martedì 26 febbraio 2013

Il loggione dei dannati

Ci sono cose che la pigrizia non mi permetterebbe mai di fare, se non fosse per la mia amica Erika, la personificazione stessa dell'organizzazione e del dinamismo.
Non si può semplicemente passeggiare, con Erika.
O meglio, puoi passeggiarci, sì, ma al termine della promenade ti ritroverai puntualmente con una card speciale per avere sconti al cinema, un'assicurazione sulla vita e un dettagliatissimo programma per ottimizzare al massimo i tempi di studio e conseguire in tempo la tua laurea. Se il destino di ognuno di noi è già scritto, scommetto che è stata Erika, che ha catalogato tutto in pratiche tabelle orarie di facile consultazione.
La settimana scorsa siamo andati a teatro, per uno spettacolo di danza contemporanea.
Il teatro mi è sempre piaciuto: impazzisco per il velluto rosso e lucido che riveste praticamente ogni cosa, e amo tutto quell'indulgere in stucchi e putti alati. Eppure, se non fosse stato per lei, mi sarei abbandonato all'ennesima serata di coma telefilmico.
Erika è una delle poche persone in grado di fare a braccio di ferro con la mia inguaribile indolenza, e vincere. Anzi, stravincere: è riuscita nell'impresa impossibile di farmi svegliare all'alba, salire su un pullman e mettermi in fila per ritirare i biglietti gratis offerti dall'università. La distribuzione avveniva all'URP (Ufficio Relazioni col Pubblico). Ho sempre pensato che quella sigla ricordasse un'onomatopea, tipo "gulp". In effetti credo sia l'onomatopea che i protagonisti dei fumetti usano quando si trovano di fronte ad una fila interminabile di studentesse universitarie decise a combattere con le unghie e con i denti pur di accaparrarsi i posti migliori del teatro.
Onde evitare una strage, come quella consumatasi due anni fa per Lo Schiaccianoci (io ed Erika siamo riusciti a fatica a strappare due biglietti insanguinati dalle mani ancora calde di un cadavere - che non aveva alcuna intenzione di mollarli), qualcuno ha pensato bene di redigere una lista, in modo che venisse rispettata la sacra legge del "Chi prima arriva, meglio alloggia."
Mentre la lista dei Prescelti si allungava fino a raggiungere proporzioni chilometriche, io ed Erika ci siamo seduti e abbiamo aspettato pazientemente l'orario d'apertura dell'ufficio, prendendo in giro i concorrenti di Sanremo (facevamo a turno la parte di Simona Molinari e di Peter Cincotti.)
Quando la moltitudine degli appassionati di balletto cominciava a dare i primi segni di nervosismo, le porte dell'URP sono state finalmente spalancate. E poi subito richiuse dai due tremebondi impiegati, atterriti dall'orda di studenti incattiviti dai lunghi tempi di attesa.
Dopo un paio di cruente ondate rivoluzionarie, la pace è stata ristabilita, e una ragazza si è offerta di leggere uno per uno i nomi sulla lista, in modo da evitare che qualche furbetto arrivato all'ultimo minuto passasse davanti a una comitiva che aveva trascorso la notte in una canadese.
"Isabella Perniola" ha sussurrato timidamente la ragazza dal volto canino, leggendo dalla lista.
"Voce!" ha abbaiato qualcuno. "Non si sente niente! Chi ha chiamato?!"
"Angelica Fogazzaro..." prosegue lei, senza alzare di una nota la sua vocina da moribonda.
"NON SI SENTE NIENTE!"
Isteria generale.
"Celeste Delfino!" continua la ragazza cinocefala, cominciando a spazientirsi anche lei.
Celeste Delfino...
Delfino Celeste...
Io ed Erika riusciamo a fatica a trattenerci dal ridere in faccia alla ragazza i cui genitori hanno avuto il coraggio di chiamare Celeste Delfino. Ma dove sono gli assistenti sociali quando c'è bisogno di loro?
"A che numero siamo arrivati?"
"Al diciassette... Giuditta Salvemini."
"Giuditta!" esclamo, a voce un po' troppo alta. "Che bel nome biblico!"
(Trovarmi spiaccicato tra estranei è una situazione che mi rende sempre particolarmente spavaldo e faceto.)
Giuditta si limita, per fortuna, a rivolgermi un tiepido sorriso, mentre attraversa a fatica quel groviglio di corpi,  tendendo le mani verso il biglietto della libertà.
Grazie al cielo, proprio quando io ed Erika cominciavamo a non ricordare più "che sapore ha la felicità" ("Oh I need you back!"), siamo riusciti a ottenere anche noi il nostro agognato ticket a costo zero. A costo zero, se non consideriamo la dignità e la pazienza.
Due sere più tardi, mi ritrovo davanti al teatro, a braccetto con la mia dama, pronto per la prima di Alchemy, il nuovo spettacolo dell'acclamata compagnia di ballerini-illusionisti americani nota come MOMIX (piccolo assaggio). Se la consegna dei biglietti è avvenuta in modo più o meno civile, non si può dire lo stesso per il nostro ingresso nelle sfavillanti sale del Petruzzelli. Sì, perchè agli studenti universitari è riservato il loggione, che, oltre ad essere l'area più scomoda, soffocante e inutile del teatro, non ha neanche i posti numerati. E questo significa "GUERRA!".
Dopo aver lanciato occhiate astiose alle vecchiette impellicciate e olenti di naftalina che si dirigono con tutta calma verso la platea, Erika mi ha affidato il compito cruciale di superare le studentesse avversarie e conquistare due posti decenti. Per quanto abbia il passo lungo, non è esattamente il compito che fa per me. Ed Erika dovrebbe saperlo, visto che siamo compagni di teatro ormai da un po' di anni. Ne abbiamo passate tante insieme, 3msp (tre metri sopra la platea). Senza contare quell'anno in cui abbiamo recitato nella stessa compagnia amatoriale.
In ogni caso, ce l'ho messa tutta: mi sono arrampicato a due gradini alla volta per cinque rampe di scale, ho placcato (poco galantemente) un paio di ragazze in abito da sera e ho fatto mangiare la polvere a tutte le altre. Nonostante tutti i miei sforzi, però, quando Erika mi ha raggiunto, incedendo lentamente sui tacchi alti col suo tipico portamento regale, è riuscita in quattro e quattr'otto a trovare due posti migliori di quelli che avevo occupato io, vanificando il mio barbaro spargimento di sangue. Per di più ci siamo seduti proprio accanto a Celeste Delfino.
"Mio caro, guarda, c'è anche il barboncino!" mi indica Erika, togliendosi il cappotto.
"Chi?" domando, distrattamente, lisciandomi la giacca da ussaro.
"Tesoro, quella che è appena passata... la ragazza che leggeva la lista."
"Ah, ma allora anche tu hai pensato che avesse la faccia da cane?!" sghignazzo di gusto.
"Certo che sì!" trilla lei, con la sua dizione perfetta. "Con quei capelli poi... non può che essere un barboncino."
"Anche quella lì era all'URP... me la ricordo."
"Sai a chi somiglia? A Penelope Cruz..." osserva lei, "... in Non ti muovere."
E qui parte un altro scroscio di risate. Quella di Erika, poi, è contagiosa.
"Odio il loggione" borbotto, dopo un po'. "Mi sto sciogliendo dal caldo... siamo così in alto che possiamo guardare nelle palle degli occhi le statue accanto all'orologio sopra il palcoscenico. Che divinità sono, secondo te? Quella con la cetra sarà una Musa... o la personificazione della Musica."
"L'altro mi sembra Dioniso."
"Ma se ha le tette?"
"Caro, sicuro che non siano pettorali?"
"A me sembrano seni di donna..."
"Chissà come le spolverano, le statue, mi chiedo... così in alto!" riflette ad alta voce Erika, ma il passaggio dell'affascinante maschera dallo sguardo tenebroso la distrae ben presto dalle sue meditazioni.
Intanto, il mio, di sguardo tenebroso, cade su una ragazza appoggiata alla colonna, che chiacchiera amabilmente con le amiche e gioca con le perle del suo collier Chanel.
"Ma cos'ha adosso? Un tutù depresso?"
"Perchè, non hai visto la sua amica?" ribatte Erika, alludendo alla ragazza seduta davanti a noi (la sventurata avrà la vista dimezzata dalla ringhiera per tutto lo spettacolo.)
"Quello è un abito da cocktail" osservo, con aria di disapprovazione.
"Sì, infatti, poco fa l'ho sentita dire che hanno appena finito l'happy hour" mi informa Erika."Lei ha preso uno spritz."
"Eh, ma l'abito dello spritz non è l'abito della serata a teatro" pontifico, in finto tono severo.
Ripensandoci, quassù, in piccionaia, potremmo anche venirci in costume da bagno.
"Guarda, tesoro, le si vede il perizoma."
Il commento che stavo per pronunciare mi muore in gola quando, due posti più in là, un tizio si toglie il maglione, rivelando una t-shirt che metterei al massimo in spiaggia (solo se poco frequentata.)
Fortunatamente il teatro è ben presto piombato nel buio e lo spettacolo ha avuto finalmente inizio. A dispetto della locandina, che sembrava promettere un rave party, piuttosto che un balletto, l'esibizione si è rivelata un surreale e ipnotico percorso alchemico, in cui luci, movimenti, costumi, specchi e trompe l'œil plasmano esseri in continua mutazione: da lingue di fuoco ad eteree divinità astrali, da idoli pagani danzanti a perle racchiuse in conchiglie di tulle (e qui Erika si è commossa.) Nonostante la schiena a pezzi, il caldo asfissiante e il fidanzato (o l'amico di letto?) della tizia in abito da cocktail che controllava continuamente il punteggio di Milan versus Barcellona sul cellulare, siamo riusciti a lanciarci con gli straordinari artisti di MOMIX in un viaggio attraverso gli elementi: dal fuoco all'acqua, dalla terra all'aria, fino alla quintessenza, il cuore di quell'esperimento esoterico chiamato arte.
"Ma hai visto che fisici scultorei, quei ballerini?" sospira sognante Erika, a spettacolo finito. "Peccato che con quei panta-pareo perdessero tutta la loro virilità..."
Per quanto mi abbia entusiasmato, è solo un bene che lo spettacolo sia durato appena due ore: "Ho già detto che odio il loggione o mi sto ripetendo?"
"Raffy caro, dicono che i migliori critici teatrali guardino sempre gli spettacoli dal loggione."
"Ci credo! Un supplizio del genere rende ogni spettacolo un fiasco. Quello è il posto migliore per sputare veleno."
Mi guardo intorno, nel foyer, che si riempie a poco a poco delle anziane in pelliccia e delle teste canute in Loden, di ritorno dalle loro comode poltrone in platea. E lì mi è partito un rabbioso giuramento alla Rossella O'Hara, con tanto di pugno sollevato e denti digrignati: "Giuro davanti a Dio e Dio m'è testimonio che un giorno o l'altro potrò permettermi un abbonamento a vita in platea. Giuro che supererò questo momento, e che quando sarà passato, non siederò mai più in loggione! Né io né i miei amici! Dovessi mentire, truffare, rubare, uccidere... lo giuro davanti a Dio, non siederò mai più in loggione!"
E vai con la colonna sonora di Via col vento.
Di tutti i lussi che la ricchezza può garantire, nessuno è paragonabile all'incommensurabile soddisfazione di sedere in platea, specialmente, poi, dove c'è quella specie di corridoio centrale, e puoi - piacere di tutti i piaceri - sgranchirti le gambe ogni volta che vuoi.
Sedere lì sarà uno degli scopi principali della mia vita. E' un obbiettivo che perseguirò con ogni mezzo. "Anche a costo di fare delle avances alla nonnina laggiù, con quella sobria pelliccia rosa pesca... ma che ha fatto, ha scuoiato un Orsetto del Cuore?"

