sabato 29 giugno 2013

Speciale Pubblicità insopportabili #2 - Colazione a casa Bullet!

Divertiti anche a tu a mescolare gli ingredienti e a mixare i personaggi per creare sempre nuove
ricette e infinite combinazioni extra-coniugali!
Ci sono vecchie pubblicità insopportabili che riescono a mantenersi sempre fresche e invitanti. Così, in preda a una dolce nostalgia, ho deciso di omaggiare con questo Speciale una delle televendite più riuscite e più amate di sempre, quella del fenomenale Magic Bullet, un classico intramontabile, una pregiata gemma di arte pubblicitaria che mi ha tenuto incollato al televisore sin dalla mia tenera pre-adolescenza. E' porno a tutti gli effetti per noi appassionati di pubblicità: non importa quante volte abbia guardato con occhi traboccanti di meraviglia le stupefacenti opportunità culinarie offerte da questo magico mini-mixer universale, ogni volta è come se fosse la prima. Come resistere alla calda accoglienza di Mick e sua moglie Mimi? Chi non sognerebbe di alzarsi dal letto, trascinarsi in cucina e vedersi porgere uno smoothie preparato con amore da questa radiosa coppia di esaltati?
Sfortunatamente la versione italiana di questa televendita, che chiaramente si ispira al dialogo rinascimentale, non è disponibile su Youtube, ma anche chi non mastica l'inglese potrà gustare pienamente la visione di un conciliabolo di idioti a bocca aperta che si esibiscono in cori di "WOW!" e "Incredibile!" di fronte alle prodigiose virtù di un mini frullatore. In una cucina linda e spaziosa (dove prevalgono colori caldi e rassicuranti, tipici delle serie tv e delle sit-com americane anni '90, da Genitori in blue-jeans a Una bionda per papà, da La TataOtto sotto un tetto), un variopinto campionario di fauna suburbana si riunisce intorno all'isola della cucina dei coniugi Bullet, che si sono svegliati di buon'ora per frullare praticamente qualunque cosa capiti loro a tiro.
Guardando il video in lingua originale potrete far caso alla pronuncia ridicola di alcune parole e a buffi suoni curiosamente dotati di senso compiuto: io stesso non riesco a smettere di ascoltare e riascoltare Mick esclamare "He's got strawberry 'n' banana!" al minuto 00.19 (da non perdere).


Il personaggio di Mimi, la perfetta padrona di casa tutta zucchero, si rifà senza dubbio alle casalinghe disperate di Wisteria Lane. Sono certo che, dietro quel sorriso imperturbabile, frullino a tutta velocità, come per effetto di Magic Bullet, inconfessabili dubbi e penosi interrogativi: "Mio marito mi troverà ancora attraente? Come la prenderebbe se riprendessi a lavorare? E se le punte dei miei capelli dovessero afflosciarsi, cedendo alla forza di gravità?"
Piuttosto che tentare di dare una risposta a queste angosciose domande, è sempre meglio tenersi occupati e provvedere al sostentamento dei propri ospiti. Il primo a presentarsi per la colazione è Berman, il misantropo calvo il cui unico amico è il suo barman, che si avvicina con passo da orso letargico e con indosso un'orrenda vestaglia di peli di procione (lo stesso che gli ha trasmesso la rabbia). Mimi, che invece sprizza energia e vitalità da tutti i pori (tutto merito dei suoi milkshake alla frutta, ricchi di vitamine... e, probabilmente, anche metamfetamine) saluta con un raggiante "Good mooorning Berman!" il suo ospite ancora stordito, che, chiaramente, si è alzato dal lato sbagliato del letto, per di più con un cerchio alla testa, la luna storta, la luna lucente della sua pelata e le scatole che girano più vorticosamente delle affilatissime lame di Magic Bullet (minuto 00.04). L'irascibile Berman non riuscirà proprio a perdonare alla padrona di casa il suo sonoro buongiorno, visto e considerato il rancoroso sarcasmo e l'espressione blasé che lo contraddistinguono durante tutta la presentazione ("Andiamo, Mimi, [mi stai dicendo che davvero usi Magic Bullet] tutti i giorni? Proprio tutti tutti tutti?", al minuto 03.45) Il burbero bevitore di Bourbon smette di brontolare solo alla fine, quando lo costringeranno a trincare un bel beverone di frutta e ortaggi misti, in cui, miracolosamente, non si avverte il ributtante sapore dei broccoli: "E' buonissimo! E pensare che non sopporto le verdure!" commenta, con ritrovato brio (minuto 14.31).
Ma in cucina c'è anche Tina la biondina, che si meraviglia e trasecola per il più banale frullato, regalandoci enfatiche espressioni facciali quasi degne di una nota esponente del trash televisivo made in Italy. A Tina gli autori hanno affidato il compito di riassumere e ricapitolare le gloriose gesta di Magic Bullet, come se il nostro span di memoria fosse insufficiente per immagazzinare tutte le sue strabilianti capacità. Accanto a lei, il suo sposo Ike, uomo dall'irreprimibile mascolinità, che, fissando con aria sdegnosa la capelluta Wilma e il suo cotonatissimo marito mentre degustano i loro deliziosi smoothies ai frutti di bosco (roba da donne e da effeminati), agita nervosamente la clava e chiede a Mimi se "C'è qualche possibilità di avere una vera colazione?" E per "vera colazione" intende una frittata di uova di pterodattilo, seguita dalla quotidiana bistecca di brontosauro (minuto 00.57).
Attirata dal profumo dei "ben due diversi tipi di muffin!", fa la sua sinistra apparizione anche Hazel, la megera del vicinato, con la sigaretta (spenta) perennemente in equilibrio tra le labbra secche e raggrinzite come prugne californiane (minuto 02.11). Potrebbe benissimo essere la nonna di Jigen, e non mi stupirei se anche lei ci sapesse fare con le armi: riesco ad immaginarla perfettamente, in camicia da notte, sul portico di casa, mentre si diverte a terrorizzare i bambini del quartiere con in braccio un fucile da caccia.
Poco dopo l'arrivo dell'ultima pensionante (minuto 03.52), a tradimento, i padroni di casa sorprendono gli ospiti con una domanda da un milione di dollari:

