mercoledì 29 febbraio 2012

Il nuovo romanzo di J.K.Rowling, cosa bolle nel calderone?

Che avrà combinato la Rowling?  Guardatela...
il suo è il sorrisetto furbetto della bimba che ha fatto
pipì in piscina.
E' ufficiale: la fervida immaginazione della signora Harry Potter è tornata in azione! Entro l'anno J.K.Rowling pubblicherà un nuovo romanzo, questa volta per adulti, alla faccia di tutti quelli che dicevano, con aria saputa: "Quella lì non scriverà più neanche la lista della spesa. Passerà il resto della vita a lucidare i suoi bei lingotti d'oro..." Per una volta che è una scrittrice a diventare straricca! E lei di sicuro non ha spinto nessun operaio al suicidio, oltre al fatto che è riuscita a riavvicinare i giovanissimi alla lettura, non come altri "santi e beati" che li hanno solo resi più schiavi di tecnologie sempre più avanzate quanto innecessarie (intelligenti pauca).

Tornando a noi (ma quanto sono polemico?), l'annuncio della nuova fatica letteraria di Joanne è stato un vero fulmine a ciel sereno, o meglio una saetta: la notizia è apparsa sul suo sito personale, ora in restauro fino a primavera. Quando si tratta di indizi, la Rowling, si sa, è più inespugnabile della Gringott... si è limitata a lasciare un biglietto, dicendo che per quanto abbia adorato scrivere la saga di Harry Potter, era ora di un cambiamento radicale. Naturalmente, cambiando il target, cambia anche la casa editrice: dalla Bloomsbury alla Little, Brown and Company.
Di cosa parlerà mai il nuovo romanzo? Escludendo il fantasy (che, a suo dire, ha già ampiamente esaurito con i sette volumi potteriani), è molto probabile che stia seguendo le orme del giallo, visto che già in Harry Potter ha dato prova di grande maestria nel dissiminare indizi e intessere trame d'effetto. Per di più, il suo curatore editoriale per questo nuovo lavoro è David Shelly, noto per aver portato al successo molti autori di noir e thriller.
La tesi è sostenuta anche dal giallista scozzese Ian Rankin, che twitta: "Non sarebbe buffo se il primo romanzo per adulti di J.K.Rowling fosse una crime story ambientata a Edimburgo? Io dico di sì. Questo spiega perché ha lasciato il suo vicinato (me, Alexander McCall Smith, Kate Atkinson [scrittori di gialli anche loro]) per trasferirsi dall'altra parte della città... lei è sicuramente una fan del giallo vecchio stile."
Insomma, sono tutti convinti che la Rowling sarà la nuova Agatha Christie. Certo è che sentir parlare del "romanzo per adulti" di J.K.Rowling fa un po' impressione... 
E' soprattutto il "per adulti" a suggerirmi qualcosa di losco. Di cosa si parlerà mai in questo libro? Di bondage? E' un po' come se Cristina D'Avena cantasse Il cobra non è un serpente...
Ma immagino che dovrò farci l'abitudine. In fondo, La pietra filosofale è un quaderno da colorare al confronto de I doni della morte. I romanzi di Harry si sono fatti via via più maturi, perciò l'ingresso nella letteratura per adulti era già praticamente annunciato.
Ancora una volta la Rowling tornerà in libreria, per la gioia di noi fan sfegatati, e chissà cos'ha in serbo per noi! E' il caso di dirlo, "tremate, tremate, le streghe sono tornate" (e, questa volta, "streghe" è in senso figurato). 

sabato 25 febbraio 2012

"Un giorno questo dolore ti sarà utile" di Peter Cameron (visto da Faenza)