sabato 23 febbraio 2013

Pubblicità insopportabili #18 - The (B)old and The Beautiful

 
Clicca qui per guardare lo spot
C'è una storia d'amore, in tv, che vi conquisterà anema e core, una storia indimenticabile che inizia sulle acque verde-azzurro di una romantica e volutamente stereotipica Capri. Scugnizzi festanti saltano come capre montane giù per la scogliera e si precipitano al molo, chiamando a gran voce: "Signorì, signorì!"
Di chi si tratta? Ma di Brooke, naturalmente, che li saluta dal motoscafo, non proprio una signorì, ma così innegabilmente beautiful con quel foulard sul capo e gli occhiali scuri da diva anni '50,  mentre Ridge (che è evidentemente ha battuto forte la testa contro gli scogli e ha dimenticato di averla sposata almeno una dozzina di volte) l'aiuta galantemente a sbarcare, rimanendo estasiato da cotanta avvenenza. Gli tremolano persino le rughe del collo, che imitano l'infrangersi incessante delle onde sulla battigia (tra l'altro ridge significa "incresparsi"). Uno sguardo rovente fa già scoccare la scintilla tra i due sconosciuti. Lui, con gli occhi fissi da merluzzo, il collo rigido e la pelle coriacea da iguana, la insegue, come ogni bravo stalker vacanziero, per tutta l'isola a cavallo della sua Vespa. Mentre Brooke posa per un servizio fotografico (per l'occasione indossa una tutina rosa porcellino e un sobrio cappellino da matrimonio reale inglese), una scugnizza le recapita un biglietto misterioso. Abituato agli intrighi di Beautiful, mi sarei aspettato una rivelazione shock: che la bambina fosse la figlia illegittima di Ridge, o che il barcaiolo fosse in realtà il suo fratellastro malvagio, nato dall'unione tra Stephanie Forrester e il re degli dei, Zeus (dopo che questi aveva assunto le sembianze del marito Eric).




 
Questa volta, però, si è trattato solo di un infuocato biglietto d'amore firmato da Ridge, che le dà appuntamento per quella sera. La scena si sposta così nel budoir della diva, che si spoglia con fare seducente mentre ciabatta per la stanza, sentendosi Charlize Theron nello spot di Dior. Inutile sottolineare che l'effetto è ben diverso. Proprio mentre Brooke si improfuma e si specchia vanitosa alla toeletta, mio padre si è affacciato sull'uscio e ha esclamato: "Ma quella è... come si chiama... Rita dalla Chiesa!"
"No, è Brooke dal sepolcro."
Il sole, rosso di passione, sta calando finalmente su Capri, e Brooke, splendida nel suo abito svolazzante (non la lascerebbero entrare nemmeno ad una competizione di balli da sala) corre alla balconata sul mare, col passetto aggraziato della bagnante che zampetta imprecando sulla sabbia cocente.


Una signora non dovrebbe mai correre, specialmente da un corteggiatore, ma le regole del galateo crollano come castelli di sabbia dinanzi all'impetuosa onda anomala dell'amore.
Brooke, come dicevo, corre senza motivo, per poi schiantarsi contro la ringhiera. Per poco la velocità guadagnata durante la sua discesa a rotta di collo non la faceva franare rovinosamente su scogli accuminati. I personaggi di Beautiful (specie Taylor) hanno nove vite come i gatti, si sa, ma questo non è un buon motivo per lasciarsi trasportare dall'inerzia e sfracellarsi, soprattutto perché, di volta in volta, è sempre più difficile giustificare le resurrezioni.
Per fortuna Ridge è lì, con il suo smoking bianco e nero, che l'afferra al volo, la stringe fra le braccia e le sussurra: "This is my Impero."
Ora, mi chiedo, quale sarebbe, esattamente, il suo impero?
Si è comprato Capri?
O si riferisce alla balera dell'hotel?


