sabato 29 settembre 2012

Ma che c'è Surreal Time? #1 - Il guardaroba perfetto

"Il guardaroba di ogni donna dovrebbe essere come uno showroom:
creativo ed espositivo." (cit. Carla Gozzi)
E' con grande piacere che inauguro oggi Ma che c'è Surreal Time?, una nuova rubrica frutto dell'esasperazione, tutta dedicata al surreale mondo di Real Time, il canale più assillante della televisione italiana.
La mia prima vittima è Il guardaroba perfetto, il nuovo programma dell'opalescente Carla Gozzi, questa volta orfana di Enzo Miccio, filiforme partner di sempre in Ma come ti vesti?, troppo impegnato a promuovere il suo romanzo su Grace Kelly (sto scrivendo questo post mentre faccio la fila in libreria per acquistarlo.)
La trasmissione è, senza troppi giri di parole, un Ma come ti vesti? a domicilio: la missione di Carla, benefattrice à la page, è aiutare povere (attrici che interpretano, da cani, il ruolo di) donne comuni alle prese con i loro guardaroba ribelli. Scheletri nell'armadio, mise imbarazzanti, abbinamenti improbabili e tanto altro ancora nella trasmissione pomeridiana che ha già annoiato milioni di fan!
Donne in crisi invocano a gran voce il suo nome e Carla accorre subito in loro aiuto, vestita come la bibliotecaria del liceo di Grease, trascinandosi dietro non Enzo, ma la sarta Enza (una specie di trolley umano, visibilmente a disagio davanti alle telecamere, con un foulard al collo come patetico tentativo di renderla fashion).

Le Cronache di Carla: il visone, l'esteta e l'armadio
Una volta a casa della malcapitata, dopo aver messo sottosopra il suo guardaroba, Carla dispensa consigli preziosi e ridà vita a vecchi abiti intrisi di naftalina, combinandoli in nuove e originalissime mise. Ma le donzelle in difficoltà che Carla soccorre non sono poi così ingenue, anzi, ne sanno una più del Diavolo veste Prada in fatto di stile, eppure la nostra platinata fashionista riesce sempre a stupirle con idee innovative: "Carla, sono senza parole! Mai avrei immaginato di abbinare il blu con il bianco!" oppure "Carla, sei mitica! Le scarpe da ginnastica stanno benissimo con la mia tuta da jogging, non l'avrei mai detto!", o ancora: "Ma davvero mi stai dicendo che posso abbinare questa cinta verde Tiffany con queste scarpe verde Tiffany? E' fantastico! Grazie, Carla, non so come farei senza di te!".
Tutti questi sorprendenti outfit (che Miranda Priestly definirebbe "Avanguardia pura!") vengono catalogati in base alle occasioni d'uso stabilite da Carla: da "Tempo libero" a "Lavoro", da "Serata romantica" a "Guerra nucleare".
Dopo aver elargito regole generali che qualsiasi commessa part-time saprebbe recitarvi a macchinetta, Carla sceglie di infierire su un vecchio abito per modernizzarlo un po' e chiama a rapporto la fida sarta: "Enza! Qui, bella! Miciomiciomicio!"

"Enza, scelgo te!!"
Enza, gemella buona di Maga Magò (fino ad allora acquattata in un angolo a giocare con un gomitolo di lana), avanza col passo felpato e il sorriso stordito di un'aristogattona sotto anestetici, e, pronunciando a malapena tre miagolii, valuta come e quanto mutilare lo sfortunato capo di turno. Non manca mai l'inquadratura della sarta all'opera, col suo lezioso puntaspilli a forma di cuore e il primo piano della décolleté nera (appena appena zeppata) che pigia sul pedale della macchina per cucire.
A lavoro finito, il caso umano della puntata si reca da lei e domanda, con voce atona: "Enza, è pronto il mio abito? Sono proprio curiosa di vedere com'è venuto" (l'entusiasmo è palpabile, come nella sala d'aspetto di un dentista.)
Intanto Carla mette ordine nel guardaroba, armeggiando con cappelliere e scatole cinesi piene di accessori, col risultato di renderlo terribilmente spoglio e triste, anche se perfetto. Segue la gioia e la meraviglia della sua assistita (vicina all'Oscar quasi quanto Manuela Arcuri) che si spreca in lodi eccessive, salamelecchi, inchini, sviolinate, dichiarazioni d'amore e proposte di matrimonio per aver realizzato ciò che a lei (povera, pusillanime naufraga in un mare di abiti inconciliabili) sembrava impossibile.
La telecamera punta sul viso benedicente di Carla, con lo scintillante chignon biondo Legolas e le labbra rosso fuoco, che annuncia solenne, con l'aria di chi ha appena tirato fuori un gruppo di top-model da un edificio in fiamme, "Ora sì che il tuo è un guardaroba perfetto."
Se venisse da me, le direi di lasciar perdere il mio guardaroba (o meglio, il guardaroba di mia sorella + il mio cassetto) e di darsi una mossa a riordinare l'armadietto dei medicinali, la scarpiera del ripostiglio e la libreria, o, ancora meglio, l'inaccessibile soppalco ingombro di scatoloni del garage.

martedì 25 settembre 2012

Pubblicità insopportabili #11 - Visto che brava?

