domenica 15 febbraio 2015

Grandi amori a Sanremo 2015

Vestirsi alla cieca.
Ero arrivato allo stremo. Non ne potevo più della sigletta truzza di questo Sanremo, e anche di tutto quello che viene dopo. Ero quasi tentato di andarmene al cinema, magari a farmi due risate davanti a 50 sfumature di grigio, e invece sono rimasto a guardare Marco Sado-Masini, che con la sua vocetta stridula sembra effettivamente sotto tortura. Credo che la frase "Smettila di smettere" sia la parola di sicurezza che usa con la sua dominatrix.
Il principio della fine di questo Festival è stato ungarettiano: si sta come a inizio serata Emma e Arisa in poltrona. Cioè stravaccati e mezzi morti di sonno, mentre Carlo, sempre più compiaciuto per gli ascolti record, viene sbugiardato su Twitter da Vladimir Luxuria, che a TvTalk gli aveva chiesto perché si era rivolto a Conchita Wurst chiamandola "Tom." Il tronfio conduttore aveva risposto di averlo concordato precedentemente con la drag-queen, cosa che la diretta interessata ha smentito.


Il bronzeo conduttore, intanto, dato che ricorre la festa degli innamorati, come se i cuoricini sulla t-shirt di Allevi non fossero bastati, ritaglia nel Festival uno spazio "C'è posta per te", ricongiungendo due poveri fidanzatini separati dalla geografia che erano rimasti delusi dalla cancellazione della data di "Romeo e Giulietta - Il Musical" per cui avevano acquistato il biglietto. In compenso sono stati invitati all'Ariston (e non so cosa sia peggio), dove hanno potuto assistere a un assaggio dello spettacolo, l'unica versione della tragedia shakespeariana che ti fa tifare per i parenti serpenti. Mentre i due sfortunati amanti cantano "Ama e cambia il mondo" io cambio canale.
Contrastata dalle stelle anche una possibile storia d'amore per Arisa, che due sere fa, nonostante il completo da assistente di poltrona del dentista e la coda da pavoncella in cerca di becchime, aveva ricevuto un mazzo di fiori da Nesli, il rapper più dolce che c'è, verosimilmente nato in una fabbrica Nestlé. Pensando di aver fatto colpo, Arisa ha dichiarato di essersi introdotta nottetempo nella sua stanza di albergo, probabilmente per dargli "l'amore in faccia", ma lui pare la stimi soltanto come artista. Eppure la Pippa ieri era avvolta in un lenzuolo insanguinato tipo quelli che un tempo si esibivano per provare pubblicamente l'avvenuta consumazione del matrimonio. Considerando però il volo dalle scale che s'è fatta qualche sera fa, è intrigante anche l'ipotesi che qualcuno stia cercando maldestramente di farla fuori e l'abbia pugnalata al ventre. A un certo punto la poverina sbaglia a leggere dal gobbo e ammette "Mi sono emozionata, non capisco un cavolo", confusione comprensibile vista la copiosa emorragia che le sgorga dal rene, ammesso che non glielo abbiano asportato poco prima della diretta.
Questa roba si è sposata e si è
riprodotta. Non c'è limite al potere
della Provvidenza. 
Per rimanere in tema medico-ospedaliero, a un certo punto fanno la loro comparsa in questo reparto geriatrico i giovani protagonisti della fiction Braccialetti Rossi. Quando il primario chiede al più piccolo il motivo del successo della serie (per me inspiegabile visto l'irritante faccia della ragazza bionda nel cast), il bambino illustra il concetto di cliffhanger, quel colpo di scena finale che lascia il telespettatore sulle spine. Per esempio, riuscirà il sottoscritto a rimanere sveglio fino alla fine di questo Festival? O stramazzerà al suolo prima della mezzanotte? Lo scopriremo solo nella prossima puntata...
No, vi dico subito che sono rimasto sveglio ancora per un bel po', purtroppo. Ho avuto modo, ahimè, di assistere alla claudicante discesa sul palco della coppia sposata da sessantacinque anni. Con questa ospitata Carlo Conti chiude il ciclo "Family Day" inaugurato nella prima serata con la famiglia Anania, ma mentre il sacro vincolo del matrimonio viene celebrato il vecchietto si lascia sfuggire che le loro nozze sono state praticamente combinate da suo zio. Il conduttore, che si trova a suo agio nei panni di San Valentino (che poi lo hanno decapitato, giusto?), insiste perché i due ottuagenari si bacino, come aveva già fatto con Al Bano e Romina. Evidentemente, per qualche strana perversione, si eccita spiando i vecchietti nella loro intimità.
A proposito di intimo, la soporifera Bianca "Mosca tze-tze" Atzei si esibisce ancora una volta in mutande, a quanto pare le stesse da cinque giorni. Nonostante la sua cantilena, tengo duro, sopporto anche Panariello, di cui l'Ariston non sentiva la mancanza, desisto dalla nanna e mi guardo la Nannini, che finalmente tratta Carlo Conti come merita: da cameriere, visto che gli molla in mano la sua bottiglietta d'acqua. Solo per questo, Gianna, sei una "meravigliosa creatura".
L'unica vera salvezza di questo Festival, però, sono stati gli ospiti stranieri, come il principe Will Smith, lo svitato di Bel Air, che diverte nonostante sia intervistato dal suo petulante cugino Carlton (Conti.)
A questo punto però il sipario delle palpebre va calando, e il richiamo del letto è sempre più irresistibile. Arrivo a malapena all'annuncio dei tre finalisti. Mi perdo le letterine strappalacrime delle vallette. E mi perdo la premiazione. In ogni caso, svegliandomi stamattina, già sapevo che la vittoria è andata a quegli anacronistici tre moschettieri de Il Volo e alla loro Grande amore. Insieme ai tenorini trionfa l'Italia provinciale e mediocre, l'Italia decrepita e reazionaria, un'ostinata verruca attaccata all'Europa.
Ciò che ricorderò di questo Festival, ciò che più di ogni altra cosa lo ha rappresentato sono le originalissime scarpe che Arisa ha calzato due sere fa, i tacchi a spillo con due sfere rosa attaccate ai talloni: due palle.

