà la briga di vomitarle cibo nel becco come aveva promesso.
Adesso la "lodoletta" si vede costretta, non senza un certo fastidio, a provvedere personalmente a se stessa, a volare con le proprie ali. Di fronte all'esasperante incapacità del sesso forte di mantenere il controllo e gestire il ruolo di comando che si arroga, Nora comprende di doversi rimboccarsi le maniche: chi fa da sé fa per tre. Non vorrebbe essere indipendente, pensa ancora che sia molto più comodo ottenere tutto ciò che vuole sfarfallando le ciglia e giocando coi bottoni della giacca del marito, ma stando così le cose non ha altra scelta che emanciparsi. Non è ancora una vera femminista, ma le tocca la rogna di interpretarne la parte, abituata com'è, dopotutto, ad indossare un travestimento dopo l'altro: da quello da bambola a quello da popolana napoletana, dalle vesti di mogliettina devota a quelle di femminista improvvisata.
"Tu non pensi e non parli come l'uomo di cui possa essere la compagna. Svanita la minaccia, placata l'angoscia per la tua sorte, non per la mia, hai dimenticato tutto. Ed io sono tornata ad essere per te la lodoletta, la bambola da portare in braccio. Forse da portare in braccio con più attenzione perché t'eri accorto che sono più fragile di quanto pensassi. Ascolta, Torvald. Ho capito in quell'attimo di essere vissuta per otto anni con un estraneo. Un estraneo che mi ha fatto fare tre figli... vorrei stritolarmi! Farmi a pezzi! Non riesco a sopportarne nemmeno il pensiero!"
"Capisco. Siamo divisi da un abisso" bela Torvald, che non solo avrà un due di picche, ma si sveglierà l'indomani solo e con i postumi di una sbronza. "[...] Ma io ho la forza di diventare un altro."
"Forse, quando non avrai più la tua bambola" è la fredda risposta di Nora, prima di uscire di casa e lasciare tutto e tutti.
A questo punto, la bambola ribelle, antepone la propria individualità al suo ruolo di moglie e madre. E tanti saluti.
L'eco di quella porta chiusa con veemenza è il tuono che annuncia il temporale. Se non all'alba, assistiamo quantomeno all'aurora del femminismo.


 Anche le più banali scene di vita domestica, nella pittura di Hammershøi, si
 tingono di un enigmatico senso d'attesa, lasciando che le domande di chi guarda
restino aperte, come le porte oltre cui si perde lo sguardo di questa donna.
Quelle che vi ho proposto in un questo speciale non sono ancora storie di rivalsa, ma esercizi di femminismo, prove generali, primi, meccanici passi lungo la strada in salita della parità tra sessi. Ma si sa, sono proprio i primi passi quelli più difficili.
Per ogni Nora che va via di casa sbattendo la porta con la mezza idea di ritornare, c'è stata qualcun'altra che non ha fatto più ritorno. Per ogni Tristana che sogna di vivere del proprio lavoro ma poi rinuncia ad ogni sua ambizione, c'è stata qualcun'altra ce l'ha fatta.
Dopo aver nascosto una bomba ad orologeria in ogni tranquillo focolare d'Europa, quello che Ibsen e Galdós hanno rappresentato, oltre al femminismo acerbo delle loro protagoniste, è il clamoroso fallimento dell'uomo, la meschinità del "sesso forte."
Ancora oggi si pensa solo a quale tavolo sistemare la donna, a quale posto riservarle, senza mai scomodare più di tanto il maschio alfa. Non ci si dovrebbe preoccupare anche di riscrivere la definizione di virilità, una definizione moderna, che non sia in latino e scolpita sulla pietra o che non sia fatta di grugniti da cavernicoli?
Sembrerebbe che tutto ciò che facciamo, invece, sia solo litigare per il lato del letto in cui preferiamo dormire.

* Bibliografia: Casa di bambola di H. Ibsen, traduzione di Ervino Pocar e introduzione di Roberto Alonge, Oscar Mondadori, Milano 2012. 

10 commenti:

  1. Come al solito bellissimo, profondo, eppure niente affatto pesante!

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    1. Grazie! *____* Sono contento che ti sia piaciuto, avevo proprio il terrore che fosse noioso! E' un dramma che ho sempre adorato e quel giorno non ero riuscito a spiegarvi bene perché... :D

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  2. Un'analisi perfetta! Nel suo gioco a portare i pantaloni, secondo me, Nora vuole essere scoperta, a livello inconscio, e vuole mettersi alla prova. Fin da subito ha la possibilità di svelare tutto al marito, ma non lo fa.

    PS: era un'allodola, non un usignolo! Abbi pazienza, lo lessi tanto tempo fa.

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    1. :) Grazie! Io non smetto di stupirmi dell'incredibile capacità di Ibsen di riprodurre così, in poche, scarne battute le dinamiche della vita a due toccando certe profondità!
      Comunque, nome preoccuparti, Torvald la chiama anche "uccellino canoro"... Perciò non è da escludere che l'abbia chiamata anche usignolo ;)

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  3. Sagge e bellissime parole, Raffy *_*
    Sei troppo bravo! :*

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    1. Poche ma buonissime e graditissime parole, bobo... Grazie!!!! :***

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  4. Avevo letto "Casa di bambola" anni fa e l'avevo apprezzato molto. Non ricordo i dettagli e la tua analisi ottima mi ha fatto venire voglia di rileggerlo.

    Ilaria

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    1. Grazie, ne sono molto contento :)
      È un'opera che mi ha subito conquistato...

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  5. Bellissimo post! Mi vergogno di non aver mai letto "Casa di bambola", devo rimediare al più presto. Mi hai confermato l'idea che abbia molte cose da dire anche a noi donne (e uomini) di oggi.

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    1. Grazie! :D Bellissima opera! Io vorrei tanto vederla rappresentata... devo dire che mi piace leggere pièce teatrali, però in scena sarà ancora più coinvolgente (se ben interpretata.) Conoscendomi avrei da ridire sui personaggi se non fossero esattamente come li ho immaginati :P

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