L'occupazione femminile secondo i pubblicitari.
Belén Rodriguez è brava in tutto.
Sì, d'accordo, ha scambiato la scalinata dell'Ariston per il lettino del suo ginecologo, ma non si può negare che la ragazza trabocchi di talento: sa cantare, ballare, probabilmente sa fare anche la ruota, senza contare che è incredibilmente abile nel manipolare i media e attirare l'attenzione su di sè. Ignoravo però che sapesse istallare anche l'adsl e soprattutto che fosse capace di far roteare il suo trapano meglio di Calamity Jane con una rivoltella (più che a fare la pistolera, credo che Belén ambisca piuttosto ad essere "sparata in petto", come si direbbe da noi in Puglia). Molti altri dei suoi talenti sono misteri che la scienza non è stata ancora in grado di risolvere. Parlo innanzitutto della sua postura ortopedicamente improbabile: considerando il modo in cui riesce a rimanere in equilibrio pur facendo sporgere il più possibile décolleté e glutei, mi chiedo dove sia il suo baricentro corporeo. Ma ciò che suppongo ogni donna invidi a Belén Rodriguez è la sua capacità di unire piacere e dolore, gioia e tristezza: nessuno riesce come lei a sorridere pur mantenendo le sopracciglia spioventi. Cosa nasconde questo enigmatico sorriso? La gioia di essere il sogno erotico degli italiani mista a compassione per tutti gli italiani per cui rimarrà solo un sogno erotico (non tantissimi, dopo tutto)? O forse il suo è il sorriso arcaico delle korai greche, espressione della felicità scaturita dalla mera consapevolezza di esistere?
 

Probabilmente queste domande rimarranno senza risposta, visto che oramai è troppo impegnata a installare aggeggi non meglio identificati e a donare turbe ormonali a mariti sulla soglia dell'andropausa (spero che quello dello spot, con quegli occhi da triglia, non sia il vero marito della pallavolista Francesca Piccinini).
La presenza di questro allegro trio - moglie, marito e conturbante alternativa extra-coniugale - nello spot di Linkem è senz'altro una citazione, un malizioso ammicammento ad una pubblicità che ha fatto scuola, senza la quale probabilmente questa rubrica non esisterebbe neanche: quella di Fernovus Saratoga, meglio conosciuta come "Brava, Giovanna, brava".

 
Era da tempo che avrei voluto omaggiare un tale capolavoro di arte pubblicitaria, e penso sia arrivato il momento di farlo.
Su una veranda vista mare, un'ingioiellata donna di casa ritinteggia voluttuosamente un'enorme gabbia per uccelli, aiutata dalla premurosa cameriera Giovanna. Improvvisamente, in questa idilliaca scenetta di vita muliebre (una specie di virginea isola di Lesbo) si insinua con passo felpato il maschio alfa, il padrone di casa in vestaglia: "Cosa state facendo?"
"Sto verniciando" risponde la moglie, con voce calda e sensuale. "E Giovanna mi aiuta".
A questo punto lo sguardo del marito cade accidentalmente sul derrière di Giovanna, arrampicata sulla scala, con la classica mise del verniciatore (tacchi alti e autoreggenti) e una posa perfettamente naturale. Di fronte a questa visione il sassofono del sottofondo musicale s'imbizzarrisce, e il padrone di casa commenta con il celebre "Brava, Giovanna, brava!", ormai al top delle frasi indimenticabili insieme a "Francamente me ne infischio", "Domani è un altro giorno" o "Quando la persona è niente, l'offesa è zero". La cameriera, lusingata, scuote i ricci fiammeggianti e si mordicchia un dito mentre lancia uno sguardo lascivo al suo datore di lavoro (ci manca solo il gesto della tigre assatanata).
La moglie intanto, assiste impassibile a questo adulterio (per ora) fatto solo di sguardi, finché, inspiegabilmente, sorride (minuto 0.23). Ora, mi sono spremuto le meningi per anni cercando di capire perchè mai la moglie dovrebbe sorridere e credo ci siano solo tre possibili motivazioni:
  1. Ha sniffato troppa vernice;
  2. E' in corso un ménage à trois;
  3. Oppure, semplicemente, parafrasando Carmen Consoli, la signora è cornuta e felice...
In ogni caso consiglio ad ogni donna di scegliere personalmente la propria servitù, se si vuole evitare di offrire al proprio marito il frutto proibito su un piatto d'argento.
 