P.S. Per me la vincitrice morale è lei:


venerdì 13 febbraio 2015

Galleggiare a Sanremo 2015

Ma cos'è successo alle vallette ieri sera? Arisa ha avuto un piccolo incidente e si trascina coraggiosamente sul palco con passo da pecorella zoppa, mentre Emma invece è gonfia, demotivata, sbuffa, frigna che nessuno le fa mai i complimenti, si lamenta con Carlo di non poter cantare come concorrente in gara... Si vede che sta soffrendo internamente, che si sente trascurata e il padrone di casa non fa nulla per tirarla un su. Eppure viene voglia di adorarla: con quel vestito sembra il Vitello d'Oro idolatrato dagli ebrei in assenza di Mosè.
Le parti si sono invertite, visto che fino a ieri era stata Arisa ad essere di umore ballerino, colpa - l'ha dichiarato lei - della sindrome premestruale. Eppure da quando è stata spint... ehm... è caduta dalle scale, la Rosalba Pippa si è decisamente ringalluzzita, scherza e sorride allegra come non mai. Poi la verità sale a galla, ed è la stessa Arisa a dirlo con la sua proverbiale sincerità: è strafatta di anestetici, o di analgesici ("Ah, perché non sono la stessa cosa?"). Di qualunque cosa si tratti, lei dice: "lo consiglio a tutti!" Come se questo Festival non fosse abbastanza anestetico.
Un mistero non chiarito, invece, è come mai Chiara Galiazzo avesse le dita tutte sporche d'oro. Era un riferimento a Gold degli Spandau Ballet, super-ospiti della puntatona nostalgica, o ha cercato di consolare la depressa Emma?
E' un aereo? E' un uccello?
No! E' Super-Nina Zilli. 
La giovane cantante sconfitta, la barese Serena Brancale, canta opportunamente una canzone dal titolo "Galleggiare": in effetti anche questa serata de "I migliori anni" si è consumata in un clima di placida sospensione, con ospiti ed eventi che fluttuano stancamente in una boule de neige nelle mani di Conti. Samanta Cristoforetti galleggia nello spazio come un carciofino sottolio, con l'assenza di gravità che fa da push-up ai suoi due satelliti naturali, Deimos e Phobos, da cui stanno per staccarsi capezzoli-razzo, poi una medusa gigante si materializza durante l'esibizione di Grignani e sfortunatamente non riesce a ghermirlo e paralizzarlo col suo veleno. In questo acquario non manca Malika Ayane vestita di grigio manta e Nina Zilli, con una mantella da razza, mentre Arisa spazza via il fondale sabbioso con una gonna che più che da sirena è da Ursula, la donna-polpo. Sembra di guardare quel vecchio screen-saver con i pesci degli abissi. In superficie, invece, sulla litoranea che porta ad Alghero, viaggiano a tutta velocità Platinette e Grazia Di Michele, coloratissime Thelma e Louise in tenuta da spiaggia. Dagli stessi lidi veleggia anche la sarda Bianca Atzei, che sfoggia un'altra gonna-zanzariera.
Capirete perché a fine serata Lara Fabian agonizza cantando "Sto male."  E sapessi io a guardare te, con quella faccia da Floradora, la cagnolina di Paolo Limiti. Non sta tanto bene nemmeno il povero, dolce Raf, che è rimasto totalmente senza voce, ma anche senza buongusto, considerato il roseto che si è fatto crescere addosso. In ottima forma, al contrario, la tatangelica Anna, con un ondeggiante abito bianco e nero, uno ying e yang di perfetta eleganza, peccato per la maschera di trucco da teatro kabuki. Accanto a lei Emma pare ancora più abbattuta e tracagnotta, con l'abito color oro che le marcisce addosso come una verza stracotta.
Visto che si fa il mazzo per cantare
ma nessuno glielo dà un mazzo di fiori...
Pur imbronciata, la Marrone non sbaglia quando dice di voler mandar giù anche lei gli analgesici di Arisa, così da risparmiare sui comici, perché fino ad ora a Sanremo di comici non ne ho visti nemmeno io. Luca e Paolo partono bene con una raffica di puro cinismo, ironizzando sugli elogi funebri agli artisti scomparsi che intasano la televisione e i social network. Poi però non ho capito il loro finto matrimonio, con Paolo sempre più preoccupato mentre Luca gli elenca le gioie, ma soprattutto i dolori della vita di coppia, come la suocera, la comunione dei beni o l'assistenza in salute e in malattia. Non ho ben capito dove volessero arrivare, perché di ridere non faceva ridere. Cosa avranno voluto dire? Che il matrimonio è la tomba dell'amore, perciò non vale la pena lottare per averne diritto? Che infondo i gay sono fortunati a poter volare di fiore in fiore e devono solo ringraziare, invece che avanzare assurde pretese? Mah. In ogni caso, non mi interessa l'opinione di un duo comico che ha il coraggio di rispolverare battute come: "E cosa vuoi di più?", "Un Lucano non mi dispiacerebbe." Ho detto tutto. Uno sketch che probabilmente avranno scritto in aereo.
Ancora una volta questo Festival si rivela un'edizione passivo-aggressiva, in cui tutto va bene, ci vogliamo tutti bene (come quando si fa cantare la sigla a Federico Paciotti, un tenore con la chitarra elettrica, che unisce opera lirica e rock, per accontentare tutti), eppure, orwellianamente, non si riesce a fare  a meno di ricordare, con piccoli gesti o battute sottovoce, che, per quanto siamo tutti uguali e normali, qualcuno è più uguale e più normale di altri.