Un giorno questo
dolore ti sarà utile
,
Peter Cameron,
Adelphi, 206 p.,
17,50 €
No, questi due quassù non sono Tintin e il suo fidato Milù. Quello senza pigiama è Mirò, l'altro invece è James Sveck, protagonista del film Un giorno questo dolore ti sarà utile, di Roberto Faenza, tratto dal "best-seller di nicchia" di Peter Cameron. Sì, lo so, è un ossimoro, ma non è neanche l'unico: si tratta del romanzo drammatico più ironico che abbia mai letto, anche se dal titolo non si direbbe (ma perchè la parola "dolore" ci spaventa così tanto?).
 Ho letto questo libro al liceo, su consiglio del mio professore di italiano, e, dato che sono sempre scettico sui consigli e tendo a non farmi piacere i libri consigliati per puro dispetto (però continuo a imperterrito a dare consigli agli altri), pensavo che avrei disdegnato anche questo. E invece no. L'ho adorato da subito, forse perchè James Sveck ha la meravigliosa capacità di rubare i miei pensieri e affilarli ben bene fino a renderli lustri e pungenti.
Ora che ho visto anche il film, questa nostra somiglianza è diventata lampante. C'è stata una scena in particolare che mi ha commosso: la sua psicoterapeuta lo porta a fare jogging e lui che fa? Non avendo né tuta né qualsivoglia indumento sportivo, corre in camicia, esattamente come me che, in quelle malaugurate occasioni in cui le mie amiche salutiste sono riuscite a trascinarmi in uno dei loro pomeriggi fitness, ho sfoggiato degli shorts di jeans, niente di più comodo per correre e sudare.
Oltre al disprezzo per le scarpe da ginnastica, stiamo percorrendo entrambi il difficile passaggio dalla beata fanciullezza all'età adulta. Ma soprattutto siamo entrambi fieri di essere dei disadattati. Orgogliosamente ostinati a non adattarci ad un mondo che ci vuole imporre la sua presunta normalità.
Dopo frasi come "Ho passato tutta la vita con i miei coetanei e non mi piacciono granché", l'applauso mi parte in automatico.
E' questo il motivo per cui James pensa di fare a meno dell'università, e comprarsi invece una casa di campagna nel Midwest, per leggere tutti i libri che non ha mai potuto leggere per colpa della scuola. E chi mai potrebbe dargli torto?
Io no di certo. Eppure non la pensa così la sua famiglia (ma va?), che continua a dirgli quello che deve o non deve fare per essere normale (aggettivo ampiamente violentato), aspettandosi che James faccia solo quello che renda felici loro... sì, perchè tanto lui non è mai felice, in ogni caso, come afferma cinicamente sua sorella.
 In attesa di prendere una decisione sul suo futuro, James lavora nella galleria d'arte di sua madre e trascorre la sua estate newyorchese facendo da spettatore ai malumori e agli avvicendamenti della sua sgangherata famiglia, composta da Marjorie, sua madre, con tre matrimoni alle spalle (di cui uno finito ancora prima della luna di miele), la sorella gerontofila Gillian, che, poco più che ventenne, vuole scrivere un libro di memorie (ma si preoccupa di più della copertina che del resto), un padre narcisista e machista che fa speculazioni sull'orientamento sessuale del figlio in base a quel che ordina dal menù, e, infine, Mirò, un cane un po' snob, che sembra guardare con occhio critico un po' tutti quanti (della serie, "se potessi parlare...")
Gli unici contatti umani che il protagonista ama intrattenere sono quelli con sua nonna, l'anticonformista Nanette, e con John, impiegato nella galleria di sua madre, per il quale nutre una semi-inconsapevole attrazione. 
Con le sue parole mordaci, James si presenta come un vero eroe romantico, specialmente nella sua ostinazione a rimanere ancorato al passato. E dire che c'è qualcuno che lo vorrebbe come tutti gli altri, il che è solo un altro modo per dire superficiale.
Andare un po' più a fondo può far bene, invece. Il dolore è ingombrante e scomodo, ma non va mai buttato via. Come dice Nanette, può sempre tornare utile. 

"Sono entrato in una saletta in cui c'erano solo quattro quadri, e mi sono ricordato di averli già visti quando ero stato in gita scolastica con la terza media. Sono di Thomas Cole e si intitolano "Il viaggio della vita" [...]  
Rappresentano le quattro età dell'uomo: infanzia, giovinezza, virilità e vecchiaia. In ogni quadro c'è una figura sulla barca che naviga su un fiume, guidata da un angelo.

Infanzia e Giovinezza (1842), di Thomas Cole, fondatore
della Hudson River School, scuola pittorica statunitense della seconda metà dell'Ottocento,
caratterizzata dalla cura per il dettaglio nella rappresentazione della natura
e dai temi d'ispirazione romantica. 