Avete indovinato: sono proprio loro, Ronn Moss (Ridge) e Katherine Kelly Lang (Brooke) gli ospiti stranieri che vi avevo promesso. Sento di dover esprimere tutta la mia solidarietà ai cittadini di Capri. Mi addolora sapere che anche la splendida isola campana sia stata infestata dalla iperglicemica presenza di questa coppia: da quando sono scesi in Puglia per girare alcuni episodi di Beautiful, Bari è tappezzata dalle loro facce tirate, che pubblicizzano praticamente qualunque cosa, dalle ditte di arredamento alle orecchiette.
Naturalmente, Ridge e Brooke hanno accettato senza esitazione il nostro invito a presenziare alla premiazione dello spot vincitore di Sanréclame.
Sommando il giudizio della Giuria di Qualità e quelli del televoto, siamo fieri di annunciare che il vincitore della prima edizione del Festival Pubblicità Italiana è... Anna Tatangelo, con "Non sarai più tu"!
Con la sua angelica voce, Anna non soltanto è una delle cantanti italiane più amate da Gigi d'Alessio, ma si è ben presto imposta come figura cardine del panorama culturale europeo e non, superando persino Oscar Wilde come personaggio più citato di sempre: la sua "quando la persona è niente, l'offesa è zero" è al primo posto tra gli aforismi più usati per zittire qualcuno in modo spocchioso.

martedì 19 febbraio 2013

Pubblicità insopportabili #17 - Sanremo 2013 è stato presentato da...

Il 63° Festival della Canzone Italiana si è concluso, e una nostalgia canaglia ci attanaglia tutti. Soddisfatti della vittoria di Marco Mengoni? 
E se vi dicessi che ci sono altri cantanti che non sono stati presi in considerazione?
Forse non erano ufficialmente in gara, ma sono i vincitori morali di questo festival. Parlo, naturalmente, del corredo di pubblicità insopportabili che hanno accompagnato le cinque serate dedicate alla musica italiana. Anche loro meritano i loro trenta secondi di gloria: è per questo che potrete votarle e decretare così la canzone vincitrice della prima edizione di Sanréclame!
La prima artista in gara è stata prima una ragazza di periferia, poi una ragazza di profumeria, visto lo strato di trucco che le si inspessisce sul viso ogni anno di più. Sì, avete indovinato: è proprio Anna Tatangelo. Per qualche motivo Lady Tata non ha partecipato a questa edizione: sarà stato il fato, oppure Fazio, a non volerla? O magari è stato Giggggggi a dissuaderla, considerando la sua partecipazione alla scorsa edizione di Ballando con le stelle, dove non solo non è riuscita a conquistarsi la coppa della vincitrice, ma le è esplosa anche la coppa del reggiseno.
Fatto sta che, dopo la noce di cocco nuda che le è schizzata fuori dal vestito durante un frenetico quick-step, la nostra Anna ha trovato il modo di partecipare comunque alla kermesse sanremese, con un nuovo pezzo per il brand Coconuda. 

Non sarai più tu
Di Coconuda, G. D'Alessio,
canta... Anna Tatangelo!


Il brano, raffinatissimo, quasi lirico, è già l'inno dei bulletti del mio quartiere. Al termine dell'esibizione, la Tatangelo ci assicura: "Coconuda, è tutto un altro stile." Io però invertirei  l'ordine: "Coconuda, lo stile è tutt'altro."
Dopo il caso della farfallina di Belén, il regolamento di Sanremo ha negato l'accesso all'Ariston a tutti gli animali (anche se qualcuno è riuscito a mimetizzarsi tra i cantanti in gara), ma il nostro secondo artista, il pinguino Pino, non si è dato per vinto e, freddando ogni critica, ha saputo scaldare il cuore degli italiani.

Illimitatamente
Di Vodafone e Elio,
canta...Pino il pinguino!


Prima l'orso Bruno con la voce di Abatantuono, adesso il pinguino Pino doppiato da Elio... la Vodafone continua il suo omaggio alla favola esopica, propinandoci l'ennesima bestia parlante. Neanche avessimo tutti due anni e guardassimo ancora Bear nella grande casa blu ("Addio, addio, amici addio! Noi ci dobbiamo lasciare...", la canzone di Bear e Luna, quella si che è una hit!) 
Ora mi chiedo, quale sarà il prossimo testimonial? Una marmotta con la voce di Orietta Berti? O forse un pollo delle praterie che schiamazza come Mengoni? Considerando l'eccesso di salivazione di quest'ultimo, potrebbe prestare la voce, in alternativa, anche ad uno schiumante cavallo sauro.
Ma adesso riconduciamo le pecorelle all'ovile e mettiamo da parte le bestie di zio Tobia: ci sono gli ultimi concorrenti da presentare.
Come ogni edizione di Sanremo del nuovo millennio, anche Sanréclame non si fa mancare il suo contingente di ex concorrenti dei talent. Loro sono una vecchia conoscenza delle Pubblicità insopportabili: accogliamo ancora una volta, con un bell'applauso, i Moderni, che, dopo il successo di X-Factor, ci invitano ad andare dritti dritti a quel... McDonald's.

Vai da McDonald's
Di R. McDonald,
cantano... I Moderni!


Naturalmente un festival è solo una serata di karaoke tra amici sbronzi se non ci sono gli ospiti d'onore, come Sonia Peronaci, la chef di GialloZafferano che per tutte e cinque le serate di Sanremo ci ha rifilato la stessa ricetta: la cheese-cake con Philadelphia. Sonia, quella roba sarà anche buona, ma dopo quasi una settimana... un po' stufa, eh. Di' la verità, è stata la Parodi, vero? E venuta da te con la scusa che le era finito lo zucchero e ti ha sgraffignato il ricettario?
Non infierisco oltre: vi lascio alle acute osservazioni di mio padre su di lei, che potete leggere qui.
La seconda ospite di questa sera viene dalla caliente Argentina e per tutto Sanremo ci ha fatto una Mazza così, raccontandoci della sua vita, dei suoi figli e di suo marito. Tutto questo per sbatterci in faccia la sua felicità familiare e il fatto che dopo quattro gravidanze sia ancora bella, scattante e flessuosa come un puma delle Pampas.



Difficile crederlo, ma sono passati vent'anni dal suo ultimo spot per Clinians, e Valeria Mazza è riuscita quasi a pronunciare una 'z' come si deve. Finalmente.
Confesso, però, che avrei preferito non correggesse questo difetto: ho trascorso buona parte dei pomeriggi al mare della mia infanzia a correre sul bagnasciuga, trascinandomi dietro un asciugamano sventolante, per poi fermarmi e scandire di fronte ad una telecamera immaginaria: "Clinians, la mia clinica della bellefssa". Mia sorella si rotolava dalle risate per tutta la spiaggia.
Poi, ho riproposto l'imitazione anche al liceo, saltellando per il corridoio con la mia sciarpa chilometrica, e ottenendo anche in quel caso un enorme successo tra le mie compagne di classe. E' uno sketch che da tempo era entrato a far parte del mio repertorio comico, ed è triste scoprire che è ormai superato. 