giovedì 12 febbraio 2015

Oggi ti parlo così di Sanremo 2015


La noia è la quarta valletta che accompagna Conti nella conduzione di questo Festival. Per me bastava Rocío: almeno la chica sa ballare, tira su il morales, è spigliata, ci sta insegnando un sacco di proverbi spagnoli che potranno essermi utili in seduta di laurea. Le altre due fanno il minimo sindacale: anch'io so leggere il gobbo e cambiarmi il pigiama più volte nel corso della serata. Arisa ieri sera si è messa comoda in un bel paio di pantaloni neri foderati di prosciutto, per poi drappeggiarsi con un ampio vestito rosa pallido e bianco che la fanno sembrare un enorme marshmallow (lo stile Big Hero 6 non dona a nessuno.) Emma invece punta su un completo da torero che farebbe vedere rosso a chiunque, con un'acconciatura da nobildonna spagnola che la fa assomigliare appunto alla Marchesa del Secco d'Aragona. Probabilmente aveva i capelli sporchi (comunque ho letto da qualche parte che lo stile unto è il trend tricologico di quest'anno, ma mi sa che l'ho letto su Lercio.)
Una serata, quella di ieri, dicevo, anche più spenta del solito. Le pepite sfavillanti della giacca di Raf sono valse a nulla, come pure la camicia da taglialegna con filigrana in lurex luccicante di Biagio Antonacci, presente come "super-ospite" (che poi è un po' come organizzare il cenone di Natale e invitare il nonno come star d'eccezione.) Non poteva mancare il cameo del prezzemolo Bastianich (basta!) che si sbrodola addosso le parole di Quando quando quando. Io vorrei sapere quando quando te ne andrai? Spero presto, presto, presto.
Dopo queste minestre riscaldate, vista l'atmosfera tiepida, c'ha pensato il comico Pintus a surgelare definitivamente l'Ariston con le sue freddure, come neanche capitan Findus. Unica fonte di luce e calore in questo gelo, introdotta vergognosamente dalla Standing ovation di Vasco, è stata naturalmente lei, Charlize Theron. Je t'adore! Per tutta l'intervista mi sorprendo a fissare il televisore con un sorriso ebete, e anche Carlo Senzalodi la guarda come se fosse la Fata Turchina, venuta a trasformare in donne vere quei ceppi di legno delle sue co-presentatrici. Anche la buona Charlize, però, ne spara peggio di Pinocchio quando dice di aver ascoltato i cantanti in gara e giura di trovarli tutti "grandi."
Di sicuro non è stata grande la Grandi, con la sua Un vento senza nome. Dai una come lei mi aspettavo un uragano, o una tramontana da lasciare i brividi, non certo un peto in ascensore. E rimanendo in ambito atmosferico, Anna Tatangelo (la nostra "muchacha troppo sexy", sempre più simile a Belén) si sente "libera come una nuvola che dondola nel vento." Chi si dà tante arie - dicono - è Nina Zilli, che ieri ha tirato fuori dalla scatola delle decorazioni natalizie un centrino dorato, insieme a un pezzo sessanteggiante con qualche parola di troppo: quando canta "io vorrei dare a te quello spazio che ti serve" per me si sta rivolgendo direttamente al testo della canzone, che non sa bene come incastrare sul pentagramma.
I tre tenori sbarbatelli de Il Volo si presentano in scena con delle giacchette di pelle che mi hanno fatto temere volessero cantare la sigla di Happy Days. Uno guarda il mondo attraverso occhiali rosso fuoco, il suo compagno, forse affetto da una strana forma di acne, ha la fronte tutta bitorzoluta che sembra la spalliera di un vecchio divano, e poi c'è il belloccio del gruppo, con indosso dei pantaloni della tuta con tanto di righini bianchi laterali. Sentita l'orrenda aria da operetta pop, la sigla di Happy Days viene da rimpiangerla. A fine esibizione quello in tenuta da jogging scoppia in lacrime (io ho pianto durante l'esibizione, invece). La versione ufficiale è che si è commosso perché è il suo compleanno, per me frigna perché si è accorto solo in quel momento di non essersi cambiato i pantaloni della tuta.
Ma non siamo ancora arrivati alla frutta: Fragola, con quella boccuccia color lampone, sembra appena uscito dal Fantabosco.
WTF?
Quando poi arriva il turno dell'attesissima Bianca Atzei dalla platea si solleva un "'azzo sei?" La ragazza ha la faccia di Nancy Brilli (probabilmente è lo stesso chirurgo), mentre la voce l'ha rubata a Giusy Ferreri. Un programma a parte merita la sua mise: una specie di bustino bianco e nero che sembra composto da varie specie di muffa e una gonna trasparente con una stampa che sembra la schermata che annuncia l'interruzione delle trasmissioni per problemi tecnici... e quanto ho pregato che succedesse!
I Solidi Idioti si reinventano cantanti e, imitando Cochi e Renato (ma forse supplendo anche alla mancanza degli Elii), mettono in musica l'ipotesi di essere nati per colpa di un preservativo bucato e si lasciano scappare che la vita è un giramento di coglioni, e la mia incondizionata approvazione va a chiunque riesca a far diventare ancora più nero Carlo, che liquida in due minuti la seconda vera guest-star della serata, la barbuta drag-queen Conchita Wurst. Conti la chiama "Tom", neanche fosse Silente che rimprovera Voldemort per le sue riprovevoli scelte di vita, e insiste a rivolgersi a lei col maschile. Per citare quella scimmietta in smoking Prenatal che a un certo punto è apparsa sul palco (credo si chiami Moreno), sarò "crudo, spietato, diretto, ma fin troppo sincero": questo Sanremo è nato democristiano e morirà democristiano.

mercoledì 11 febbraio 2015

Come va a Sanremo 2015? Tutto ok? Tutto ok?