Nel primo c'è un bambino piccolo e la barca spunta da una caverna buia, il grembo materno.  E' mattino presto e il fiume scorre calmo attraverso una valle idilliaca piena di fiori.
L'angelo è sulla barca, in piedi dietro il bambino, e hanno tutti e due le braccia tese verso il mondo a cui vanno incontro.
In "Giovinezza" è mezzogiorno e la barca si è addentrata nella bella valle. Il bambino si è trasformato in un ragazzo  e sta in piedi, le braccia tese verso il futuro. L'angelo è sulla riva e gli indica la strada come un vigile.
Le nuvole hanno la  forma di un castello fantastico, circondato dal cielo azzurro.

mercoledì 22 febbraio 2012

Guida semi-seria alle lingue inventate e/o segrete (terza parte)


E io che consideravo ormai esaurito l'argomento... e invece aridaje! Ritorna la Guida semi-seria alle lingue inventate e/o segrete, e anche a grande richiesta (in realtà solo di DeWi, che ringrazio per avermi dato la possibilità di continuare a blaterare di lingue artificiali)
Devo dire che mi si sono aperti nuovi orizzonti. Ora non posso più sopportare l'idea di aver trascorso cinque anni della mia vita a studiare greco e latino quando invece potevo mettermi in pari con l'Atlantideo (inventato da Marc Okrand per il film Disney Atlantis - L'impero perduto). Non fate quella faccia, non è una lingua all'acqua di rosa, rosae, rosae... ci sono pure le declinazioni! Yob (nominativo: "il cristallo"), yobtem (obliquo: "nel cristallo, al cristallo..."),  yobag (genitivo: "del cristallo"), yobtop (vocativo: "o cristallo!"), yobesh (strumentale: "per mezzo del cristallo") e anche altri casi sconosciuti. Roba seria, insomma...
Ma adesso arriviamo al tema di questo appuntamento: le lingue che non vorreste (o quanto meno non dovreste voler) mai imparare.
Cominciamo con due lingue inquietanti, il Nadsat e la Neolingua, per poi passare alle frivolezze. La prima è lo slang degli ultraviolenti Drughi di Arancia meccanica, il romanzo distopico di Anthony Burgess da cui Stanley Kubrick ha tratto l'omonimo film cult, purtroppo "disonorato" da frotte di bimbominchia convinti che sia un'esaltazione alla violenza e non una dolorosa espressione del pessimismo socio-politico dell'autore.
Alex e la sua banda di giovani criminali strafatti di latte+ parlano un inglese imbottito di parole inventate come charlie (nella versione italiana cornacchia), "prete" (da Charlie Chaplin, il cui cognome ricorda chapelain, "cappellano") o In-out in-out/Su-e-giù, "sesso", ma soprattutto di termini presi in prestito dal russo come devočka, "ragazza", drugo/droog (da drug, "amico"), gulliver (da golova, "testa"), moloko, "latte" e korova, "mucca". Il termine stesso nadsat deriva dal suffisso russo usato per i numeri successivi a dieci, come il -teen inglese, e non a caso nel mondo di Burgess significa "adolescenza". Nei tempi morti potete divertirvi con questo vocabolarietto italiano-Nadsat.
Se invece parlate correntemente la Neolingua (o Newspeak) vuol dire che siete sudditi del Grande Fratello, e non mi riferisco al realty (chissà poi che lingua parlano i concorrenti... italiano no di certo), bensì al malefico tiranno del romanzo distopico per eccellenza, 1984, in cui George Orwell descrive un mondo in cui anche i pensieri vengono censurati e controllati da un governo dittatoriale. Nasce così la Neolingua (di cui trovate qui un pratico dizionario), cioè un inglese estremamente semplificato ("buono" si dice good, "cattivo" semplicemente un-good, mentre "ottimo" plus-good) e epurato di ogni parola scomoda. Non esiste, per esempio, il termine "democrazia": questo concetto eretico ricade sotto la parola crimethink, ovvero "psico-crimine".
Passiamo ora a tutt'altro genere di lingue artificiali, sebbene non meno inquietanti, ovvero le lingue che non dovreste mai imparare perchè troppo stupide o semplicemente perchè non hanno senso.
A chi non è capitato di disattivare l'audio del pc pur non doversi sorbire gli irritanti vaniloqui dei Sims? Se non l'avete fatto, avete risorse inesauribili di pazienza o semplicemente siete malati (senza offesa).
Quella dei Sims è proprio una vita da cani: fanno sempre le stesse cose, e per di più con un grosso cristallo verde e appuntito sospeso sulla testa (che ansia... e se cade?). Come se non bastasse parlano anche come dei celebrolesi. 
Io ho sempre pensato (ingenuamente) che i personaggi fossero doppiati da Patty Pravo o da Ornella Vanoni, perciò non mi sono mai preoccupato del fatto di non capirci un accidente. E invece espressioni come Soo soon! o Sal de muchen, frazzenrah! fanno parte del Simlish, linguaggio nonsense inventato da Will Wright, il papà dei Sims. Il molesto idioma è un irriconoscibile medley di ucraino, inglese, lingue neolatine, tagalog (filippino) e la complicatissima lingua navajo (così indecifrabile da essere stata utilizzata come linguaggio in codice dalle forze armate statunitensi durante la Seconda Guerra Mondiale).
Wright si è ispirato al navajo per creare un linguaggio incomprensibile che non distraesse troppo il giocatore, eppure c'è qualcuno che ha voluto trovare un senso al Simlish, anche se questa lingua "un senso non ce l'ha". Con un po' di intuito, si può comunque capire qualcosa, osservando bene il contesto in cui i Sims pronunciano queste frasi, o ancora ascoltando le canzoni in Simlish rilasciate a scopo promozionale da gruppi e artisti famosi (sicuramente pagati in simoleon) come The Black Eyed Peas (Shut up), Lily Allen (Smile), Depeche Mode (Suffer Well), Pussycat Dolls (Don't Cha), Nelly Furtado (Manos al aire) e  Katy Perry (potete ascoltare qui sotto la versione Simlish di Hot'n'Cold, mentre il testo Simlish di questa e di altre canzoni è disponibile qui).