MICK: Ora vi chiedo, qual è il peggior lavoro da fare in cucina?
MIMI: ... quello con cui comincia quasi ogni pasto?

Avanti, non ditemi che non conoscete la risposta!
Lo facciamo all'inizio di quasi ogni pasto. E' un gesto quotidiano che ripetiamo ogni mattina, ancora prima di avvitare la caffettiera a colazione. Il nostro primo pensiero subito dopo aver salato l'acqua per la pasta. Una cena, poi, non è una vera cena se non lo si è fatto per bene. Di cosa stiamo parlando? Nessuna idea? Davvero?
Per fortuna c'è Hazel, che, oltre alla sigaretta incollata all'angolo della bocca, ha anche la risposta esatta sulla punta della lingua: "Sminuzzare l'aglio! Quel puzzolente, nauseabondo aglio!"
Sì, lo so, vi state tutti chiedendo come avete fatto a non pensarci prima...
Ma i quesiti sollevati da questa telepromozione sono molti altri, uno più enigmatico dell'altro. Per esempio, il marito di Wilma si chiama per caso Fred? La scelta dei nomi "Tina" e "Ike" è casuale o era aperta intenzione degli autori omaggiare Tina Turner e suo marito Ike?
Ma soprattutto... per quale motivo otto adulti dovrebbero dormire nella stessa casa? Non sono un po' troppo cresciuti per un pigiama party?
Sarebbe logico pensare che si tratti di un raduno di scambisti. Un remix di coppie annoiate e desiderose di dare un twist trasgressivo alla routine matrimoniale. D'altronde non può esservi altra spiegazione.
Non è da escludere che l'arguta Mimi abbia intuito la perversa attrazione di suo marito per Tina la stupidina, che è praticamente identica a lei (sicuramente vanno anche dallo stesso coiffeur), col vantaggio di essere più giovane di almeno un decennio. La donna avrà forse rinunciato all'idea di accettare (con un'accetta) la rivale e accettato pazientemente di assecondare i capricci del marito Mick, in piena crisi di mezza età, rivalutando la situazione come una buona occasione per esplorare a sua volta il mondo al di là delle frontiere del proprio talamo nuziale.
Verosimilmente, però, Berman e Hazel sono stati esclusi dal gioco a coppie, data la loro innegabile repellenza. Che la rispettiva dipendenza dal fumo e dall'alcool siano una reazione al loro senso di inadeguatezza e alla loro inesistente vita amorosa?
Se poi consideriamo le abitudini culinarie di Hazel, che inaugura "ogni pasto" sminuzzando aglio come se dovesse farcirci le tombe di un intero cimitero transilvano, è facile intuire quanto siano mefitiche le esalazioni della sua cavità orale. Basta mixare, servendosi naturalmente di Magic Bullet, due spicchi d'aglio, due manciate di mozziconi di sigaretta e un secchio di gin da due soldi per avere un'idea abbastanza precisa di cosa si provi a pomiciare con lei. E il tutto in soli 1... 2... 3... 4 secondi! Neanche il tempo di pronunciare una delle bizzarre espressioni cockney di Mick, come "Bob's your uncle" o "Fanny's your aunt."
Ora che ci penso, ho come il sospetto che la sulfurea Hazel e il caustico Berman possano essere imparentati. Ma la televendita si conclude senza alcuna agnizione o sensazionale rivelazione: tutto rimane sottinteso, non detto, celato. Come in un centrifugato di frutta e verdura, non si riesce più a discernere i vari ingredienti.
Ed è proprio questa la magia di Magic Bullet. Questo straordinario congegno alchemico, grattugiando, macinando, affettando, maciullando e mescolando ogni tipo di ingrediente, riesce a deliziarci con un'infinità di seducenti salse dai colori innaturali e invitanti mousse al cioccolato grigio, in più arricchisce di sapore ogni ricetta (minuto 08.25), da un fumante piatto di "Pesto Pasta" a un'abbondante porzione di "Fettucini Alfredo" (quest'ultima una famosissima specialità "italiana" che consta sostanzialmente di fettuccine stracotte color alga che nuotano in un mare di colla vinilica). Allo stesso tempo, però, Magic Bullet assembla, amalgama anche vite ed esperienze. Unisce persone diverse per età, forma, vizi ed abitudini, e tutto questo per offrirci, infine, un saporito guacamole di umanità.