"Eh, il tempo passa", ma per votare avete ancora tre giorni, fino a venerdi 22! Quale pubblicità insopportabile si aggiudicherà la vittoria del primo Sanréclame?
Non perdete d'occhio Il Tè: a consegnare il premio saranno due ospiti internazionali da far schiattare d'invidia anche Fazio!

domenica 17 febbraio 2013

L'essenziale di Sanremo 2013

E mentre il mondo cade a pezzi, io compongo l'ultimo post dedicato a questo Sanremo, che, dopo quattro puntate (1, 2, 3 e 4) si è richiuso come un cerchio: nella prima serata il pensiero è volato a Verdi, nell'ultima abbiamo sognato cavalcate selvagge grazie al direttore inglese Daniel Harding e il suo omaggio a Wagner.
La finale di Sanremo è sempre il momento dei miracoli: le canzoni risultano quasi tutte più belle del solito, soprattutto quella di Malika, ma persino Vorrei dei Marta sui Tubi è parsa meno malvagia di quanto ricordassi. Intanto Annalisa Scarrone tira fuori finalmente uno straccio di vestito, e Chiara Galiazzo fa un tentativo lodevole, per quanto malriuscito,  visto l'effetto uovo pasquale. Maria Nazionale sfoggia ancora una volta una mise di grande tendenza. Dieci anni fa, forse. Un abito a sirena turchese che solo alla fine rivela anche degli orripilanti disegni tribali sull'orlo. Quanto a Simona Molinari, io credo che odi profondamente se stessa: dopo essersi vestita al buio per giorni, ieri ha cavalcato il palco con la sua tenuta da amazzone, una specie di corazza di rame con drappeggi svolazzanti. Tra i membri della Giuria di Qualità, ho notato con piacere che l'étoile Eleonora Abbagnato ha smesso l'abito di due sere fa, un sacco nero con una striscia verticale più chiara al centro (stile puzzola, per intenderci) e si è stretta in un succinto tutù da Cigno Nero. Peccato per l'inquadratura imbarazzante che ha immortalato le sue gambe nerborute in una posa decisamente poco elegante. Ma non lo sa che deve accavallarle se non vuole che le si veda tutta la Giselle in mondovisione?
Una menzione speciale va all'inquietante travestimento di Max Gazzè, che dopo essersi rattoppato il retro della giacca con i resti di un pappagallo messo sotto da un tir, ha spaventato a morte Fazio con l'occhio di vetro e il completo gotico-piratesco.
Ma la vera filibustiera del festival, la balenga con la voce di Elvira dei Looney Tunes, è l'adorabile Lucianina Littizzetto, che si è posata sull'Ariston volando con le ali della farfalla di Belén: "Sono una farfalla cavolaia, perchè mangio le teste di cavolo!". Come aveva già fatto durante la serata dedicata alla lotta contro violenza sulle donne, anche ieri ha esordito con la sua verve comica e poi sbalordito con la sua vis retorica, intessendo un elogio alla bruttezza, o meglio alla non bellezza esteriore, e alle beautiful minds del presente e del passato, da Rita Levi Montalcini a Giacomo Leopardi, finanche a Noè, che ha salvato capre e cavoli.

Luciana collauda il suo sguardo sexy da "saltami sulle piume!"
Parlando di mera bellezza esteriore, non si può davvero dire che Bianca Balti abbia fatto sfoggio di poi così tanta avvenenza. Credo sia intrinsecamente molto bella, ma è scivolata su un po' troppe bucce di banana, e stava anche per rovinare sul palco mentre dava lezioni di passerella a un'esultante Luciana (forse era meglio rimanere a piedi nudi). Come perdonarle gli incisivi giallognoli e i capelli stinti, color pelliccia di licaone? Un po' troppo spettrale la sua apparizione, quando è discesa tra noi comuni mortali, in preda alla ridarella, con un paio di chandelier esagerati e un (pur bellissimo) abito di pizzo bianco. Avrei preferito che qualcuno le avesse strappato le maniche a sbuffo come a Maria Nazionale. Entrambe, però. Le mise successive, escluso il completo nero (da dimenticare), cambiavano solo per il colore: bello il pizzo, ma, dopo un po', che pizza!
Un filino di trucco, inoltre, avrebbe aiutato ad ammorbidirle il taglio del viso, che ricorda molto quello di  un ghepardo. Complici anche i capelli a spaghetto, sembrava una nativa del pianeta Pandora con la ricrescita. Insomma, bella sì, ma come può esserlo un'opera d'arte incompiuta.
Lucy, invece, sembra essersi conservata il meglio per il gran finale, a partire dal fiammeggiante abito rosso cupo, tempestato di lapilli e fumante di piume nerofumo, che ben rispecchia la sua vulcanica personalità. Originale anche il secondo abito, con la gonna ardesia abbondantemente impreziosita da una luccicante cinta color elettro, brillanti e piume corvine. Più convenzionale, ma pur sempre apprezzabile l'ultima vestizione, con gli orecchini a forma di cozza astratta, la materna scollatura alla Clerici e l'ampia gonna papavero. Zitta zitta, sfarfallandogli intorno come una vanessa, Lucianina è riuscita a conquistarsi il pantagruelico rugbista Martín Castrogiovanni, "che parla come Belén, e ha pure gli stessi capelli!", e se l'è portata in braccio per tutto l'Ariston.
Oltre al succitato "armadio a due ante", tra gli ospiti della serata finale, il ballerino contemporaneo Lutz Forster (a cui hanno tolto le articolazioni), l'ormai leggendario Andrea Bocelli (Quizás, Quizás, Quizás), e la giovanissima cantante inglese Birdy (come altri ospiti stranieri, anche lei di secondo lavoro fa l'anestesista.)
Poco incisivo il monologo di Claudio Bisio sulla responsabilità del voto. Una lezione di coerenza poco credibile visto che, a quanto mi risulta, è ancora al soldo di Mediaset.


Ma adesso veniamo a noi, al podio dei vincitori. Meritatissimo il premio della critica e per il miglior arrangiamento agli Elii, che, per l'occasione, sono lievitati come palloni gonfiati d'elio. E' stata una piacevole sorpresa anche vederli arrivare al secondo posto. Prevedibile, come l'abito nero di Malika, la presenza tra i finalisti dei Modà e la vittoria annunciata di Marco Mengoni. Se è vero che "l'essenziale è invisibile agli occhi", L'essenziale è inudibile per le orecchie. Non che sia una canzone poi così brutta. Il problema, per me, sta tutto nella voce di Mengoni: stridula, enfatica, agonizzante. Senza contare tutti quei tic da cane idrofobo. Quando parla, poi, è anche peggio.
Infondo, però, è pur sempre meglio di Emma Marrone e la mai più ascoltata Non è l'inferno.
Più che per il trionfo di L'essenziale, questo festival verrà ricordato soprattutto per l'encomiabile e riuscitissimo tentativo di sensibilizzare, svecchiare, divertire e riabituare alla cultura un pubblico televisivo da troppo tempo assopito sul divano, e a farlo potevano essere solo una coppia vincente come Fabio e Luciana. Luciana, che ha il pregio di dire sempre ad alta voce ciò che tutti pensano soltanto, commentando e spesso schernendo dall'interno lo stesso festival proprio nel momento in cui va in scena.
Per la prima volta da tanto tempo, forse da quando ero bambino, mi sembra che Sanremo sia tornato ad essere evento davvero importante, una parte irrinunciabile dell'anima di questa nazione che, come dice bene Crozza, "è tenuta insieme con lo sputo." Nel contesto, con gli sputacchi di Mengoni.

sabato 16 febbraio 2013

Cosa mettono nel caffè a Sanremo 2013?














