Attenzione: post estremamente tossico. Assumere a piccole dosi.
Piatto ricco, mi ci ficco anch'io. Sto parlando del Festival della commedia all'italiana di Sanremo, con il suo solito corredo di polemiche, pettegolezzi e bucce di banana. Un'edizione che fin'ora ho trovato un po' traballante, come la prima apparizione di Emma Marrone, a cui mancava davvero solo una buccia di banana sulle scale dell'Ariston. Col suo completino verde bandiera (che persino una
guru della moda come Carla Gozzi ha avuto l'ardire di approvare...), Emma ha arrancato giù per la scalinata e si è diretta verso il microfono con il passo malfermo ma elegante di un tirannosauro zoppo.
Come non commentare poi la sua querula canzone? Non ricordo il titolo, ma credo sia
Populismo in musica. "Ho dato la vita e il sangue per il mio paese e mi ritrovo a non tirare a fine mese"...
La Marrone ha capito che l'impegno sociale va per la maggiore e che basta blaterare un po' su affitti e precariato per cavalcare l'onda del successo. Non c'è niente di peggio di una cantante appena uscita dall'adolescenza che strilli una canzone impegnata con un'
indignazione e una demagogia spicciola da rappresentante d'istituto.
E poi dicono che il qualunquista è Celentano, che invece è l'unico ad avere il coraggio di fare attacchi diretti e far sobbalzare qualcuno dalla poltrona. Tuttavia non gli perdono l'ingresso trionfale da Messia, l'orrendo sorriso giallognolo e il siparietto geriatrico che è valso un Oscar a Pupo per il ruolo di "Bimbo che fa le bizze" (si interrompeva a metà di ogni frase per ricordarsi la battuta o per i singhiozzi?), senza contare i continui rifornimenti idrici di Adriano. Dico io, una persona che ha bisogno di bere ogni due minuti non
può lavorare in televisione...
Ma perché il mondo dello spettacolo italiano non conosce mezze misure? I presentatori devo aver necessariamente superato la soglia d'età del Senato, le donne, invece, vengono prelevate direttamente dalle
nursery estere, come nel caso della giovanissima (ma prematuramente acciaccata) Ivan(k)a Mrazova. Che dire di lei? "La classica straniera con un'aria strana", che, senza quel neo sopra la bocca e la risata cavernosa da orso Yogi, si sarebbe mimetizzata perfettamente con la lugubre scenografia (ancora una volta orba di fiori).
Belén, nelle vesti di sostituta, ha fatto ambo, dimostrandosi ancora una volta a suo agio sul palco (forse anche
troppo a suo agio, visto lo
scandalo del tatuaggio inguinale a forma di
mariposa e "il
Grande mistero delle mutandine"), e, anche quest'anno, si è dovuta tirare dietro lo strascico di Elisabetta Canalis (agghiacciante personificazione dell'Italia e pessima cantante, anche in
playback e con voce potentemente maggiorata al
computer). Per tutte le prime due puntate non ho potuto fare a meno di notare come Eli fosse ancora alla continua ricerca della attenzioni di papà Morandi, che, inequivocabilmente, preferisce Belén. Senza contare che alla povera Elisabetta sono toccati gli abiti più brutti.
Ma ora passo alle altre note dolenti, quelle delle canzoni. Una più deprimente dell'altra: da
Canzone per un figlio di Marlene Kuntz (io mi cercherei un padre adottivo) ai tremuli vaneggiamenti di Eugenio Finardi (o meglio,
Uggenio, come l'ha chiamato la Canalis). Persino Arisa era depressa. La preferivo di gran lunga quando era convinta che l'Ariston fosse il palco dello Zecchino d'Oro.
La tua bellezza di Renga sarebbe anche carina senza tutti quegli "AAAAAH!" da sala delle torture, mentre ho apprezzato molto di più le (ingiustamente) escluse
Sei tu dei Matia Bazar e lo splendido tango
Al posto del mondo dell'illustre sconosciuta Chiara Civello. Rassicurante e piacevole
Dolcenera con
Ci vediamo a casa, anche se continuo a pensare che quella ragazza abbia decisamente
troppi denti. Interessante e simpatica
Un pallone, del carismatico
nerd Samuele Bersani.
