martedì 14 aprile 2015

Costruisci il tuo castello


E c'è ancora, ai margini della Foresta Nera, un paese dai tetti spioventi dove i narcisi crescono sui cigli delle strade come margherite e regali falchi se ne stanno appollaiati sui segnali stradali come comunissimi piccioni. E' un paese, questo qui, in cui i castelli crescono come funghi, e se perdi portafogli e macchina fotografica in metropolitana la polizia non soltanto te li ritrova, ma te li spedisce a casa. Qual è questo posto di fiaba, chiederanno i miei piccoli lettori? E' una città chiamata Stoccarda, là dove il vostro papà vi dirà hanno scalpitato i cavalli della prima Porsche e vostra mamma ricorderà essere nato Hegel. Le ali tremebonde di un aeroplano mi hanno trasportato proprio lì giusto pochi dì orsono per far visita a tre passerotti che, nell'albero genealogico della mia famiglia, cinguettano allegramente sul ramo parallelo al mio.
Al mio arrivo i cuginetti italo-tedeschi mi salutano con abbracci, baci e sorrisi: quello di Marco, sette anni, con un oblò al posto di un incisivo; quello ancora tutto da latte di Alice, di quattro anni; e quello quadridentato di Bianca, che ha a malapena un anno. L'ultima arrivata è la primissima a venirmi incontro sulle gambette malferme, con la sua testolina tonda come un pomelo (frutto di cui non potrò mai più fare a meno) e gli occhioni cigliuti e disneyani. D'altronde non poteva che esserci lei a capo del comitato di benvenuto, visto quanto adori fare ciao con la mano, di continuo, un gesto che assume a seconda del contesto vari significati: da saluto affettuoso ad augurio pasquale, da richiesta d'attenzione a risposta ironica a domande scomode. Si è guadagnata per questo il soprannome di Buongiorno-a-tutti, marchio già registrato per un parroco del nostro paese, famoso per farsi trovare sull'uscio della chiesa alla fine di ogni messa per contare, con la scusa dei saluti, le pecore del suo gregge. Non appena la isso in braccio, la piccolina non perde l'occasione di allargarmi il colletto della maglietta per sbirciare con curiosità il mio décolletè, che però scopre - con un certo disappunto - essere sprovvisto di mammelle. La piccolina però non si dà per vinta e più volte ha ritenuto di dover dare un'altra occhiata, tanto per esserne sicura.
Più fortunati Marco e Alice, che sono riusciti a spremere fino all'ultima goccia le mie energie e la mia inventiva, coinvolgendomi nei loro giochi e arruolandomi per le loro guerre, per cui ogni omino della Lego, ogni soldatino, cavaliere, pupazzetto e peluche è chiamato a leva obbligatoria. Per dovere di cronaca, devo riportarvi un breve resoconto dalla trincea.

Il castello di Lichtenstein, non troppo lontano da Stoccarda.
Il primo giorno c'è stato uno scontro di proporzioni omeriche tra lo schieramento dei draghi e quello dei dinosauri (Marco ha accettato con divertita rassegnazione le mie infiocchettature narrative, come la mia decisione di porre fine al conflitto col matrimonio tra l'ultima draghessa superstite e l'ultimo dinosauro ancora in vita.) Poi è stata la volta dell'assedio del castello di Marcondirondello da parte dello sparuto esercito del sultano Al Raffi (non avendo una corona, ho dovuto improvvisare un turbante con la sciarpa), con tanto di epico corpo a corpo tra il re Marco, a cavallo del temibile drago Furore, e il sovrano orientale, in groppa alla sua tigre albina gigante Neve-Nel-Deserto. Ogni tanto lo scontro è sospeso da qualche piccola intromissione di Bianca, che gattona sorridente nella stanza ("Ciao!"), con conseguenti proteste di Marco, che teme di veder distrutto il castello da lui così meticolosamente edificato. Qualche volta tuonano dall'alto anche gli avvertimenti dell'inquilino del piano di sopra, detto Tamburino per l'antipatica abitudine di battere il piede sul pavimento quando i peana e gli urli di guerra volano un po' troppo in alto.