Anche il terzo e quarto appuntamento con il festival chez Fabieau et Lucianà sono trascorsi, a ritmo del trotto di Lucianina Littizzetto che, ormai perfettamente a suo agio sui trampoli, vanta un portamento degno del cavallo rampante della Rai.
Se gli abiti delle cantanti in gara migliorano leggermente di serata in serata, non si può dire lo stesso degli abiti della padrona di casa, dall'impermeabile trasparente che ha indossato a San Valentino, una specie di serra semovente, al coprispalle fior di pixel che ha sfoggiato ieri sera, tra l'altro abbinato a una camicia da notte premaman. In occasione dell'amarcord di Sanremo Story, poi, ha voluto giocare anche col vintage, vestendo i principeschi panni anni '50 di Nilla Pizzi (solo due anni prima di quel Sanremo il cinematografo proiettava Cenerentola, e si vede) e infine l'accappatoio celeste polvere di Caterina Caselli, di cui riproduce anche la capigliatura da paggetto rinascimentale, meglio conosciuta come caschetto alla Fantaghirò. Che poi, se vogliamo dirla tutta, è anche lo stesso hair-style di Johnny Depp nel ruolo di Willy Wonka. Quanti echi intertestuali può evocare un'orrenda acconciatura!
Anche in queste due serate, naturalmente, non potevano mancare gli ospiti. Il piano è andato forte, prima con l'enfant prodige Leonora Armellini e poi con lo straordinario juke-box pianistico di Stefano Bollani. Anthony and the Johnson, imbacuccato in una specie di poncho e con i capelli che evidentemente non hanno mai provato la spumeggiante ebbrezza di uno shampo come si deve, ci ha regalato con la sua voce grandissime emozioni. Emozioni emo, ma pur sempre emozioni. Tra la sua nenia e l'intervista anestetica a Roberto Baggio non so come sia riuscito a rimanere sveglio. Ah, sì, lo so: mi ha svegliato un do di petto di Albano, che ha fatto il suo ingresso trionfale all'Ariston in compagnia di una badante d'eccezione, Laura Chiatti. Dopo aver fatto un paio di flessioni (come se non avessimo già una vaga idea della prolifica forza dei suoi lombi), si è esibito, per la felicità del pubblico antediluviano di Rai Uno, nei suoi più grandi successi. L'Ariston si è presto trasformato in un karaoke da harakiri, con la Chiatti e Fazio che ballavano la quadriglia, facendo avanti e dietro dal backstage. Capisco d'altronde l'imbarazzo della Chiatti, che, dopo aver urlato ai quattro venti di voler cantare uno straccio di canzone, si vede appioppare il duetto con Albano. Era visibilmente combattuta tra il desiderio di godersi quei cinque minuti di visibilità e l'atavico istinto di nascondersi e salvare la faccia: faceva un po' come la bella villeggiante che prima si fa trascinare in pista (di malavoglia) dall'animatore marpione del villaggio vacanze, e poi, alla prima occasione, fugge via alla chetichella.
In ogni caso, in quanto pugliese, Albano mi ha profondamente deluso: mi aspettavo che cantasse anche la splendida Telenorba ("Con Teeelenorba non sarai mai sooolo!")
Sempre più protagonista, fortunatamente, la nostra amatissima Lucy in the sky with diamonds. E' riuscita a ottenere l'ultimo ingrediente del filtro d'amore con cui sogna di conquistare il cuore del dolcissimo Beppe Vessicchio, convincendolo a farsi tagliare un ciuffetto di barba (infilato in una bustina di plastica e poi riposto come una sacra reliquia nel décolleté, accompagnando il gesto con versi orgasmici: "Il massimo dell'erotismo!"). Poi si è data alle danze per la lotta contro la violenza sulle donne, bellissima iniziativa che ha fatto ballare il pianeta. La totale mancanza di senso del ritmo di Lucianina era di una tenerezza che scalda il cuore. Infine, la Litti è riuscita anche a tenersi l'Ariston tutto per sè, quando Fazio si è dovuto allontanare un attimo per unirsi alla famiglia di Mike Buongiorno, in occasione dell'inaugurazione della statua a lui dedicata (e qui devo fare un grosso sforzo per non mettere nero su bianco l'ignobile battuta che mi è venuta in mente in quel momento, qualcosa riguardante statue viventi, la moglie di Mike e il silicone... a volte odio avere una coscienza!).
Approfittando dell'assenza di Fabio, Lucy si è messa comoda, indossando un pigiama di raso nero col colletto di strass, e ha dato il via libera a Rocco Siffredi e agli Umpa Lumpa scatenati di Elio. Dalle Storie Tese, francamente, mi aspettavo un accompagnatore di maggior spessore, benché non si possa negare che Rocco, in fatto di cose tese, abbia una certa autorevolezza.
Peccato che Lucy sia dovuta passare dai brividi felini dell'incontro con Siffredi al bacio gusto Algasiv di Pippo Baudo. Meglio una pippa in solitaria (forse non avrei dovuto scrivere neanche questa battuta). Prima Cutugno, poi Albano e infine Pippo: gli ospiti da ospizio sono stati premiati con il chiaro intento di tenerli contenti. Com'era prevedibile, Pippo l'ha presa per le lunghe con i suoi aneddoti di storia sanremese, raccontando di come abbia dovuto lui stesso colorare coi pastelli ogni singolo fotogramma delle prime edizioni a colori di Sanremo, perchè il technicolor all'epoca costava troppo.
Sulla scia di ricordi più freschi, ma decisamente dolorosi, sono ritornati sul luogo del delitto anche i "figli di", ovvero i figli d'arte che condussero la disastrosa edizione del 1989, riassumibile in una parola: papere. Senza papaveri, solo papere. Gaffe e strafalcioni come se piovesse. Tra tutti gli eredi presenti sul palco - Rosita Celentano, Danny Quinn, Gianmarco Tognazzi e Paola Dominiguin - io mi soffermerei un attimo su quest'ultima, figlia degenere di Lucia Bosé, che ha osato riesumare un abominevole abito verde speranza. La speranza di non vederlo mai più. Dico io, Paola, hai una sola possibilità nella vita di tornare sul palco dell'Ariston e fare ammenda... e tu che fai? Ti vesti come un arbre magique alla menta piperita? Con quelle scarpe a punta? Per non parlare dei capelli! Scommetto che il figlio di Ugo Tognazzi non era l'unico a portare la parrucca.