venerdì 21 giugno 2013

Una serie di accademici accadimenti I - Stranieri e strani estranei

Spero vi piaccia l'ananas, il tropical mix era esaurito. E l'ACE non mi piACE. Ma chi può
aver inventato un gusto del genere, un farmacista?
Mentre percorro il lungo e impervio sentiero dorato, lastricato di buone intenzioni, che conduce verso l'agognata Laurea, comincio ad avvertire il rapido ed inesorabile declino delle mie facoltà mentali. Perciò ritengo sia il momento di raccontarvi, prima che sia troppo tardi, delle mie avventure in facoltà. Naturalmente, però, la lettura di questo post è facoltativa. Potete benissimo avvalervi della facoltà di leggere altro, ma se vorrete proseguire vi sarete guadagnati almeno un pied-à-terre nel mio cuore (se commentate anche una villetta, sempre nel mio cuore.)
Ad immatricolarmi ci sono andato attaccato alla gonna di mammà, e so cosa penseranno molti di voi: quanto sia disdicevole varcare la soglia dell'Alma Mater con la propria madre. Ma vi posso assicurare che la sua era una presenza puramente rituale. Ho ritenuto doveroso che presenziasse a questa cerimonia di passaggio. Non l'ho certo voluta accanto a me per supplire alla mia sveviana inettitudine o alla mia avversione per qualsivoglia pratica burocratica. E poi comunque la sua presenza è stata concepita soprattutto come una citazione dell'episodio di Una mamma per amica in cui Lorelai e Rory fanno una gita ad Harvard. Ma mentre le Gilmore contemplano ammirate i gloriosi cancelli dell'illustre università il cui nome fa rima con il regno degli déi nordici e si soffermano a rimirare i gloriosi cancelli da cui sono entrati e usciti fior fior di premi Nobel, quando io e mia madre abbiamo posato per la prima volta lo sguardo sulla facoltà di Lingue, ci siamo piacevolmente sorpresi dell'apparente stabilità architettonica dell'edificio e della rassicurante presenza di uscite d'emergenza. Mia madre ha cominciato, come suo solito, a familiarizzare con tutti gli studenti intrappolati nella coda purgatoriale della Segreteria, ed è inutile dire che nel giro di mezzora era in grado di recitare a memoria vita, morte e libretto di tutti i presenti. "Vedrai, ti troverai bene" mi assicura una ragazza dalla voce roca di tabagismo, guardandomi con i suoi intensi smokey eyes appena nascosti dietro il sipario di un caschetto biondo sporco, "Forse dal prossimo semestre ci sarà anche la carta igienica nei bagni..."
Deliziati dalla notizia, volgiamo le nostre attenzioni a una ragazza italo-venezuelana, abbordata (ça va sans dire) da mia madre, che l'aveva sentita parlare in spagnolo al telefono, visibilmente affannata, afflitta e sfiancata dall'afa. La maja, mentre si desnuda per combattere il caldo, mette a nudo le sue preoccupazioni, dimostrando anche lei una scarsa dimestichezza con la lentocrazia universitaria.  Così la aiutiamo a procurarsi un modulo di cui era sprovvista e, un istante dopo, una madre venezuelana si materializza davanti a noi, straripante di gratitudine, neanche avessimo strappato sua figlia alle acque infide del Maracaibo. La donna, che chiameremo Doña Gloria, riesce ad eclissare totalmente la sopracitata socievolezza di mia madre: dopo appena due minuti, si rivolge a lei e a me con espressioni come "mi amor" e, per di più, ci fornisce una dettagliatissima, picaresca autobiografia, soffermandosi sulle motivazioni che l'hanno indotta ad abbandonare Caracas: una storia personale a metà strada tra Eliodoro e Anche i ricchi piangono, la telenovela preferita dei miei nonni. Noi la ascoltiamo rapiti, all'ombra della sua opulenta,  prosperosa corporatura. Era come trovarsi difronte all'Archetipo della Madre, o a una di quelle floride dee precolombiane piene di seni e serpenti attorcigliati alle braccia, simboli della fecondità della Natura, con un bacino ampio e generoso come quello del Rio delle Amazzoni. Al congedarsi, ha rinnovato i suoi affettuosissimi ringraziamenti, ci ha baciati appassionatamente sulle guance e avvinti in un stretta da anaconda. A dire il vero, Doña Gloria ha abbracciato (senza alcun motivo) anche il Ragazzo Piccione, un tipo strano che ci ha seguiti ovunque, facendo avanti e dietro col collo come il suddetto volatile, con uno sguardo fisso e un po' ebete e la strana boccuccia perennemente contratta, ma con una piccola apertura al centro (una specie di sfintere, più che una vera e propria bocca).