Ariston in greco significa "il meglio." E dopo quello che abbiamo visto ieri, figuriamoci se fosse stato il peggio...
Iniziamo dal conduttore né carne né pesce, la cui carnagione gianduia è praticamente l'unica nota di colore che sia in grado di apportare ad una qualsivoglia trasmissione televisiva. Poi avete notato che Conti non ha il bianco degli occhi? O forse è un difetto del mio televisore? Io vedo solo le pupille nere, ma non la sclerotica. Sembra Brock, quello che allena Pokémon di tipo pietra. Neanche a farlo apposta, al suo fianco ha delle vallette rigide come statue (la più sciolta e rilassata è la fidanzata di Bova.) Emma Bovara è costretta a strizzare gli occhi per "vedere meglio" il gobbo, mentre Arisa fa la sua comparsa con un bellissimo vestito da Cappuccetto Rosso (le tette cascanti, però, sono della nonna.) Rocío Muñoz Morales, trasformata per l'occasione nel perfetto stereotipo della muchacha spagnola, è imballata nella plastica rossa come una bambola non approvata dall'UE e confiscata dalle fiamme gialle.
Se dovessi scegliere "il peggio" della serata, non ho dubbi: il mini-Family Day con la famiglia Anania, che forse sarebbe più preciso chiamare colonia, visto che è composta da ben diciannove membri (sedici figli, una mamma esausta, un papà e il suo fecondo membro.) Se Fazio aveva portato a Sanremo un po' di modernità, ieri siamo tornati indietro nel tempo alla celebrazione catto-fascista dell'italica prolificità, con la beatificazione di questa famiglia che ha deciso con grande coraggio di iniziare un solitario boicottaggio della Durex. Come se figliare fosse un merito particolare. Portavoce della comitiva di consanguinei è ovviamente il padre di famiglia, l'unico microfonato, che parla come un vangelo stampato, nomina una decina di volte lo Spirito Santo e la Provvidenza (senza menzionare invece la previdenza sociale) e ci tiene a far sapere che loro sono una "Famiglia normale. Ciò che è straordinario è la presenza di Cristo tra noi." Il pubblico impellicciato applaude estasiato al sentir nominare il nome di Dio, mentre la telecamera riprende uno dei figli, probabilmente Quattordicesimo, che sbadiglia senza ritegno. Immagino che questo intervento sia un contentino offerto al Vaticano per compensare la presenza di Platinette, l'ospitata preannunciata di Conchita Wurst e il medley di Tiziano Ferro, con quella sua peccaminosissima giacca troppo aderente sugli avambracci.
Per quanto lo preferisca di gran lunga quando tace, sono bastate due note di Sere nere per riportarmi con la mente alle Medie e ai miei primi, timidi balli lenti, o ai compiti in classe di matematica del liceo, quando il Siani della IIIB si vedeva recapitare minuscoli bigliettini che lo supplicavano di scrivere in fretta l'espressione, a pochi minuti dal suono della campanella, e lui, disperato, cantava: "Eeeeh non c'è tempo, non c'è spazio, mai nessuno capirà!"