Sono tutti figli di grandi artisti. Purtroppo nessuno di loro è figlio di stilista.
 Ma veniamo ai big, che ieri hanno interpretato hit storiche del festival, a partire da Cos'hai messo nel caffè? con Malika Ayane. Lei era vestita di nero per la terza volta consecutiva, ma a portare un po' di "arcobaleno" gaio sul palco ci hanno pensato i due ballerini, che la toccavano, le si strusciavano addosso e, infine, l'hanno coinvolta in un nostalgico balletto.
Parlando di colori, Emma Marrone non poteva fare a meno di degnarci della sua presenza anche quest'anno. Ripudiati i Modà, accompagna l'amica Annalisa in Per Elisa. Sarà stato il suo vocione cavernoso, la mise da ninja, o forse la capigliatura da ananas... ma non sono riuscito a resistere alla tentazione di disattivare l'audio del televisore e farmi una partita a Fruit Ninja.
Gli Almamegretta, intanto, affumicano la via Gluck ("Fate crescere l'erba!"), Daniele Silvestri continua a percorrere la via della "gigioneria" con l'omaggio a Dalla, e Mengoni, con Ciao amore ciao, si commuove fino a sbavare: hanno dovuto mettere il cartello "pavimento scivoloso", come se non bastasse il pericolo caduta massi dalla famigerata scalinata.
Raphael Gualazzi ha scelto Luce di Elisa. Altre canzoni proprio non ce n'erano. Che ne so, magari Papaveri e papere... o la sempre attuale WWW mi piaci tu. In ogni caso il brano era irriconoscibile. Difficile a credersi, ma era anche più brutto dell'originale. Elisa si sarà rivoltata nel bozzolo. Le sarà andata di traverso la rugiada. Avrà gridato come un'ossessa per i boschi, ululando di rabbia come il vento tra gli alberi.
Avete notato che Gualazzi non parla mai? E se parla, lo fa con una vocina sottile da moribondo? Ma tienitela, la tua voce preziosa! E' rimasto traumatizzato da La Sirenetta.
Simona Molinari insiste nel tirar fuori dal guardaroba abiti catarinfrangenti che neanche Pamela Prati al Bagaglino. Ha scelto, mancando di modestia, di cantare la sensualissima Tua con l'unico scopo di sottolineare la sua oggettiva sensualità. Secondo me nasconde qualcosa. Ci dev'essere del tenero tra lei e Peter Cincotti, altrimenti perchè si sarebbe dovuto sciroppare cinque serate a Sanremo? Dopotutto il mondo è pieno di gente che sa suonare il pianoforte e lanciare di tanto in tanto un "Oh I need you back!"
Ma arriviamo al primo verdetto di questo festival, il vincitore della categoria Giovani, decretato dal pubblico e dalla Giuria di Qualità (non mi spiego la presenza di Paolo Giordano, visto che si parla di qualità). Ho temuto che vincessero i Blastema, che sembrano usciti da Warm Bodies (il nome del gruppo, tra l'altro, mi ricorda un'imprecazione e al contempo un dispositivo medico, se non una patologia grave). A salire sul podio, però, è stato lo scimmiesco Antonio Maggio, rigurgito acido della prima edizione di X-Factor (era il leader dei presto dimenticati Aram Quartet), con la sua canzonetta irritante, i sorrisi inquietanti, gli schiaffi auto-inflitti e le preghiere masochiste: "Fammi male, fammi male!" Ma molto volentieri!
Mi piacerebbe sapere, poi, che significa la frase "Infondo mi è anche piaciuto, a mena dito". L'ingiustificata aggiunta di "a mena dito" sarà il grande mistero di questo festival.

Osare: lo stai facendo nel modo giusto.
Ben più interessanti le proposte di Renzo Rubino (di cui ho già parlato) e di un'altra ex-factor, Ilaria Porceddu. Coraggiosa e originale la scelta del ritornello in sardo, intrigante il testo della sua In equilibrio, onirico e dichiratamente ispirato a Fellini. Senza contare che la Porceddu, con i suoi sognanti abiti circensi, ha trionfato là dove ben più illustri ospiti hanno miseramente fallito: questo Sanremo finora è stato un corteo funebre di eleganti ma banali abiti neri. La cara estinta è stata l'originalità. Confido in Bianca Balti, super-star di questa serata, anche se, in un'invervista, ahimè, l'ho sentita parlare di sobrietà. Ma la sobrietà uno se la conserva per il colloquio con i professori a scuola, non per l'Ariston!
Tutti incollati allo schermo per la finalissima: solo per questa sera, Sanremo continua!


giovedì 14 febbraio 2013

Sanremo 2013 chez Fabieau et Lucianà

Come pulire il palcoscenico dell'Ariston.
Dopo la prima, sfavillante puntata del terzo Festival secondo Fabio Fazio, la serata di ieri è partita decisamente in sordina. Lucianina era un po' stanca (e ci credo). Persino i suoi vestiti ricordavano un uggioso e svogliato sabato pomeriggio di pulizie domestiche: prima le hanno gettato addosso un'orribile tunica bianca che sembrava una salvietta struccante, poi uno strascico verde che spolvera meglio di uno Swiffer, e infine me l'hanno strizzata in una specie di porta-tovaglioli dorato che le ha fatto schizzare fuori il décolleté. Per poco non le partiva anche l'occhio sinistro, a un certo punto, con tanto di lente a contatto.
Poi c'era Bar Refaeli, la supermodella israeliana che ha fatto fare le capriole a Di Caprio. Bellissima, sì. Una Venere appena sorta dalle acque del mare, il Mar Morto. Espressiva ed eloquente quasi quanto un Bar-bagianni, ci ha regalato uno dei momenti più im-Bar-azzanti di questo Festival: la sua perfomance di tre secondi alla batteria. Che ci sia stato qualche contestatore a fischiarla? Niente. Deliquio generale.
Il buon Fabio però aveva bisogno di lei. Anche lui era un po' fiacco, un po' ingiallito (colpa anche del fondotinta color ittero) e la vista di Bar lo ringalluzziva senz'altro. Lui che ha sempre quell'aria da placido fraticello di campagna, al passaggio di Bar, si faceva venire gli occhi da triglia e l'acquolina in bocca, come i vecchietti che spiano la bibliche bellezze di Susanna intenta a fare il bagno.
E parlando di bagno, so già cosa cantare sotto la doccia: le canzoni dei Modà, che vantano versi di rara originalità in cui trovano spazio echi del Cantico dei Cantici e al contempo banalità in stile Miss Italia, tipo "Il mio desiderio più grande? Be', sicuramente la pace nel mondo." Di fronte a frasi come "tra il bene e il male vince sempre il bene" non resta che sperare che tra la cattiva musica e la buona musica vinca sempre la buona musica, ma ho i miei dubbi. Ho ascoltato messe cantate più coinvolgenti, e letto catechismi più avvincenti. Alla fine, tra le due, hanno scelto (ma chi?) Se si potesse non morire, il brano che tratta il sogno dell'immortalità, desiderata dall'uomo sin dalla notte dei tempi, tanto dal mitico Sisifo quanto da Peter Pan, da Berlusconi come da Voldemort. Inquietante, tra l'altro, la somiglianza del cantante Francesco Silvestre con Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato, soprattutto dal punto di vista odontoiatrico.
Poi è stata la volta di Simone Cristicchi. E' inciampato un po' sulla scala (quella musicale, non la meravigliosa scalinata che si apre e richiude come un malefico artiglio), specie durante la prima esibizione, pur piacevole. Poetica, ironica, burtoniana la sua La prima volta (che sono morto), anche se... tra questa e Se si potesse non morire, c'era un po' troppa morte per essere solo le dieci di sera.
Per citare lo stesso Cristicchi, Meno male che c'era Carla Bruni. Con quella mise à la garçonne, quel suo sobrio tailleur grigio, era perfetta. Perfetta per un colloquio di lavoro. D'altronde non c'è bisogno di mettersi in ghingheri per una sagra di paese come Sanremo. L'ex première dame dall'espressione perennemente étonné si è esibita nel suo nuovo pezzo, anzi la sua nuova berceuse, intitolata Chez Keith et Anita, dove cita una serie di luoghi, da Macaò a Birminghàm, da Zanzibàr a Bordeaux, fino anche all'Antartidè: tutti posti in cui avremmo voluto mandarla pur di levarcela di torno. Le riscritture di Quelqu'un m'a dit opera di Lucianà sono come sempre di gran lunga preferibili all'originale.
Odio doverlo ammettere, ma mi ha deluso invece Malika Ayane. Ha una voce talmente meravigliosa che, per quanto mi riguarda, avrebbe potuto portare anche Il pulcino pio. Credo che se il sole al tramonto potesse cantare, avrebbe la sua voce. Tuttavia la canzone Niente, effettivamente, non sapeva di niente, e se poi prendiamo in considerazione E se poi... neanche quella è poi tutta questa grande roba. Almeno al primo ascolto, non mi ha fatto tremare come foglie. Per di più, parafrasando una delle sue canzoni più belle, da esteta muoio un po'... aspetto che ritorni bruna.
Preferisco spendere poche parole sugli Almamegretta, anche perché ho afferrato solo poche parole della loro Mamma non lo sa. E siete fortunati che non lo sappia, altrimenti non vi avrebbe fatto uscire di casa. Non ho capito se il cantante del gruppo faccia l'imitazione di qualcuno che non ho riconosciuto, o se sia proprio così, con quella mimica da muride, quelle mosse molleggianti e la vitalità stile Ingroia. Fatto sta che i sottotitoli alla pagina 777 di televideo non avrebbero guastato.
Risolleva i toni Max Gazzè, che tiene testa a Cristicchi in quanto a ironia e originalità, specialmente nella sua Sotto casa, in cui riesce a parlare di amore, Dio e Gesù senza per questo sembrare un francescano (vedi il vangelo secondo Modà), per di più con quel discreto tunz-e-tunz che mancava a questo Festival. Si è fatto perdonare anche l'outfit da clown depresso e la "s" vendoliano-jovanottiana.
Peccato però che ad annunciare la prescelta tra le due canzoni proposte da Max ci sia stato il trio delle campionesse di scherma, che hanno davvero bucato lo schermo, è il caso di dirlo. Facciano un fioretto: cambino stilista, e anche parrucchiere. Tutte e tre, conciate così, sembravano le streghe di Macbeth. Elisa Di Francisca, poi, quella vestita di rosso e con due etti di rubini al collo, è simpatica come una sciabolata sotto la cintola.
Le schermitrici meritano scherno.
La performance di Annalisa Scarrone, a seguire, è leggermente superiore alle mie non proprio rosee aspettative. Per un attimo ho pensato che avesse superato il trauma dello svezzamento, che avesse ormai smesso di suggere dal rassicurante seno di Maria de Filippi. Poi però, non so... quegli orecchini a cuoricino, le stelline dello sfondo, le Scintille e le "farfalle danzanti", la ballata adolescenziale Non so ballare, e, soprattutto, la culotte... hanno infranto l'immagine di cantante adulta che Annalisa sta faticando tanto per costruirsi.
Inspiegabilmente osannato il cantante israeliano Asaf Avidan. Non bastava Marco Mengoni? Più che ad una prova canora mi è sembrato di assistere in diretta ad un esorcismo o alla tortura di una gallina spennata viva e di seguito sgozzata. Ho pensato che, fortunatamente, Asaf non era in gara, perciò non avrebbe cantato due canzoni, ma lo strazio è stato prolungato da qualche sado-masochista che ha chiesto a gran voce il bis (concesso, tra l'altro, con un muso lungo che arrivava fino alla platea in visibilio).
A salvare la situazione sono accorsi Elio e le Storie Tese, scatenando l'inferno dei Dannati forever e superando se stessi con La canzone mononota, un'offesa e al tempo stesso un folle inno d'amore alla musica, un divertissement da standing ovation. La nota unica in questione era do, ma di fronte a tale, meraviglioso spettacolo non si può rispondere che con un'altra, unica nota: si!
Dopo il simpatico siparietto di Fazio/Piero e Marcorè/Alberto Angela, i giovani irrompono finalmente sul palco dell'Ariston, annunciati da una zaffata di marijuana (qualcosa di più, forse, nel caso dei Blastema). Tra lagne esistenziali e pessime scelte tricologiche, Baciami? di Irene Ghiotto era anche passabile, peccato però che la cantante sembrasse posseduta da chissà quale divinità campestre. Sfortunatamente per lei, è stata eliminata in tronco. D'altronde cantare versi come "Ti ammiro così tanto che, se miro, sparo!" è un po' come giocare alla roulette russa.
L'unico fanciullo vestito come si confà all'Ariston e non ad una scampagnata di Pasquetta, è Renzo Rubino, che canta Il postino (amami uomo), una brano omo-erotico che riesce a non scadere nello sdolcinato e si presenta con onestà per quello che è: una godereccia, piacevole canzone d'amore carnale, fisico, come sottolineato dall'insistenza voluttuosa su curve che non ci sono e corpi spigolosi. Qualcuno ha chiesto anche a lui il bis, perché, giustamente, Il postino si suona sempre due volte.
Continuate a seguire Il Tè: "Sanremo continua"...