Il bellissimo giardino zoologico e botanico Wilhelma di Stoccarda,
costruito nel 1919 in stile moresco. Oltre alle specie che vedete,
è famoso per le famiglie di primati e le impressionanti sequoie americane.
Per il terzo combattimento ci siamo affrontati in una battaglia navale: l'enorme galeone di Marco contro il mio misero vascello dall'equipaggio improvvisato (un'istruttrice di fitness di Playmobil, un paio di omini acefali, un sub e una Polly Pocket in costume da bagno.) Ben presto, però, il gioco - soprattutto per causa mia - ha lasciato spazio alla comica odissea individuale di Shirley, la bambola in bikini che si ritrova suo malgrado coinvolta nel conflitto quando il suo fidanzato (il sub) viene rapito dai pirati durante la loro vacanza romantica in yatch. Ci tengo ad assicurarvi che alla fine Shirley, anche grazie all'aiuto della fedele otaria Cotoletta, è riuscita a ricongiungersi al suo amato Sean, sfuggendo a squali e filibustieri.
Al quarto scontro bellico, rimasto a corto di idee, ho dovuto costringere un altrimenti pacioso cuscino a forma di principe ranocchio ad interpretare il ruolo del perfido, folle re Frog Magog, sovrano di tutti i rettili e gli anfibi, per dare al coccodrillo e al rinoceronte di peluche acquistati dallo zoo un nemico da sconfiggere a suon di cornate e morsi. Un personaggio, questo, che è stato accolto con un buon successo di pubblico.
Una volta messo a posto il castello-giocattolo, per migliorare le mie tecniche di fortificazione, i bambini mi hanno permesso di visitare con loro il castello di Lichtenstein, arroccato su uno strapiombo. Nei nostri pomeriggi, però, hanno svettato anche le guglie del castello della Disney e il luccicante palazzo sottomarino di Ariel, senza contare poi le scorribande per il castello di Hogwarts: nei momenti di riposo Marco entra nella mia stanza, dove mi trova arenato sul letto, e occhieggia con un sorriso eloquente al libro sul comodino, Harry Potter e il prigioniero di Azkaban, che mi ascolterà leggere con gli occhi sgranati.

Oltre all'amore per il disegno e la scrittura, ho scoperto di condividere
con mia zia anche la passione per le chincaglierie a tema suino, visto che
siamo stati i visitatori più entusiasti del Museo del Maiale di Stoccarda.
Ci sono teiere, quadri, salvadanai e tante altre divertenti "porcherie" di 