In ogni caso non potrò mai dimenticare quel lungo abbraccio... caldo, umido e profumato come la foresta pluviale: è stato un po' come stringere tra le braccia l'intero Sudamerica. Non potevo desiderare benvenuto più caloroso.
La professoressa Zizzania, una delle mie insegnanti di francese, ha accolto me e i miei compagni quasi con altrettanto calore, facendo sfoggio, alla sua prima lezione, di eccezionali doti parenetiche: "Non troverete mai lavoro, il vostro impegno non verrà mai ripagato, molti di voi finiranno a rovistare nei rifiuti, o con la faccia premuta contro la terra a mangiare radici come Rossella O'Hara. Non c'è speranza, non c'è felicità, quello che voi chiamate 'vivere' è solo 'morire vivendo'. Che ci state a fare qui? Questa facoltà non servirà a niente. L'università non serve a niente. Siete spacciati! Io non ho figli, ma se ne avessi probabilmente li mangerei, perché le condizioni ambientali non sono abbastanza favorevoli per la loro sopravvivenza: non ci sarebbe cibo a sufficienza per tutti, figuriamoci mandarli all'università! E' un mondo crudele, non esiste più liberté, egalité, nè tanto meno fraternité! Bisogna lottare con le unghie e con i denti per sopravvivere. Pochissimi ce la fanno. Quasi nessuno. Sicuramente non voi. Andate via. Scappate. Io sto per andarmene. Tutti dovrebbero andarsene. La fine è vicina. Recessione! Morte! Distruzione! Apocalisse!"
Credo abbia alle spalle un passato da ragazza pon pon, perché il suo discorso è stato davvero incoraggiante: mi ha incoraggiato a cambiare classe e lingua. Adieu français!
Le mie prime settimane da universitario sono state decisamente solitarie. Spaventato ed ancor emotivamente troppo fragile, credo di aver trascorso più tempo nei pressi della mia facoltà o nelle facoltà altrui che nella mia. Non so quanto questa dicitura sia diffusa sul territorio nazionale, ma almeno da noi si suole definire "Scienze delle Merendine" i rami universitari giudicati inutili o meno impegnativi di altri. Ebbene, io sono uno dei pochi che possa affermare di averle studiate davvero, le merendine: le macchinette degli snack, così luminose e materne, sono state un enorme fonte di conforto. Passavo quasi tutto il tempo a poppare dagli Yoga Tasky, neanche fossi Maggie Simpson (Freud direbbe che sono rimasto fermo alla fase orale, cosa che comporta vittimismo, dipendenza dal cibo e sarcasmo pungente). Mi divertivo perfino a confrontare i prezzi e la qualità degli snack delle varie facoltà come Di Pietro, l'impiccione di Occhio alla spesa, che va in giro a chiedere alle vecchiette quanto hanno pagato i pomodori pachino o l'insalata belga: comprare una bottiglietta d'acqua da Psicologia al prezzo irrisorio di venticinque centesimi mi faceva sentire un genio della finanza, e quando c'erano le vaschette di ananas a chilometro zero.. era un po' come Natale. Senza contare il mio adorato succo di frutta al gusto di detersivo (il segreto è il sapore saponoso della melissa) o il sublime purè di mela di Medicina.
Ma il mio porto sicuro, il mio rifugio preferito dalle brutture del mondo era senza ombra di dubbio il ristorante greco dietro l'angolo, così accogliente, con quell'atmosfera ellenica che mi ricordava tanto il mio liceo classico, e così allegro, con tutto quel tripudio di azzurro e bianco ottico che fa tanto Mamma mia!.