mercoledì 13 febbraio 2013

Sanremo 2013 e il futuro che sarà


Un Festival della Canzone Italiana presentato da Fabio Fazio e Luciana Littizzetto è una specie di regalo, una fiaba insperata prima di andare a letto, che fa rimpiangere meno il Canone Rai. In ogni fiaba che si rispetti, naturalmente, non può mancare la principessa, che giunge trionfante a bordo della sua sfavillante carrozza bianca. Considerando l'abito nero, però, si direbbe piuttosto che la regina cattiva abbia rubato il cocchio a Cenerentola, costringendola a provvedere altrimenti per i suoi spostamenti (al ballo ci si può sempre andare in autostop.)
La luciferina Lucianina nazionale fa il suo ingresso lanciando sul pubblico dell'Ariston manciate di affilate battute su Imu e Monte dei Paschi di Siena, e non delude con la sua sfavillante ironia, che compie il miracolo di sostituire lo sbadiglio (colonna sonora dei Sanremo passati) con la risata. Bacchetta i direttori d'orchestra, si spupazza i cantanti, fa le fusa a Toto Cutugno, imbarazza deliberatamente gli ospiti: è lei la padrona di casa di questo festival, ed è lei che, zampettando di qua e di là col suo passetto da bambolina con carica a molla, ci invita a seguire con lo sguardo il suo traballante andirivieni sul palco, per la prima volta allestito da una donna, Francesca Montinaro. Nell'omaggiare Burri e Fontana (che aprono squarci sulla tela del passato per provare a intravedere il futuro che sarà), la scenografa costringe l'orchestra ad appollaiarsi su scivolosi ripiani obliqui: l'effetto d'insieme è quello di un gigantesco flipper. Non nego, però, di essere andato letteralmente in estasi per la meravigliosa scala fatta di tasti neri del pianoforte, che, in un attimo, si è costruita come per magia (nera) ai piedi di una Luciana trapunta di stelle. Una scalinata incantata come quella, quasi demoniaca, lugubre nella sua eleganza, ce la vedrei benissimo nel castello di Malefica o nella fortezza di Sauron. Già Luciana ha paragonato i gradini sospesi a mezz'aria alle lame di Edward Mani-di-Forbice.
Un po' Principessa sul pisello, un po' grillo parlante, un po' streghetta, ma anche un po' fata madrina, Lucianina prende per mano l'esitante Marco Mengoni, che gioca con le piume del suo abito, forse riconoscendo le proprie, dati gli striduli gorgheggi e gli acuti gallinacei che emette sul palcoscenico. Per non parlare delle sputacchianti "t" all'inglese e gli accenni di ballo che farebbero venire il mal di mare a Celentano. Ma forse stava solo interpretando la danza dell'incontinente.
Dove ho già visto il sorrisetto malinconico di Raphael Gualazzi? C'ho pensato per tutto il tempo della sua doppia esibizione. Avete notato che canta sempre con gli occhi chiusi? Non ho capito se lo fa per dimostrare di saper suonare anche così ("Guarda, mamma, senza mani!") o se chiude gli occhi per lo sforzo di ricordare i termini aulici con cui ha infarcito le sue canzoni: non ricordo di aver mai sentito paroloni come "velleità","acquiescenza" o il trecentesco "accidia" nel testo di un brano musicale, almeno non in questo secolo.
Quanto a Simona Molinari, da brividi (in senso positivo) la voce, da brividi (in senso negativo) le canzoni proposte, a partire dalla giustamente liquidata Dr. Jekyll Mr. Hyde, ma da brividi soprattutto il vestito: una tovaglia natalizia. Mi domando da quale luccicante incubo, da quale agghiacciante nightmare before Christmas sia nato quest'abito, e soprattutto quale stilista lo abbia concepito: probabilmente Valentino. Sì, ma dopo aver mandato giù la pozione del dottor Jekyll.
Avrei preferito che la Molinari non si avvicinasse troppo alla conduttrice, visto che accanto a lei persino il bellissimo (a mio avviso) abito stellato di Luciana ha finito immancabilmente per ricordare il cielo di carta del presepe parrocchiale.