Parlando di Saratoga, non posso non ricordare la donna che, sola, basta a riscattare il genere femminile da tutte le Belén e le Giovanne televisive, e che, oltretutto, ha ispirato Pubblicità insopportabili: Luciana Littizzetto.
 
 
Concludo questo nostalgico amarcord con il pudico sequel di "Brava, Giovanna, brava". Tutto è cambiato in questo nuovo episodio: la padrona di casa è una modella mortificata in un completo da Madre Superiora, il marito è solo una voce fuori campo, Giovanna ha cambiato volto e ora ammica solo al collega verniciatore, mentre le note sensuali del sassofono sono sostituite da un lugubre coretto musical.
I sequel deludono sempre.

domenica 16 settembre 2012

Todo sobre mi Madrid (capitolo secondo)

El ángel caído (L'angelo caduto), Parque del Retiro

Com'era quasi inevitabile, io e i miei compañeros de viaje non abbiamo tardato molto a farci dei nemici, anche a Madrid. Il secondo giorno dal nostro arrivo, durante la colazione in albergo, ci siamo imbattuti nelle nostre nemesi: quattro pettegole inglesi che, con i loro sorrisetti perfidi da allegre comari di Windsor, non ci hanno perso di vista un istante, commentando la nostre pantagrueliche porzioni e l'impopolare abitudine di conservare qualche toast per il pranzo (chi non l'hai mai fatto, scagli il primo panino... anche se forse qualcuno questa volta deve aver proprio esagerato, visto che il jamón serrano non è stato più servito dopo il nostro arrivo). Mia madre avrebbe voluto sgozzarle col coltello del burro, invece io avrei optato per un gavettone di tè bollente. Alla fine abbiamo deciso di sguainare un bel sorriso minaccioso, come fanno gli animali feroci, che mostrano i denti alla preda prima di passare all'attacco. In ogni caso, non mi sono mai allontanato troppo dalla pinza del bacon, caso mai mi fosse venuta voglia di staccare il naso a una di quelle arpie. Così, tutte ingobbite attorno al loro tavolo, ridacchiando come iene e bagnando di tanto in tanto le labbra rinsecchite con un po' di tè, sembravano la versione deprimente di Sex and the City.
Prado 3. Il misterioso e visionario Hieronymus Bosch (conosciuto in Spagna come
El Bosco) realizza nel trittico del Giardino delle Delizie (sopra alcuni dettagli) molto più
di un'opera d'arte. Anticipando di secoli il Surrealismo, la sua allucinata immaginazione
plasma il peccato nelle forme più svariate: sotto lo sguardo inquietante di uccelli e
creature mostruose, i corpi degli uomini si confondono nell'estasi del peccato,
le bocche suggono avide il dolce succo di frutti giganti, e, all'interno di conchiglie e gusci
variopinti, trovano sfogo gli assilli della lussuria. Alle delizie del mondo terreno,
corrispondono le atroci sofferenze dell'Inferno, un mondo di oscurità e dolore,
dove gli strumenti musicali (anch'essi simboli di licenziosità) diventano strumenti di tortura,
un orribile mostro dalla testa di uccello, seduto su un trono come un dio egizio,
ingurgita i dannati e li defeca in un pozzo immondo, ed esseri di ogni tipo
(demoni-grillo, scrofe vestite da suore, lepri umanoidi e viscidi rospi) sottopongono
i peccatori ad ogni sorta di sevizia. Gli orribili episodi infernali si consumano sotto lo sguardo
di rassegnata ironia del gigante grigio, enigmatica figura in parte uomo, in parte albero
e in parte guscio d'uovo. L'ossessione di Bosch per il peccato (nata dal senso di colpa,
da una segreta attrazione o da entrambe le cose?) si esplicita anche in altre opere
esposte al Museo del Prado, come Il carro di fieno, immagine dell'avidità umana
("Il mondo è come un carro di fieno, ciascuno ne arraffa quel che può", recita un proverbio
fiammingo),
I sette peccati capitali e Le tentazioni di Sant'Antonio.
 Dopo una ricca e corroborante colazione, siamo pronti per continuare il nostro tour della città. Oggi vi parlo di uno dei posti che più mi hanno entusiasmato e sorpreso, il Parque del Retiro. E' raro che vada in brodo di giuggiole per un parco, visto che la mia predilezione va generalmente a musei e monumenti, ma il Retiro è davvero un posto magico. Il Palacio de Cristal, circondato dal verde e inondato dalla luce screziata del sole, con le sue maioliche, decorate con grottesche e animali mitologici, e il lago, in cui troneggiano imponenti i cipressi calvi delle paludi, sembra essere emerso dalla penna di Micheal Ende.
In alto, il Palacio de Cristal, con dettaglio delle maioliche. In basso,
l'Estanque (lago artificiale) e il monumento ad Alfonso XII.
Naturalmente, non poteva mancare un giro in barca sull'Estanque, con mio zio Domingo e mio cugino undicenne Juanito a pagaiare, mentre io e mia zia Rosaura (munita d'ombrellino come in un quadro di Renoir) ci siamo limitati a salutare aristocraticamente la plebe (i nomi dei miei compagni di viaggio, eccetto Grace, che conoscerete più in là, sono stati volutamente adattati alla lingua del luogo, come è mia abitudine fare: durante una vacanza in Austria, ho chiamato mia sorella "Walburga" per una settimana intera. Immaginate la sua felicità.)
Reina Sofía 1.  Il quarto batticuore di questo viaggio a Madrid ci è stato
regalato da un altro grande visionario, Salvador Dalí, a partire da Figura a una finestra
(destra), ritratto di spalle in cui è già possibile intravedere, nell'erotismo appena accennato,
"l'angoscia sessuale" de Il grande masturbatore (in alto). Qui Dalí assembla negli aridi
paesaggi della sua infanzia un delirio di rocce, figure umanoidi, forme falliche
e suggestioni mitologico-psicoanalitiche. Esposti nel Museo Nacional Centro de Arte
Reina Sofía, tra le altre opere, anche 
Monumento imperiale alla donna bambina,
omaggio all'amatissima Gala, a cui l'artista sacrifica le sue più nere paure infantili,
L'enigma di Hitler, oscura profezia sull'inarrestabile follia del cancelliere austriaco.
Thyssen-Bornemisza. "La pittura è come i sogni: familiare al contempo misteriosa."
 Sogno causato dal volo di un'ape intorno ad una melagrana, un attimo prima del risveglio