Insomma, escluse poche parole ormai attestate come nooboo ("bambino") e chimcha ("pizza"), si deve procedere a naso: soo soon dovrebbe equivalere a "ciao", degg degg a "arrivederci", vous a "tu", mik, mak e maka a "uno, due, tre", vadish e litzergam a "grazie".
Ma il Simlish non è l'unica lingua insensata partorita dalla mente di un uomo. Altro caso celebre è il Furbish, la parlata degli inquietanti peluche Furby, vero e proprio must per tutti i bambini di fine anni '90.
A volte, quando sono solo in casa di notte, ho ancora il terrore di vedermi spuntare davanti al'improvviso uno di quei diabolici gufi mutanti dagli enormi occhi a palla. Tremo all'idea di udire ancora quella terribile vocina domandarmi U-nye-loo-lay-doo? ("vuoi giocare?"). Nel caso doveste trovarvi in tale sciagurata circostanza,  ricordate che "no" si dice boo e che un Furby muore solo se gli si conficca un paletto nel cuore (la carcassa va di seguito fatta a pezzi e bruciata).
E ora l'ultima, imperdibile perla linguistica...
Avete presente Pingu? La serie animata svizzera sulla (noiosa) vita di una famiglia di pinguini? Che lingua parlassero è sempre stato un mistero. Molte le ipotesi circolate negli anni: albanese? Finlandese? Oppure boh?
Oggi, grazie ai progressi della scienza filologica, sappiamo che si tratta di Penguinese, un gramelot (linguaggio improvvisato e privo di significato) opera del doppiatore italiano Carlo Bonomi (che lavorò anche a Carosello). L'obbiettivo del creatore di Pingu, il tedesco Otmar Guttmann, era infatti quello di rendere il cartone il più "internazionale" possibile, facendo in modo che per afferrare la storia bastassero solo le immagini.
Ma non è finita qui!
Sappiate che la notizia che sto per darvi è sconvolgente, perciò leggete a vostro rischio e pericolo: ho scoperto che David Hasselhoff, ovvero il capo-bagnino Mitch Buchannon di Baywatch, (che in Mittleuropa in passato ha avuto un grande successo come cantante) è l'autore di una canzone in inglese con sottofondo in Penguinese intitolata Pingu Dance, che potete ascoltare (sempre a vostro rischio e pericolo) qui sotto. Non so come abbia fatto poi a trovare il coraggio di uscire di casa.



Siete ancora sotto shock, vero? Lo so, io non mi sono ancora ripreso.
Giuro che non scriverò più di lingue inventate. E' un argomento troppo perturbante.


Guida semi-seria alle lingue inventate e/o segrete (prima parte)
Quali sono le più famose lingue artificiali? Chi sono i colanger?
E perché hanno così tanto tempo libero?