Le canzoni del Tiziano nazionale, d'altronde, come quelle della Pausini, si conoscono a memoria, anche e soprattutto quando le si odia. I suoi testi si sono infiltrati subdolamente nel mio parlare quotidiano. Non c'è sabato sera che non dia voce ai miei languorini ricalcando le sue parole:  "Andiamo in un bar, che dite? Io ho voglia di qualcosa di dolce... o qualcosa di raro... o magari un eheheheh." L'incanto della nostalgia però s'infrange presto con il nuovo - rigorosamente asessuato - inedito. Avrà fatto coming out, ma Ferro continua a scansare a tutti costi pronomi o aggettivi rivelatori.
Rocío Relativo
Sempre sulla scia dei sani valori della Famiglia Cristiana, viene inscenato un fallimentare remake di Genitori in trappola, con Carlo Conti che cerca in ogni modo di far riaccendere l'amore tra Al Bano e Romina. I due cantano a denti stretti Felicità, ma a giudicare dei colpi bassi che si danno in euorovisione, direi piuttosto Passivo-Aggressività.
Alessandro Siani, col suo taglio di capelli mesSianico, contribuisce a questa fiera dell'ipocrisia sparando una battutaccia su un bambino in sovrappeso seduto in prima fila come non avrebbe fatto nemmeno Mike Buongiorno a Genius, salvo poi fare ammenda pubblicando una foto con la sua giovane vittima su Twitter.
Sotto lo sguardo sempre più scocciato di Arisa, ora in un originalissimo outfit a metà tra Olivia e Suor Gertrude, prosegue stancamente, canzone dopo canzone, la messa cantata che continuiamo volenterosamente a chiamare "Festival". Lara Fabian, la Celine Dior dei poveri, dice di sentire delle voci celesti come Giovanna d'Arco e si propone di "dar voce a chi voce non ne ha." Persino la mia pur adorata Malika Ayane ammonisce cantilenando "Non desiderare, non desiderare..." Cosa, la roba d'altri? Be', può stare tranquilla, non credo che qualcuno potrebbe mai invidiarle quello straccio rosso che si è messa addosso: tra l'abito pre-maman e l'apparecchio ai denti sembrava di guardare 16 anni incinta su MTV.
Quanto agli altri intermezzi musicali, mi hanno colpito come un sottofondo lounge in ascensore. Di Nek ricordo solo i favoriti da Wolverine, mentre degli altri relitti, a partire da Britti, non conservo memoria alcuna. L'unico motivo orecchiabile è quello di Chiara Galiazzo, per una volta vestita decentemente, da signora in giallo dei Ferrero Rocher. Peccato per il testo che propone un altro viaggio interstellare: ora vaneggia di voler salire sempre più su, fino al paradiso, mentre due anni fa pretendeva che qualcuno la portasse a "bere oltre le stelle". Si vede che è della generazione di quelli che, come me, sono cresciuti a pane e Sailor Moon. E neanche Annalisa scherza con Una finestra tra le stelle, che poi, a proposito di stelle e cartoni, con quella coda di frange e gli uccelli d'oro sulla giacca pare il Cosmopavone.
Ancora, i Dear Jack stonano banalità illuminate da "stelle" e "tramonti" nella loro Il mondo esplode tranne noi (e viene da rispondere "peccato!") Io proporrei una nuova versione del Festival, che unisca la gara canora al mio gioco da tavola preferito, Sanremo Tabù: una botola si apre sotto i piedi dell'incauto cantante che si azzardi a pronunciare parole come "stelle", "sole", "cuore" o "amore." A questo gioco riuscirebbero benissimo Grazia Di Michele e Mauro Coruzzi, che ci stupiscono con paroloni come "corrivo", "guado", "crisalide" e "iconoclasta":