Era pur sempre Martedì Grasso, dopotutto...
Dai costumi di scena passiamo agli scostumati in galleria. Checché se ne dica, il Sanremo ai tempi delle elezioni non poteva essere più equo. La par condicio è stata perfettamente rispettata: ci sono state tanto le parodie quanto le Parodi. Il formidable Crozza non ha risparmiato nessuno, e se l'imitazione (più vera del vero) di Berlusconi non va giù a qualche contestatore (avanzi di stadio che probabilmente si troverebbero più a loro agio tra il pubblico urlante di un combattimento tra galli che in un teatro), è solo perché la verità fa male.
Tristemente necessario e toccante l'intervento di Marco Alemanno e della coppia di fidanzati gay, come pure l'accenno al tema della cittadinanza per i figli degli immigrati (sollevato al momento dell'apparizione del calciatore Angelo Ogbonna): sembra quasi che Fabio Fazio abbia voluto suggerire una to-do list al prossimo governo, dando voce a quelli che ancora oggi sono a tutti gli effetti cittadini di serie B e che da troppo tempo chiedono, senza essere ascoltati, leggi ormai garantite in tutta Europa.
Per quanto l'introduzione delle due canzoni pro capite sia sfiancante e dispersiva, la regola aurea dell'equilibrio e dell'equità sembra essersi estesa anche alle scelte musicali. Ce n'è un po' per tutti i gusti, dalla litania quasi orientaleggiante di Maria Nazionale ai vaneggiamenti diversamente intonati del cantante col baffetto alla Freddy Mercury dei Marta sui Tubi. Cosa avrà voluto dire? Di che parlava Dispari, la canzone che, a quanto pare, piaceva a tutti, ma che nessuno ha votato? "Complimenti per gli amici / ma quanti amici hai? / Mille modi in cui sorridi / Ma poi non ridi mai..." Stiamo parlando di Facebook, per caso? Delle "bimbeminchia" che si fotografano in bagno con la bocca a viola del pensiero (per non dire "a culo di piccione")?
Marta scendi dai Tubi e chiama l'idraulico, che è meglio. E fossi in te chiamerei anche un nuovo stilista: il chitarrista dove l'avrà trovato quel completo a pois? Gliel'ha dato tempo fa uno stano maraja, vecchio amico di papà?
Quel "Quanto sei gnocca!" urlato a Luciana, esplicito tentativo di captatio benvolentiae, basterà a riscattare i ragazzi di Marta agli occhi (dalla palpebra calante) del diversamente giovane pubblico sanremese?
Per la serie Orrori da indossare (un'idea da considerare per il prossimo docu-reality di Real Time), trionfa l'abito color Mon Chéri di Maria Nazionale, che ha gettato un'ombra inquietante sul palco di Sanremo: chi le ha strappato la manica sinistra? Anastasia e Genoveffa? O forse Anna Oxa, che si aggira per l'Ariston come il Fantasma dell'Opera, tramando vendetta per essere stata esclusa senza pietà dalla rosa dei concorrenti? Oppure E' colpa mia va interpretata come un'auto-denuncia di Maria?
Roberto Giacobbo, ospite della seconda serata, ha già promesso di dedicare uno speciale di Voyager all'ectoplasmatica figura della Oxa e al mistero della manica scomparsa.
Mortificante anche quella specie di pareo azzurro indossato da Chiara Galiazzo, ma la sua voce è l'unica che spicca, con due belle canzoni, L'esperienza dell'amore e Il futuro che sarà. Promettente anche A bocca chiusa di Daniele Silvestri, anche se ho sempre riserve sui brani a tematica sociale, che reputo una scelta un po' troppo "gigiona" nel contesto dell'Ariston.
Ora non ci resta che aspettare di sentire gli atri sette big e i primi virgulti di gioventù. Spero solo che Malika Ayane, con la sua voce piena, fruttifera e avvolgente, riesca a farmi dimenticare le note dolenti di questo esordio. Ahimè, le aspettative sulla seconda serata non sono granché confortanti: quelqu'un m'a dit... que ci sarà Carlà Brunì...
Confido nella buona tata Lucia-na: salvaci tu!

sabato 2 febbraio 2013

Pubblicità insopportabili #16 - E vai da McDonald's, va'

Da notare la posa mariana della cantante.
Mi dispiace dover abbattere così le sacre arcate dorate di McDonald's, ma quando è troppo, è troppo. E' giunto il tempo che anche loro si becchino un po' di critiche, anche se decisamente meno salate delle loro invitanti patatine a prova di iperteso.
Perché gliene ho perdonate tante, fin'ora. Come la canzone dell'anno scorso, quella sul gelato, I love ice-cream, uno dei componimenti musicali più raggelanti della storia della pubblicità, una lagna inudibile, l'inno isterico di un coro di fanatici con una manciata di Smarties in luogo dei neuroni e due palline di gelato al posto degli emisferi cerebrali.
Ho chiuso un occhio persino sui provini simil-X-Factor che celebravano i panini ispirati alla cucina regionale italiana, esibizioni musicali che ci hanno regalato versi di immane pregio lirico come "Lo spek vien giù dai monti, sposta gli orizzonti", o ancora "Vivo di salame calabro, fuoco d'anima assassina, peperone fatto a fette, brucia come la benzina" (la similitudine finale uccide l'appetito, per quanto mi riguarda.)
Adesso I Moderni pubblicizzano la promozione "Fame del sabato sera", e, novelli John Travolta, ci travolgono in pista con un nuovo, stridulo motivetto: "E vai, vai, vai, vai... vai da McDonald's!"
La pubblicità funziona: mi viene davvero voglia di andare al McDonald's. Ma non per ingozzarmi di Big Mac, piuttosto per mollare ai Moderni un big smack.
Non so se avete notato il loro balletto. Persino le Letterine di Passaparola si sarebbero rifiutate. Ed è tutto dire. Immagino abbiate presente gli stacchetti delle Letterine...
Q
uelle lì ruotavano la mano attorno alla testa, mimando un frullatore, e poi, con la stessa mano, si affettavano un braccio neanche fosse un salame calabro. Il tutto cantilenando: "Ulla...laulla...laulla...lalallà!"


I Moderni, invece, si cimentano con la disco music, ma in realtà sembra che si stiano esercitando (con scarse possibilità di successo) per la licenza di massaggiatori shiatsu. Avrei preferito piuttosto la mossa tradizionale dell'occhio sforbiciato (non so come chiamarla) o dell'immersione subacquea: passi imbarazzanti, ormai da tempo associati indissolubilmente agli anni '70, che ormai non fanno più male a nessuno.
Ma le note più dolenti sono quelle della canzoncina.
"E vai, vai, vai, vai... vai da McDonald's!"
L'unico jingle pubblicitario che ti suggerisce già come storpiarlo. La battuta è servita su un vassoio d'argento, con tanto di maionese e ketchup a parte.
Non ditemi che, al sentire tutto quel "E vai, vai, vai, vai...", non siete anche voi indotti automaticamente a  concludere la strofa con finali alternativi a "vai da McDonald's"? A chi di voi non è scappato subito un liberatorio "vai a fanc..."?
E non fate i perbenisti appena sbarcati dal Mayflower, perché so che lo avete almeno pensato!
La variante più gentile che mi è venuta in mente fin'ora è "E vai, vai, vai, vai... vai al McDiavolo."


Se proprio volete farvi del male, vi suggerisco di rinfrascarvi la memoria gustandovi I love ice-cream. In alternativa, vi offro un McMenù musicale con panino a scelta: il Calabrese, il Veneto, il Lombardo o il Tirolese?

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