(in basso), interpretazione pittorica dell'Interpretazione dei sogni di Freud,
esprime al meglio questa definizione dell'artista.
Dopo la nostra mini-crociera sotto il solleone, un clarinettista ubriaco (se non altro) ha cercato di convincerci di essere palermitano (sapeva dire solo "minchia" e lo ripeteva di continuo), poi ci ha dedicato un incerto O Sole mio che ci ha convinto a sollevare i sederi stanchi dalla panchina e a proseguire nella visita del parco.
Si dice che ogni giardino abbia il suo serpente, ma io direi piuttosto che ogni parco pubblico abbia il suo freak (o meglio, friki, in questo caso) sempre pronto a molestare il passante di turno.
Continuarà...

giovedì 6 settembre 2012

Todo sobre mi Madrid (capitolo primo)

Plaza de la Cibeles
Forse non sarà la scelta più originale, visto che la Spagna è stata proclamata ufficialmente la meta turistica più amata dagli italiani, alla pari con le isole greche, ma ci tengo a precisare che avevo quattro motivi importantissimi per trovarmi a Madrid questa estate, oltre che visitare ogni singolo museo, chiesa, parco, palazzo o monumento madrileno mai edificato. Questioni di vitale importanza:
  1. Procurarmi una bottiglietta di Bezoya, la miracolosa acqua spagnola a basso livello di mineralizzazione (di cui vi ho ampliamente parlato nell'ultimissimo episodio di Pubblicità insopportabili), per seguire le gloriose orme della profetessa Marta, custode del sacro mantra si algo puede salir bien, saldrá bien ("se qualcosa può andar bene, andrà bene");
  2. Pig-watching. La mia amica Angy è riuscita a immortalare, in quel di Valencia, un porcellino da passeggio, meglio conosciuto come maiale nano vietnamita o maialino pancia a tazza, un animale da compagnia, amatissimo (solo) in Spagna, che mia madre non mi permetterebbe mai di tenere in casa (credo che allevare un maialino nano sia l'unico vero motivo valido per cui dovrei andare a vivere da solo). Tra gli obbiettivi principali del mio viaggio, quindi, senz'altro quello di fotografare una di queste adorabili creature, sculettanti per la calle con le loro code ricciute e portate placidamente al guinzaglio dai loro orgogliosissimi padroni (trovo piuttosto inquietante, però, che la Spagna vanti un'ampia produzione di carne suina e al contempo abbia eletto il maialino nano come sua mascota preferita).
    Facendo ricerce sui maialini vietnamiti, mi sono imbattuto in un articolo a dir poco straziante: un giovane studente spagnolo, in Erasmus a Firenze, si disperava per aver smarrito il suo amatissimo Panceta, che definiva come il suo migliore amico, un "piezz'e core" (traduco testualmente "pedazo de corazón"). Non sono riuscito a scoprire come sia andata a finire questa triste vicenda, ma spero vivamente che il povero Panceta non sia stato trasformato in chorizo...
    Se qualcuno dovesse averne notizia, vi prego di farmelo sapere!
    Io intanto consulto l'archivio di Studio Aperto: non possono essersi lasciati sfuggire un caso di rilevanza internazionale come questo.
  3. Esercitarmi un po' con lo spagnolo in vista dell'appello di settembre e dimostrare ai miei compagni di viaggio (una ciurma di parenti e amici di famiglia di età compresi tra 10 e 50, con una media di 40 anni) che per parlare in spagnolo non basta aggiungere una "s".