In ogni caso questo è un festival strano. Le mie canzoni preferite sono quelle dei cantanti che non ho mai potuto sopportare: nonostante a cantare fosse Gigggi D'Alessio (meglio la Berté), ho trovato
Respirare estremamente orecchiabile (il
remix di ieri sera era sì indicibilmente
tamarro, ma anche una trovata furbissima per conquistare le masse), in più l'esclusa
Grande mistero, scritta da Van De Sfroos, univa ad un ritmo accattivante un testo piuttosto originale (mi ha conquistato con "lune a dondolo"), penalizzata però dall'interpretazione della stregonesca Irene Fornaciari, decisa a interpretare il ruolo della
banshee (no so se ha saputo finalmente "perchè il mondo piange", ma io, almeno, piango per la sua voce).
La mia beniamina Noemi, invece, mi ha deluso un po'. E non mi riferisco al
look della prima serata (sembrava uscita da
Kiss me Licia, o meglio, da
Magica Emi, visti gli orecchini a stella e il completo nero e fucsia in stile liquirizia ripiena...). Lei è straordinaria e per quanto mi riguarda potrebbe anche cantare
La bella lavanderina, però lo zampino di Moro si è sentito: a me
Sono solo parole sembra un po' monotona, per quanto non sia affatto da buttare... in giro c'è molto di peggio! E con "peggio" intendo le canzoni dei giovani emergenti: sorvolerò sulla leziosa Erica(ramella) Mou, che è meglio lasciare a bagnomaria
Nella vasca da bagno del tempo con le sue aspirazioni senili e la sua immotivata antipatia per gli orecchini
chandelier.
Mi aspettavo qualcosa di più anche da Pierdavide Carone che, senza l'aiuto di Dalla, ha scritto testi di gran lunga più originali (la storia del ragazzo che
s'innammmora della prostituta è vecchia come il mondo, da
La traviata a
Moulin Rouge!). La canzone non è affatto male, ma non riesco proprio a mandar giù il nomignolo della prostituta - più antiquato che
vintage - (sulla scia di Mariù, Lulù, Mimì, Nanà, Cocò, Fifì...), la frase "c'è un camionista da accontentare" e, soprattutto, il sorriso di Pierdavide (chiamate un dentista!).
A proposito di
vintage... Nina Zilli, grazie alla sua intensa
Per sempre, è riuscita persino a farsi perdonare
le mise da "Posso-Permettermi-Di-Tutto" (inseguendo il retrò a tutti i costi si rischia di risultare semplicemente malvestiti).
Insomma... zoppicante e un po' ammaccato, anche questo
festivàl volge al termine. Uniche voci nel deserto, la genuina comicità di Rocco Papaleo e Alessandro Siani (
standing ovation meritatissima) e le ugole d'oro straniere, come la monumentale Patti Smith... tutto il resto è una galleria di momenti imbarazzanti, dalle
gaffe di Morandi sui gay (innescate dalle
gag poco riuscite dei Soliti Idioti) alle parolacce abusate e bacchettate da un esercito di puritani (ma che
cazzo!), dall'abbacinante vestito rosa letteralmente
shocking di Francesca Michielin, rubato chiaramente dall'armadio della sua Barbie (sono rimasto sconvolto per una buona mezz'ora), al
look da Eva Kant di Alessandra Amoroso, per non parlare poi del Ballo della Scopa di Federica Pellegrini, a cui consiglio: mai più abiti smanicati... anzi, mai più abiti... anzi, mai più (fuori dall'acqua).
Ma arriviamo alla domanda fatidica... chi vincerà? Io tifo per la canzone della foca (chiaramente ispirata alla risata da otaria asmatica di Ivanka) di Papaleo, che ha saputo divertire, anche solo con la sua faccia sorniona.
Tornando ai cantanti in gara, i miei preferiti solitamente non vincono mai, perciò immagino che la corona d'alloro della canzone italiana toccherà ad Emma. Poco male: le vittorie a Sanremo sono come lampi nella notte. E poi domani i giornali di oggi saranno sul fondo della gabbietta di qualche cocorita. L'anno scorso ha vinto Vecchioni, e l'anno prima? Scanu. E l'anno prima ancora? Almeno per me, buio totale.
Aggiornamento (19/02/2012)
Che vi avevo detto?
D'altronde non ci volevano i
maya o Roberto Giacobbo per intuirlo...