Guida semi-seria alle lingue inventate e/o segrete (seconda parte)
Non perdetevi la seconda parte della Guida, tutta dedicata ai linguaggi segreti (e molto, molto fantasiosi) usati in passato da criminali, attori, saltimbanchi, prostitute e omosessuali...

sabato 18 febbraio 2012

Sanremo 2012, non è l'inferno?


Attenzione: post estremamente tossico. Assumere a piccole dosi.

Piatto ricco, mi ci ficco anch'io. Sto parlando del Festival della commedia all'italiana di Sanremo, con il suo solito corredo di polemiche, pettegolezzi e bucce di banana. Un'edizione che fin'ora ho trovato un po' traballante, come la prima apparizione di Emma Marrone, a cui mancava davvero solo una buccia di banana sulle scale dell'Ariston. Col suo completino verde bandiera (che persino una guru della moda come Carla Gozzi ha avuto l'ardire di approvare...), Emma ha arrancato giù per la scalinata e si è diretta verso il microfono con il passo malfermo ma elegante di un tirannosauro zoppo.
Come non commentare poi la sua querula canzone? Non ricordo il titolo, ma credo sia Populismo in musica. "Ho dato la vita e il sangue per il mio paese e mi ritrovo a non tirare a fine mese"...
La Marrone ha capito che l'impegno sociale va per la maggiore e che basta blaterare un po' su affitti e precariato per cavalcare l'onda del successo. Non c'è niente di peggio di una cantante appena uscita dall'adolescenza che strilli una canzone impegnata con un'indignazione e una demagogia spicciola da rappresentante d'istituto.
E poi dicono che il qualunquista è Celentano, che invece è l'unico ad avere il coraggio di fare attacchi diretti e far sobbalzare qualcuno dalla poltrona. Tuttavia non gli perdono l'ingresso trionfale da Messia, l'orrendo sorriso giallognolo e il siparietto geriatrico che è valso un Oscar a Pupo per il ruolo di "Bimbo che fa le bizze" (si interrompeva a metà di ogni frase per ricordarsi la battuta o per i singhiozzi?), senza contare i continui rifornimenti idrici di Adriano. Dico io, una persona che ha bisogno di bere ogni due minuti non può lavorare in televisione...
Ma perché il mondo dello spettacolo italiano non conosce mezze misure? I presentatori devo aver necessariamente superato la soglia d'età del Senato, le donne, invece, vengono prelevate direttamente dalle nursery estere, come nel caso della giovanissima (ma prematuramente acciaccata) Ivan(k)a Mrazova. Che dire di lei? "La classica straniera con un'aria strana", che, senza quel neo sopra la bocca e la risata cavernosa da orso Yogi, si sarebbe mimetizzata perfettamente con la lugubre scenografia (ancora una volta orba di fiori).
Belén, nelle vesti di sostituta, ha fatto ambo, dimostrandosi ancora una volta a suo agio sul palco (forse anche troppo a suo agio, visto lo scandalo del tatuaggio inguinale a forma di mariposa e "il Grande mistero delle mutandine"), e, anche quest'anno, si è dovuta tirare dietro lo strascico di Elisabetta Canalis (agghiacciante personificazione dell'Italia e pessima cantante, anche in playback e con voce potentemente maggiorata al computer). Per tutte le prime due puntate non ho potuto fare a meno di notare come Eli fosse ancora alla continua ricerca della attenzioni di papà Morandi, che, inequivocabilmente, preferisce Belén. Senza contare che alla povera Elisabetta sono toccati gli abiti più brutti.
Ma ora passo alle altre note dolenti, quelle delle canzoni. Una più deprimente dell'altra: da Canzone per un figlio di Marlene Kuntz (io mi cercherei un padre adottivo) ai tremuli vaneggiamenti di Eugenio Finardi (o meglio, Uggenio, come l'ha chiamato la Canalis). Persino Arisa era depressa. La preferivo di gran lunga quando era convinta che l'Ariston fosse il palco dello Zecchino d'Oro.  
La tua bellezza di Renga sarebbe anche carina senza tutti quegli "AAAAAH!" da sala delle torture, mentre ho apprezzato molto di più le (ingiustamente) escluse Sei tu dei Matia Bazar e lo splendido tango Al posto del mondo dell'illustre sconosciuta Chiara Civello. Rassicurante e piacevole Dolcenera con Ci vediamo a casa, anche se continuo a pensare che quella ragazza abbia decisamente troppi denti. Interessante e simpatica Un pallone, del carismatico nerd Samuele Bersani.