Quante di queste missioni sono riuscito a portare a termine? Purtroppo non la seconda. A consolarmi resta solo il ricordo del maiale a guinzaglio che intravidi dal finestrino dell'autobus a Cadice, qualche anno fa. In realtà , però, non è stata una bella visione: era tutto zanne e peli. Credo fosse un vero e proprio cinghiale, se non un facocero. In ogni caso non poteva essere un cane, neanche se vittima delle più mostruose mutazioni genetiche.
Quanto al terzo obbiettivo, posso dire che ci siamo, più o meno. Dopo scene di isteria al momento di ordinare la cena, e dopo aver ripetuto per un'intera settimana che "ll" si pronuncia come la "i" semivocalica di "ieri", credo di aver fatto valere le mie tesi. Se dovessi sentire ancora una volta la parola paella pronunciata "payella", penso proprio che mi metterei ad urlare. Ma di questo ne parlerò meglio in seguito...
So già qual è la domanda che morite dalla voglia di farmi...
Trascino il mio trolley per il pavimento marmoreo dell'Hotel Carlos V (grazioso albergo in stile Siglo de Oro, a due passi da Plaza de Puerta del Sol), afferro dalle mani del concierge il pesantissimo portachiavi a forma di armatura medievale, attraverso il corridoio pieno di arazzi dagli scenari arcadici, entro nella mia stanza, apro l'anta del mini-bar e...
Potete ammirare la mia mano cinta di quadrifogli di macramè stringere trionfante
una bottiglia di Bezoya. Poi ci sono io che guardo alla finestra imitando Marta,
e infine una peccaminosissima inquadratura delle mie labbra avide di Bezoya.
Eccola lì. Sfavillante di luce propria. Una bottiglietta di purissima, altissima, levissima acqua Bezoya. Che aspetta solo me. E allora mi dico: sì, se qualcosa può andare bene, andrà bene. Riuscirò a sopravvivere a questa vacanza.  Malgrado le stranezze, le ossessioni e le manie di certi compagni di viaggio, in primis... i miei genitori. Mia madre, le cui doti nell'arte della socializzazione sono ormai leggendarie: datele cinque minuti di tempo, e vi saprà dire vita, morte e miracoli di tutti i passeggeri in attesa al gate. Non avevo neanche fatto in tempo a superare il metal detector dell'aeroporto di Bari, che lei già mi aveva rimediato una coppia di anglo-spagnoli con cui fare conversazione forzata. Perchè la regola è: se sai parlare una lingua, devi necessariamente parlarla, anche se non hai proprio un bel niente da dire.
Poi c'è mio padre, altrimenti detto l'Ansia incarnata. Per lui la vacanza è una specie di tortura. Vivrà constanemente nel terrore di non trovare più portafoglio e documenti, di perdere l'aereo o di rimanere imbottigliato in metropolitana per disguidi tecnici. Per evitare il peggio, è sempre bene mettergli in mano una carta geografica da studiare e presentarsi all'aeroporto almeno quarantott'ore prima, per non correre rischi. Insomma, lui riprenderà a respirare solo quando potrà accuattarsi nella sua conca impressa sul divano di casa.
Prado 1. Premettendo che il presente è solo un resoconto personale del mio viaggio a 
Madrid, non posso non spendere qualche parola sul magnifico Museo del Prado.
Dato l'immenso numero di opere che mi hanno entusiasmato, ho dovuto soffermarmi solo
su quelli che, per me, sono i big della collezione: Velázquez, Goya e Bosch
(di quest'ultimo parlerò in seguito).  Prossimamente, però, se dovesse interessarvi,