"...Ma questo qui è il mio corpo benché cangiante e strano
Di donna dentro un uomo eppure essere...umano
Sfogliando le parole di questa età corriva
Divento moralismo e fantasia lasciva
Crisalide perenne costretta in mezzo al guado
Mi specchio alla finestra e sono mio malgrado
Io non so mai chi sono io per la gente
Coscienza iconoclasta volgare e irriverente
Ma questo è solo un corpo il riflesso grossolano
Di donna o forse uomo comunque essere umano..."

Platinette riprende il disgraziato filone della canzone autobiografica, tristemente inaugurato da Emanuele Filiberto. Per quanto possa essere sentito e sofferto, però, il messaggio è troppo esplicito perché il brano possa essere poetico.
A fine di questa allegra serata, sempre seguendo la scaletta approvata del parroco, non manca il ricordo dei cari defunti, con il karaoke da harakiri di Emma e Arisa che cantano Il carrozzone in memoria dei musicisti che ci hanno lasciato.
Cosa trarre da questa prima puntata? Io penso di aver dedotto la seguente morale, divisa in tre punti:
1. E' dovere di ogni buon italiano metter su famiglia, quanto più numerosa possibile (famiglia Anania);
2. L'uomo non può separare ciò che Dio ha unito (Al Bano e Romina);
3. Chi è sessualmente confuso o soffre per la propria diversità deve sopportare stoicamente le prove a cui la Divina Provvidenza lo sottopone e va compatito, perché dopo tutto è pur sempre un essere umano (Platinette.)
Almeno questo è quello che ho capito io.
Anche Carletto e le sue vallette, comunque, hanno sentito il bisogno di tirare le somme prima dei saluti, elencando, tra battute pietose e risate forzate, i motivi per cui fanno Sanremo. Il motivo per cui io faccio un post su Sanremo? Perché tra uno sbadiglio e l'altro almeno ho qualcosa a cui pensare per ammazzare il tempo.