Mentre cercavo di mandar giù la mia pita gyros con patatine spolverate di paprika mantenendo allo stesso tempo una minima parvenza di dignità (impresa impossibile), mi capitava spesso di ripensare alle parole della Zizzania. Il suo volto, dalle fattezze spaventosamente simili a quelle della professoressa Fullin, appariva minaccioso e incombente su di me come un'apparizione del Macbeth, non per impartirmi una lezione di tuscolano, bensì preannunciandomi un futuro da clochard.
Per adattarmi alla vita in strada, ho deciso, di condurre il mio lavoro di universitario en plain air: perché studiare in una stanzetta poco areata, seduto accanto a un tizio sudato che legge "a bassa voce", quando posso farlo al fresco, comodamente adagiato su una panchina, sotto l'ombra di una palma, circondato da vetrine di lusso, sotto gli occhi benedicenti dei commessi di Louis Vuitton?
Un dì, mentre ero immerso in tali considerazioni, qualcuno attira la mia attenzione: è una ragazza giapponese, accaldata e disperata, che, trascinandosi dietro il suo trolley, mi chiede le indicazioni per la stazione. "Oh, è semplicissimo, deve solo proseguire dritto. Non può sbagliare."
"Grazie mille" risponde lei, con un sospiro di sollievo. "Sei l'unico che conosca l'inglese tra quelli che ho incontrato..."
"Non sai quanto sei stata fortunata ad avermi incontrato, Katsuko" penso, tutto tronfio e soddisfatto, carezzando con uno sguardo di tenera compassione i vecchietti e i liceali disertori che ciondolano oziosi per la strada. Ma la sua fortuna più grande è stata pormi l'unica domanda a cui avrei saputo rispondere, visto l'ormai proverbiale senso dell'orientamento del sottoscritto, che deve disseminare la strada di patatine alla paprika per ritrovare la fermata dell'autobus.
Guardando il suo sorriso senza età e, subito dopo, i suoi capelli (lunghi e neri come quelli di Sailor Mars) dondolare appena al suo incedere verso la stazione, ho capito che, tutto sommato, ho fatto la scelta giusta per me. Se la mia deve proprio essere un'esistenza da pícaro, se proprio dovrò vivere di espedienti, saprò di poter sempre salire su un treno, o volare, come un uccello migratore, verso nidi più sicuri, o lidi più caldi (inettitudine permettendo).
Qualche, volta, però, pur parlando la stessa lingua, noi essere umani riusciamo ugualmente a non capirci. Una sera, di ritorno dalle lezioni, camminavo per quella che io chiamo affettuosamente International Square, per il suo essere un affascinante melting pot di lingue e culture. Ma al calar del sole, d'inverno, quando gran parte delle badanti, ciarliere e rassicuranti, è ormai a casa da un pezzo, ben pochi lo definirebbero un locus amoenus. Affretto il passo, cercando allo stesso tempo di mostrarmi disinvolto, ma queste raffinate tecniche di dissimulazione falliscono nell'ambiziosa pretesa di rendermi invisibile come un furtivo ninja. Un uomo punta gli occhi su di me e, con fare minaccioso, ringhia: "Le scarpe e la borsa."
Io abbasso istintivamente lo sguardo sulle mie scarpe e la mia tracolla. Confuso, miagolo un "Scusi, non ho capito."
Lui, deciso a non argomentare, si limita a ripetere: "Ho detto, le scarpe e la borsa."
Avevo un vago sospetto che volesse portarmele via, ma non capivo perché rimanesse lì, a tre metri di distanza, anziché assalirmi come ogni scippatore degno di rispetto. Non avevo ben capito quali fossero le sue intenzioni e mi sembrava scortese chiedere: "Mi scusi, vuole derubarmi, vendermi qualcosa oppure farmi i complimenti per le mie scarpe e la mia tracolla di pelle?". Sarei apparso ingenuo, prevenuto e vanesio allo stesso tempo. Così alla fine ho optato per la parte a me più congeniale: quella dello svampito. "Mi scusi, non ho capito" chiudo lì, e mi allontano con non-chalance. Il presunto scippatore questa proprio non se l'aspettava. Rimane con un palmo di naso, poi mi grida dietro, infuriato: "Ma lo capisci l'italiano?!"