porcellana. Vi risparmio le immagini del diorama di Jurassic Pork
con i dinosauri dal grugno di porco, ma io un termosifone a forma di Babe
 a casa mia lo terrei ben volentieri.
"Rhafaele... ma quanto tempo rhimani con noi?" mi chiedono i bambini di tanto in tanto, a turno. "Perhché solo una settimana?" protesta ogni volta Alice. "Perché se non torno a casa la mia mamma e il mio papà piangono" mento spudoratamente ogni volta. Alice ogni volta piega di lato la testa, fa un sorrisetto compassionevole ed emette un triste "Oh". La questione della durata della mia permanenza ha continuato a rappresentare per loro un interrogativo angoscioso, insieme a dilemmi quali "Ma chi vincerebbe in una lotta tra un coccodrillo e un rinoceronte?" Sono rimasti sul chi vive per un bel po', come temendo di vedermi sparire in una nuvola di fumo. Quando, dopo la cena del secondo giorno, il papà dice loro di salutarmi ed andare a dormire, Marco posa l'arricciaspiccia, solleva dal piatto gli occhi da cerbiatto ed esclama: "Perhché?! Domani deve parhtire Rhafaele?", la voce incrinata da una nota di panico. "No, dovete solo darmi la buonanotte" lo rassicuro, sbocconcellando il mio spicchio di pomelo. Alice, in ogni caso, non ne vuole sapere di andare a dormire, non senza di me. E così mi arrampico sul loro letto a castello per un'ultima storia, come faceva il loro papà con me, intrattenendomi con buffi racconti, quasi tutti incentrati sul meteorismo. Una sera me la sono vista brutta, con Alice che versava un mare di lacrime perché voleva giocare agli indovinelli e Marco che singhiozzava di voler ascoltare un mito greco dal libro che gli ho regalato. Stavo per arrendermi e cominciare a piangere anch'io, quando la soluzione mi ha illuminato a giorno la mente come un fulmine di Zeus: "Bambiniiii, volete sentire un mito greco con un indovinello dentro?!" Nel vederli asciugarsi in fretta le lacrime e lasciarsi andare in gridolini entusiasti, ho sentito dentro di me un ruggito di vittoria. Mi sono guardato intorno come in cerca di qualcuno che mi porgesse una laurea ad honorem in pedagogia. Perdonatemi la scarsa modestia, ma non credo di essermi mai sentito così soddisfatto in vita mia. I bambini, col loro multiforme ingegno, hanno risolto in un "soffio di Eolo" l'enigma della Sfinge. Io naturalmente ho dovuto glissare sulle dinamiche familiari più scabrose della storia: "... e così la Sfinge si gettò dalla rupe ed Edipo riuscì ad entrare nella città di Tebe, dove... ehm... ritrovò i suoi veri genitori... ehm... e vissero per sempre felici e contenti."
Una volta sotto le coperte, Marco dorme il sonno del condottiero vittorioso. Alice invece è più inquieta. Durante uno dei nostri primi pigiama party rotola verso di me, nel dormiveglia. "Io c'ho una lingua" sente l'esigenza di informarmi. Al che le rispondo: "Anch'io c'ho una lingua, Ali." Rassicurata, si gira di nuovo. La notte seguente mi sussurra all'orecchio un segreto: "Sei bello." "Grazie. Tu sei bellissima." Soddisfatta, si riavvolge nella coperta frusciante. La sera successiva l'affligge il pensiero della scarsa solidarietà tra donne: "Ma... ma... perhché la Rhegina voleva essere perh forhza la più bella?" si chiede, accorata. "Non poteva esserhe la più brhava? Biancaneve la più bella e lei la più brhava?" Il ragionamento non fa una piega e faccio fatica a placare i suoi dubbi. Mia zia era decisamente più brava quando si trattava di aiutarmi a risolvere le mie "crisi esistenziali" (quando ancora indossavo il grembiulino delle elementari. Ma anche ora...)
"Rhafaele?" mi chiama Alice, dopo un po'.
"Sì, amore?"
"Io devo andarhe all'asilo domani?"
"No."
"E tu devi parhtirhe domani?"
"No."
A questo punto prorompe in un pianto disperato.
"Che succede, Ali?"
"Io-io volevo andare all'asilo per far vedere... per far vedere alla mia... alla mia amica... la... la ferita che mi sono fatta... sul... sul ginocchio!"
Un paio di baci e carezze, però, le fanno dimenticare ben presto queste preoccupazioni e si riaddormenta. Solo che lei e suo fratello vanno a letto alle nove, così che ogni notte aspetto che l'Omino del Sonno sparga sui loro occhietti la sua sabbia magica per sgusciare fuori dal letto, sentendomi decisamente in colpa. Una volta fatto giorno, però, Alice non dà mai segno di prendersela. In fondo a loro basta una sentinella che vegli sulle merlature del castello, almeno finché il buio non fa più paura. Mentre l'abbraccio e ascolto il suo respiro lieve, penso allo straordinario potere di questi piccoli elfi, per cui anche il più gracile degli scudieri è disposto a indossare l'armatura ed andare incontro ai draghi (o, come nel mio caso, semplicemente salire su una bicicletta, una cosa che non mi sognavo minimamente di fare). Occuparsi di loro, giurare a Marco che il suo nuovo taglio di capelli non lo fa assomigliare a Draco Malfoy, accompagnare Alice a lavarsi i denti, aiutarli a fortificare i confini del loro regno, combattere con loro ogni esercito invasore, farli divertire, coccolarli, confortarli, dare loro un lieto fine: non c'è migliore distrazione dalla nostra affannosa, personale ricerca di un "e vissero felici e contenti."
Prima di ripartire infilo i loro disegni (l'uovo di Pasqua di Alice e il drago sputa-"plasma" di Marco - ma cos'è poi 'sto plasma? Quello dello schermo tv?) vicino alla carta d'imbarco e i documenti, nella tasca delle cose importanti. E per il viaggio mi porto dietro anche una gran bella scorta di ricordi felici. Non si sa mai, nel caso là fuori dovessi incrociare un Dissennatore...

Illustrazione di Lesley Barnes

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