potrete dare un'occhiata ai miei appunti sulla visita del Museo.
In alto Las meninas (Le dame di compagnia) l'inconsueto e contorto ritratto della
famiglia di Filippo IV, che dà all'osservatore la sensazione di trovarsi a posare per
Velázquez, (autoritrattosi davanti a una tela), sotto lo sguardo imperscrutabile dell'infanta
Margherita. In basso: Las hilanderas (Le filatrici
 o la favola di Aracne), opera metartistica
dove Il ratto di Europa di Tiziano si trasforma nell'arazzo con cui la mortale
Aracne sconfigge in abilità la dea Atena. Insieme ai celebri ritratti di Filippo IV

(tutt'altro che una bellezza), mi ha colpito Il ritratto del buffone Sebastián de Morra
per la sua straordinaria somiglianza col "Folletto" de Il Trono di Spade, ma
soprattutto La fucina di Vulcano e il Trionfo di Bacco, dove i miti vengono attualizzati
e "sporcati" di quotidianità, con modelli presi dalla strada.
 
Mio padre, poi, è l'unico uomo al mondo che adora chiedere indicazioni stradali. Non farebbe altro per tutta la vita. La sua vera passione, però, quello che gli fa davvero battere il cuore, sono gli Sportelli Informativi. Così come le tartarughine appena uscite dall'uovo tendono istintivamente verso il mare, così mio padre è naturalmente attratto dai Centri di Informazione Turistica. Il bello, però, è che poi si vede puntualmente costretto a chiamarmi in veste di mediatore linguistico, visto che solo pochi eletti sono in grado di capire la sua strana lingua creola, nata dall'incontro-scontro tra italiano, dialetto barese, francese stentato, neanderthaliano (grugniti vari), più rare perle di inglese (smoking, per lui, significa "sigaretta", tanto per fare un esempio) e di spagnolo creativo (il suo peculiare adattamento fonetico trasforma l'ormai banale "¡Hola!" in un inedito e amichevole "Huelà!")
Una volta chieste inutili informazioni allo Sportello Informativo, ci dirigiamo verso il Museo del Prado, la meta da me più attesa. Durante il tragitto, i miei compagni di viaggio hanno avvertito l'irresistibile bisogno di stringere amicizia con un artista di strada travestito da Cappellaio Matto (versione Alice in Wonerland di Tim Burton). Ci ha raccontato di essere un attore granadino che, in tempo di crisi, si è reinventato come artista di strada, specializzandosi nei personaggi di Johnny Depp (in altre occasioni veste anche i panni di Edward Mani di Forbice). Dopo aver preso parte al suo pazzo tea-party e aver scattato almeno un centinaio di fotografie, finalmente possiamo finalmente gettarci senza ulteriori indugi nel fuoco dell'Arte.

Prado 2. E ora arrivamo allo straordinario genio di Francisco de Goya, che mi ha strappato
un imbarazzante gridolino di meraviglia alla vista de Il 3 maggio 1808 (ultimo a
destra), "grido pittorico" dei patrioti spagnoli, levato contro la macchina esecutrice delle
truppe napoleoniche. In alto, i colori vibranti e ben più rasserenanti de Il parasole,
con accanto Il fantoccio, forse cinica allegoria dell'uomo, fantoccio inerme nelle mani
delle donne. Più in basso, il volto malizioso (ma sarebbe meglio dire "la maschera")

dell'enigmatica Maja desnuda, che, con la più casta Maja vestida, costituisce
una duplice, moderna Monna Lisa. Subito sotto, a destra, La famiglia di Carlo IV,
in cui l'umbratile autoritratto di Goya strizza l'occhio al Velázquez di Las meninas.
Infine, in basso a sinistra, l'incubo di Saturno che divora i suo figli, sintesi delle lugubri
pinturas negras con cui l'artista "decorò" le pareti della sua casa. Lo sguardo di Saturno,
che divora i suoi figli temendo di essere detronizzato, contiene l'orrore dell'uomo all'idea
di perdere il proprio potere. Mi ricorda un po' la gerontocrazia italiana, che ha preferito
schiacciare i suoi stessi figli per il terrore di essere evirata.
    