Una serie di accademici accadimenti:
Episodio I - Stranieri e strani estranei
Episodio II - Grandi speranze
Episodio III - Legami chimici
Episodio IV - Studenti esasperati
Episodio V - In balìa della balia
Episodio VI - C'era una svolta
Episodio VII - Volver
Episodio VIII - Senza vergogna
Episodio IX - Chiamatemi (un) dottore

martedì 4 giugno 2013

Pubblicità insopportabili #24 - Artisti fuori strada

Io proprio non riesco a capire perché McDonald's sia così ritrosa a pubblicare su YouTube i propri spot. Non essere ancora riuscito a vedere Belén Rodriguez in veste di testimonial della nuova insalata di pasta è una cosa che mi scompiffera alquanto. A nulla sono valsi inseguimenti, spasmodiche ricerche su Google e interminabili appostamenti davanti alla tv: Belén è oramai la mia balena bianca, elusiva e misteriosa come un chupacabra.
Selvaggia Lucarelli si è avventata su di lei come neanche un bracco sulla selvaggina, io, invece, non ho ancora appagato la mia sete di sangue, perciò penso proprio che farò strage di qualunque Pubblicità insopportabile mi capiti a tiro.
Iniziamo con Chiara Gualazzo, che ultimamente semina il panico per le calli di Venezia. Quando sopraggiunge lei, preannunciata dai suoi gorgheggi, col quel portamento aggraziato da ottuagenaria lordotica in ciabatte, le gondole si ribaltano, i cavalli bronzei di San Marco s'imbizzarriscono e stormi di piccioni migrano oltreoceano. Ma sono gli artisti di strada i più provati da questa calamità.


Capisco che la crisi si faccia sentire per tutti, Chiara, ma non mi andare a rubare il lavoro ai musicisti itineranti. Comprati un cappello tuo e scegliti una stradina dove storpiare l'inglese per i fatti tuoi.
D'altronde Venezia è piena di canali. Poi è normale che cambi canale anch'io, scusa. Cosa farai la prossima volta? Ruberai la scena al dolce Remì?
Comunque già dallo scorso Sanremo avrei dovuto capirlo che era una scroccona abituale: tutto quel suo "Portami a bere..." e "Fammi fumare..." avrebbe dovuto insospettirmi.


Lasciata una cantante, passiamo a una ballerina, il volto dello spot che per mesi è stato il nostro calcio sotto la cintola quotidiano.
Che Rossella Brescia abbia perso la retta via (oltre che la voce), s'era già capito, visto che ormai fa qualunque cosa, tranne che ballare. Le manca solo di presentare il Circo di Montecarlo. E le dimostrazioni della Tupperware.
Più guardo questo spot, però, e più mi convinco che senta la mancanza del tutù.
Quello lì non è soltanto un calcio sadico e immotivato, ma un grand jeté allo stadio embrionale, un passo di danza sfuggito al suo controllo. Quel calcio è chiaramente il grido d'aiuto di una ballerina che vuole tornare a vivere in punta di piedi.
In ogni caso il grido più forte è quello dello sventurato facchino.
Magari consegnava scarpe a domicilio per pagarsi la scuola di danza...
Magari anche lui aveva un sogno...
Magari immaginava già di interpretare il Topo n°9 ne Lo Schiaccianoci...
Ma probabilmente quel calcio, oltre ai suoi legamenti, ha infranto anche ogni sua speranza di entrare nel mondo del balletto, di raggiungere con un pas de chat l'agognato successo.
L'entusiasmo per le nuove scarpe e la raucedine non sono motivi credibili per quel colpo asinino scagliato a tradimento. Dev'essere scattato qualcos'altro nella mente di Rossella, ballerina repressa, alla vista di questa nuova promessa della danza. Molto probabilmente, una reazione psicotica in stile Il cigno nero...


LinkWithin

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...