In ogni caso questo è un festival strano. Le mie canzoni preferite sono quelle dei cantanti che non ho mai potuto sopportare: nonostante a cantare fosse Gigggi D'Alessio (meglio la Berté), ho trovato Respirare estremamente orecchiabile (il remix di ieri sera era sì indicibilmente tamarro, ma anche una trovata furbissima per conquistare le masse), in più l'esclusa Grande mistero, scritta da Van De Sfroos, univa ad un ritmo accattivante un testo piuttosto originale (mi ha conquistato con "lune a dondolo"), penalizzata però dall'interpretazione della stregonesca Irene Fornaciari, decisa a interpretare il ruolo della banshee (no so se ha saputo finalmente "perchè il mondo piange", ma io, almeno, piango per la sua voce).
La mia beniamina Noemi, invece, mi ha deluso un po'. E non mi riferisco al look della prima serata (sembrava uscita da Kiss me Licia, o meglio, da Magica Emi, visti gli orecchini a stella e il completo nero e fucsia in stile liquirizia ripiena...). Lei è straordinaria e per quanto mi riguarda potrebbe anche cantare La bella lavanderina, però lo zampino di Moro si è sentito: a me Sono solo parole sembra un po' monotona, per quanto non sia affatto da buttare... in giro c'è molto di peggio!  E con "peggio" intendo le canzoni dei giovani emergenti: sorvolerò sulla leziosa Erica(ramella) Mou, che è meglio lasciare a bagnomaria Nella vasca da bagno del tempo con le sue aspirazioni senili e la sua immotivata antipatia per gli orecchini chandelier.
Mi aspettavo qualcosa di più anche da Pierdavide Carone che, senza l'aiuto di Dalla, ha scritto testi di gran lunga più originali (la storia del ragazzo che s'innammmora della prostituta è vecchia come il mondo, da La traviata a Moulin Rouge!). La canzone non è affatto male, ma non riesco proprio a mandar giù il nomignolo della prostituta - più antiquato che vintage - (sulla scia di Mariù, Lulù, Mimì, Nanà, Cocò, Fifì...), la frase "c'è un camionista da accontentare" e, soprattutto, il sorriso di Pierdavide (chiamate un dentista!).
A proposito di vintage... Nina Zilli, grazie alla sua intensa Per sempre, è riuscita persino a farsi perdonare le mise da "Posso-Permettermi-Di-Tutto" (inseguendo il retrò a tutti i costi si rischia di risultare semplicemente malvestiti).
Insomma... zoppicante e un po' ammaccato, anche questo festivàl volge al termine. Uniche voci nel deserto, la genuina comicità di Rocco Papaleo e Alessandro Siani (standing ovation meritatissima) e le ugole d'oro straniere, come la monumentale Patti Smith... tutto il resto è una galleria di momenti imbarazzanti, dalle gaffe di Morandi sui gay (innescate dalle gag poco riuscite dei Soliti Idioti) alle parolacce abusate e bacchettate da un esercito di puritani (ma che cazzo!), dall'abbacinante vestito rosa letteralmente shocking di Francesca Michielin, rubato chiaramente dall'armadio della sua Barbie (sono rimasto sconvolto per una buona mezz'ora), al look da Eva Kant di Alessandra Amoroso, per non parlare poi del Ballo della Scopa di Federica Pellegrini, a cui consiglio: mai più abiti smanicati... anzi, mai più abiti... anzi, mai più (fuori dall'acqua).
Ma arriviamo alla domanda fatidica... chi vincerà? Io tifo per la canzone della foca (chiaramente ispirata alla risata da otaria asmatica di Ivanka) di Papaleo, che ha saputo divertire, anche solo con la sua faccia sorniona.  
Tornando ai cantanti in gara, i miei preferiti solitamente non vincono mai, perciò immagino che la corona d'alloro della canzone italiana toccherà ad Emma. Poco male: le vittorie a Sanremo sono come lampi nella notte. E poi domani i giornali di oggi saranno sul fondo della gabbietta di qualche cocorita. L'anno scorso ha vinto Vecchioni, e l'anno prima? Scanu. E l'anno prima ancora? Almeno per me, buio totale.

Aggiornamento (19/02/2012)
Che vi avevo detto?
D'altronde non ci volevano i maya o Roberto Giacobbo per intuirlo...

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