lunedì 2 febbraio 2015

La posizione del kaki

"Se tu desideri la grande quiete, preparati a sudare bianche perle" (Hakuin Ekaku)
Avete presente quei cartoni della Disney con protagonista Pippo che si cimenta in strampalate imprese sportive? Con quella voce fuori campo che commenta in stile documentaristico le sue avventure? Sì, quelli tipo "Pippo e lo sci", "Pippo e il football" o "Pippo e la pesca?" L'episodio di oggi è "Pippo e lo yoga", con un singolare re-casting che vuole il sottoscritto al posto del dinoccolato cane antropomorfo che tutti conosciamo. 
Qualche settimana fa la mia atletica amica Angy, che sembra sempre uscita da una pubblicità dei cereali Special K, mi ha proposto di accompagnarla ad una lezione di prova per essere introdotti all'antica pratica dello yoga, e ovviamente non mi sono lasciato sfuggire l'occasione. Oltretutto, con gli attacchi d'ansia che precedono la mia laurea al pari delle doglie che preannunciano il parto, la proposta è giunta con un tempismo che oserei definire karmico. Diciamo che ho visto in Angy uno strumento attraverso cui l'universo ha voluto dirmi qualcosa. In più per Natale, sorprendendo anche me stesso, mi sono fatto regalare una felpa della Champion, che è un po' come come se a Gandhi venisse un'improvvisa voglia di BigMac. Insomma, non ho voluto mettermi contro l'universo.
Così eccoci davanti al centro olistico di cui non conoscevamo nemmeno l'esistenza. Prima ancora di suonare il campanello la receptionist prevede la nostra mossa e ci apre la porta (deve avere il terzo occhio ben allenato), accogliendoci tra arazzi orientaleggianti e cuscini con ricami d'oro a riprodurre il firmamento. La ragazza si presenta appropriatamente come Luna e ci indica gentilmente la via che conduce all'Illuminazione, che naturalmente passa prima dagli spogliatoi. L'illuminazione della stanza adibita allo yoga, a dirla tutta, è scarsa: immerse in una penombra mistica, una decina di ragazze galleggiano nel mare serenitatis, come ninfee in uno stagno, sedute immobili sui loro tappetini nella posizione del loto. Scopro ovviamente di essere l'unico maschio, se si eccettua l'uomo sulla quarantina, dalla testa rasata, la barbetta caprina e il kimono blu notte, che dal fondo della sala osserva vigile ogni mossa delle sue allieve. "Benvenuti" ci accoglie il Maestro. "Prendete i tappetini dietro di voi" ci ordina subito dopo, parlando un po' a scatti, con un tono morbido ma deciso, il che ci porta a pensare, complice il buio, che sia giapponese. Poco dopo scopriremo che è italiano, ma ha preso i voti a *inserire nome di un paese asiatico che non ho capito* ed è diventato monaco zen. Visto com'è vestito, è il caso di dire che l'abito fa davvero il monaco (anche quello zen.)
Un po' impacciati, ci sediamo e proviamo a metterci in posizione. In realtà i piedi non riesco proprio a poggiarli sull'interno-coscia come fanno tutti gli altri, perciò più che posizione del loto mi è venuta la posizione del... non so, direi una posizione del kaki.
Io ed Angy intanto ci scambiamo occhiate in tralice nella semioscurità, cercando con enorme sforzo di trattenere la parte più  immatura di noi, perché temo proprio che il Maestro sarebbe perfettamente capace di spaccarmi una canna di bambù sulla schiena al minimo accenno di risata. Poi però si rivela anche troppo amichevole quando ci dice di alzarci, girare per la stanza e abbracciare gente a casaccio, e poi di stringerci la mano guardandoci negli occhi l'un l'altro. Le estranee che abbraccio sono tutte molto affabili e non sembrano avere troppa fretta di lasciarmi andare, a differenza mia che temo di risultare troppo appiccicoso anche solo trattenendomi un secondo di più. Il Maestro finisco con l'abbracciarlo almeno due volte e lui praticamente mi rimesta gli organi con due sonore pacche sulla schiena: "Non dovete essere timidi. Guardami negli occhi, Raffaele!" La sua voce pacata a questo punto si fa un ruggito che, per quanto gioviale, mi fa trasalire, e mi affretto a ricambiare il suo sguardo intenso e leggermente mandorlato. "Passiamo la vita intera a vergognarci di esistere, ma che cosa abbiamo fatto di male per non poter guardare qualcuno negli occhi?"
Dopo questi imbarazzanti momenti di team-building, facciamo ritorno ai nostri tappetini e il Guru riprende a darci i suoi pacati ordini, che diventano via via più ineseguibili. I corpi flessuosi delle mie compagne mi fanno sentire come Mulan al primo giorno di addestramento, e mi ritrovo a sbirciare di continuo la schiena ampia e muscolosa della ragazza più vicina, che mi sembra la più sciolta del gruppo. Tra l'altro assomiglia maledettamente alla protagonista di Revenge: capelli biondi, sorriso mite e nervi d'acciaio. Non mi stupirei sei fosse esperta anche di arti marziali.