Dopo quasi un'intera giornata dedicata ai capolavori del Prado, facciamo una sosta presso la Iglesia de San Jeronimo el Real, la cappella preferita della famiglia reale, dove ci mescoliamo agli inviati del matrimonio dell'anno, di cui appreziamo l'impeccabile gusto in fatto di abbigliamento. Quaggiù potete ammirare lo stile e la sobrietà dei genitori dello sposo: la signora si è praticamente gettata addosso una bandiera del Brasile.
Il matrimonio era iberico-scozzese (con tanto di suonatore di cornamusa), il che forse spiega l'assenza di Buon Gusto ed Eleganza tra gli invitati alla cerimonia (le nozze a cui ci imbucammo una volta a Barcellona erano decisamente più vicine ai nostri canoni estetici).

Gli impeccabili genitori dello sposo si apprestano a prendere posto in chiesa.
Mise imbarazzanti e impietosi accostamenti cromatici a parte, ci tengo a farvi sapere che mia madre ha messo a dura prova la santa pazienza del parroco, che l'ha inseguita lungo la navata e l'ha trascinata via per le orecchie onde evitare che rubasse la scena all'anonima sposa.
Ma d'altronde, c'è successo anche di peggio, come quando, a Santiago de Compostela, io, mia madre e mia cugina entrammo in una chiesa dalla porta sbagliata e sorprendemmo il parroco nell'atto di vestirsi per la funzione, con l'aiuto della sua perpetua. Fortunatamente, anziché scagliarci anatemi biblici, l'uomo di chiesa ci ha salutato con un sorriso di pudico imbarazzo.
Con queste allegre scenette in stile Mr. Bean si conclude il primo capitolo dei miei diari madrileni.
Continuará...

sabato 1 settembre 2012

Quattro famiglie inglesi per Raffy (la finale)

Non avete pensato ad altro per tutta l'estate.
Avete atteso così spasmodicamente questo momento che, in mancanza di unghie da limare, avete disdetto la vostra manicure e pedicure settimanale.
Ma adesso l'attesa è finita. La resa dei conti è prossima. Tra pochissimo l'Inghilterra avrà una nuova Famiglia Reale. Una delle quattro famiglie inglesi del primo reality mai trasmesso su un blog trionferà su tutte, mentre le altre saranno costrette a mangiare la polvere (anche se ce n'è già abbastanza nelle loro case). A decretare il vincitore, un'onnipotente e implacabile giuria, VOI, il "pubblico sovrano" sottratto alla Ventura.
Sarà stata la frizzante combinazione di simpatia e squallore della famiglia Thebuckle a conquistarvi? Oppure sono gli eccentrici Stalker i vostri beniamini? Non potete resistere alla dolcezza dei Normal? O siete rimasti stregati dal fascino posh degli Older?
In attesa di ricevere la busta col nome del vincitore, ecco l'annunciata sorpresa piccante che ho preparato per voi: Porksmouth - Quello che non avreste mai voluto sapere sulle famiglie inglesi, uno speciale a luci rosse che farà arrossire persino il principe Harry!

La seguente lettura è vietata ai minori di diciotto anni.

Parlando di aneddoti scabrosi non posso che ripensare alla famiglia Trollopson-Wetside, che, a pensarci bene, è praticamente la mia "quinta famiglia inglese" fuori concorso, visto che ero un ospite fisso: molte delle mie amiche più intime sono state ospitate da loro, inclusa la mia migliore amica Anny. Proprio lei mi ha fornito il resoconto di una scena mattutina in casa Trollopson-Wetside che ancora oggi continua a perplimermi. La signora Trollopson-Wetside (praticamente identica alla malvagia Strega dell'Ovest de Il mago di Oz, - tranne che per la pelle, priva di qualsiasi tonalità di verde - nonché magra come il suo manico di scopa) porge una tazza di tè a suo marito (d'aspetto decisamente più piacevole, come vogliono le regole non scritte del matrimonio all'inglese) e lo saluta con un birbante: "Hello, banana!"
Ora spiegatemi voi perchè una donna dovrebbe chiamare il proprio marito col nome di un frutto, per di più el único fruto del amor.