Comunque, la sensazione di inadeguatezza cresce sempre più quando il Maestro se ne esce con istruzioni fumose del tipo: "Adesso sollevatevi sulle punte dei piedi e contemporaneamente portate il terzo chakra alla terra." E vai a capire dov'è! Grazie a Krishna, precisa poco dopo che si tratta dello stomaco.
Non so come, ma mi ritrovo a fare movimenti che credevo possibili solo per la bambina invasata del videoclip di Chandelier, e nel giro di pochi asana ho le gambe e le braccia aggrovigliate in un modo che neanche un navigato lupo di mare saprebbe sbrogliare. Ma c'è dell'altro: mentre te ne stai così, in equilibrio precario, con ogni fibra del tuo corpo che pulsa di dolore e gli arti più intricati delle cuffie di un iPod, il Guru è capace di chiederti, con aria serafica, di rimanere inginocchiato "poggiando tutto il peso del corpo sulla punta del piede destro", mantenendo il "piede sinistro sulla coscia destra", e come se non bastasse, di massaggiare "col pollice destro la pianta del piede sinistro." I miei pensieri sono, prima di tutto, "eh?", secondo di tutto, "ma come faccio ad auto-massaggiarmi anche la pianta del piede quando non ci vedo più dal dolore e per di più sto per rotolare via come un pangolino appallottolato?!" 
"Non smettete di respirare" ricorda ancora il monaco, soavemente. "Dovete ritrovare il piacere di respirare. Non datelo per scontato."
Il multi-tasking non è mai stato il mio forte: rimanere immobile in una posizione disumana, massaggiarsi il piede e doversi anche ricordare di continuare a vivere mi sembra chiedere davvero troppo. Improvvisamente fa un caldo bestiale, mi scopro sudato come un maiale al curry e inoltre dallo specchio noto che la mia faccia ha raggiunto una tonalità di blu elettrico da far invidia a Vishnu. "Pensavi che qui dicessimo solo 'ohm', vero?" domanda ironico il Maestro, con una ristata tonante: "Ahaha!" Poi il suo viso torna immediatamente imperturbabile come un lago di montagna.
La seconda parte della lezione per fortuna è stata meno simile a una tortura: le posizioni da supino o da sdraiato mi riescono meglio (e non fate battute, che tanto so a cosa state pensando.) Anche il Guru se ne accorge, perché viene a darmi una carezza sulla testa mentre me ne sto a gattoni sul pavimento con una gamba sollevata: "Hai visto che questo lo sai fare? Sembri la Cuccarini!"
Puntavo al modello Heather Parisi, ma non c'è male, per uno che non ha nemmeno mai giocato a Twister. 
L'ultima posizione - inginocchiarsi, incrociare i piedi e poggiare il sedere sui talloni - è in apparenza la più semplice, ma in realtà più che un esercizio è un supplizio. Eppure, alla fine della lezione, non mi sento stanco, né dolorante. Provo anzi una sensazione di benessere. Tutti i miei sette chakra sono ben oliati, allineati e girano che è una meraviglia. Mi sento come se il mio spirito avesse lasciato temporaneamente la sua prigione fisica e avesse vagato in un limbo dove il cellulare non prende e non esistono preoccupazioni, per poi rinfilarsi nel mio corpo ritrovandolo più comodo ed energico di quanto ricordasse. Ho pensato che forse è così che si sentono i credenti quando tornano dalla messa. Per un'ora sono stato concentrato su me stesso, sul mio corpo, sul mio respiro, ma allo stesso tempo ero in comunione con altre persone intente nella stesse attività. Ho sentito, per la prima volta da non so quanto tempo, di far parte di un gruppo. Non come quando la catechista col rossetto ben oltre il contorno delle labbra mi veniva a prendere dalle ultime panche per portarmi in prima fila con gli altri bambini: "Ma io voglio stare seduto con mia sorella" protestavo, e lei: "Ma no, vieni davanti con gli altri bambini", "Ma io voglio stare con mia sorella!", "Ma qui siamo tutti fratelli e sorelle!" Col cacchio, catechista! Di sorella ne ho una e mi basta...
Mentre le altre allieve arrotolano i loro tappetini il Maestro si materializza davanti a me. "Mi ricordi un po' me quando ho iniziato" confessa.
"Ah, davvero? Be', grazie, è un bel complimen..."
"Nel senso che anch'io ero rigido come un tronco di teak."
"Oh."
"Ma tu hai resistito più di me nell'ultimo esercizio" aggiunge. "Continua ad applicarti e vedrai che non sentirai più dolore. Anche il viaggio più lungo comincia con un passo." Poi mi saluta con un piccolo inchino e sparisce lasciando nell'aria una scia di incenso e patchouli
Dopo questo incoraggiamento, torno insieme ad Angy nello spogliatoio, dove ci scambiamo un sorriso di appagamento, scoprendoci entrambi rigenerati e finalmente liberi dalle solite preoccupazioni terrene e dalle basse esigenze della carne.
Poi, appena usciti in strada, ci chiediamo, quasi all'unisono: "Ma i monaci zen... possono fare sesso?"

Illustrazione di Charlotte Trounce.

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