La Regina durante una seduta nel
Gabinetto Reale.
In Inghilterra le scoperte più raccapriccianti possono avvenire anche in luoghi insospettabili, come la libereria dei Thebuckle. Curiosando tra i volumi di famiglia, mi ritrovo in mano un libro pieno zeppo di foto decisamente oscene che ritraggono i Reali e altri personaggi famosi in pose che nessuno vorrebbe mai vedere, tra queste, la gloriosa immagine di Elisabetta II assisa su un insolito trono, concavo e di ceramica bianca. Al momento non sono riuscito a capire se fossero re(g)ali paparazzate o fotomontaggi molto credibili, ma, dopo febbrili ricerche in rete, ho scoperto che si tratta di una raccolta di Alison Jackson, fotografa inglese (tra l'altro, originaria di Southsea, nell'area urbana di Portsmouth) famosa per le sue foto di sosia di personaggi famosi ritratti in situazioni compromettenti (si vede che in Inghilterra non hanno la querela facile come qui in Italia). Per chi dovesse essere interessato a questo gioiello di arte fotografica, il libro in questione è Private (attenzione: l'immagine della copertina, che ritrae una disinibita Camilla in posa da cortigiana, potrebbe turbare i lettori più impressionabili.)
In ogni caso, non capisco proprio perchè qualcuno dovrebbe volere un libro del genere nella propria libreria, in bella vista, poi, tra l'eptalogia completa de Le Cronache di Narnia e il volumetto di Fiori spontanei delle Isole Britanniche. Io non comprerei mai l'album dei ricordi del Bunga Bunga (e in tal caso non ci sarebbe neanche bisogno di ingegnarsi a fare fotomontaggi o di cercare sosia).
 
In una casa inglese non manca mai un bel bovindo, il ché significa che, quando qualcuno si dimentica di tirare le tende (praticamente sempre), noi turisti o studenti stranieri voyeuristi possiamo godere di piacevoli scorci di caotici salotti e commoventi scenette di serenità familiare. Mi è capitato un paio di volte di guardare la televisione con una famiglia spaparanzata sul divano e allegramente ignara di essere spiata. Non credo possa esserci niente di più inquietante.
Anzi, qualcosa di più inquietante, a pensarci bene, c'è: il tizio adagiato sul suo divano, completamente ignudo e fiero di esibire le sue vergogne ai passanti attraverso una porta-finestra. Io e i miei compagni di studio siamo rimasti pietrificati dalla visione, mentre l'esibizionista, accortosi di noi, si è alzato dal sofà e ha cominciato a roteare tutto orgoglioso il suo lazo. A quel punto ci siamo impegnati per frapporre almeno un isolato tra noi e lui.
 
Avete presente quei film melensi dove il protagonista (quasi sempre un bambino o un'adolescente) scopre per caso,  in un vecchio baule pieno di polvere, il diario segreto di un/a suo/a antenato/a e, rinunciando all'ambizione di vivere cent'anni, si immerge totalmente nelle romantiche vicessitudini in esso narrate?
Alla mia amica Alicia è capitato qualcosa di molto simile, armeggiando con la collezione di libri della figlia (ormai emancipata) dell'anziana signora che la ospitava (devo dire che le librerie inglesi sono particolarmente insidiose.)
Tra romanzi e libri di testo, la grande scoperta: il diario segreto della sua host-sister. Immersa nella lettura, Alicia rivive la storia d'amore della giovane english rose e di un affascinante ragazzo portoghese. Pagina dopo pagina, tra struggimenti, romantiche dichiarazioni e facciate piene di cuoricini, finalmente la mia amica può dare un volto al focoso portoghese. Be', non so se si possa realmente parlare di volto, al massimo di faccia...
Insomma, a mo' di segnalibro, c'era un bel ritratto del suo... companheiro
Dopotutto è sempre bello avere una foto (in stile "referto dell'autopsia") delle parti intime del proprio fidanzato. E' di grande conforto quando la saudade si fa sentire.

Ora che vi ho sconvolto e traumatizzato a vita, sono lieto di annunciarvi che la busta è qui nelle mie mani e che le vostre preghiere saranno finalmente esaudite. E' arrivato il momento che tutti aspettavamo.
"E' con grande onore e con immenso piacere" che Il Tè - il blog volutamente ozioso e inutile, incorona come vincitrice assoluta della prima edizione di Quattro famiglie inglesi per Raffy, con il 93% dei voti.... la famiglia Stalker!
Al secondo posto, con il 6% dei voti, gli Older!
Vai con la marcia trionfale: ♪ We are family! I got all my sisters with me! ♫ (è molto simile al solito jingle, ma più solenne, non trovate?)
Ritira il premio, l'ambito Cratere della Vittoria, Jane Stalker (che sfoggia il suo abitino succinto delle grandi occasioni), celebrata da una pioggia di patatine al formaggio lanciate sul palcoscenico e sulla folla in festa dai gemelli Moses e Moab Stalker, che vestono per l'occasione i panni di allegri puttini fluttuanti e benedicenti.

Grazie infinite a tutti voi che ci avete seguito assiduamente da casa e avete espresso il vostro preziosissimo voto!
Vi saluta Raffy, il sedicente Esperto di Famiglie Inglesi!

LinkWithin

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...