domenica 23 febbraio 2014

Liberi da Sanremo 2014 o no?


Un inizio adrenalinico per questa finale di Sanremo: Don Matteo in bicicletta rischia di schiantarsi precipitando "a bombazza!" giù per la scalinata dell'Ariston. Con i santi in paradiso che si ritrova, però, è sopravvissuto, perciò aspettatevi pure una decima stagione (magari con Pedala di Frankie Hi NRG come sigla.) Ma dove va "così di fretta pedalando con ardor?" E' in missione speciale per sposare Fabio e Luciana, che però confessa candidamente di non disdegnare un "giro di lenzuola" con Beppe Vessicchio e Renga. Peccato non ci fosse Antonella Ruggiero ad accompagnare la solenne cerimonia con un canto gregoriano. La Parietti, dalla prima fila, agguanta prontamente il bouquet: a quando le nozze con De Andrè?
Crozza, per il suo ritorno a Sanremo dopo le contestazioni, mette subito le mani avanti e, deciso a raccogliere consensi, delude un po' con un monologo che vorrebbe inorgoglire il popolo italiano ma che sfocia in rivendicazioni spicciole della serie "Italians do it better" o "Ridateci la Gioconda!" E' un po' troppo facile vantarsi di opere realizzate dai nostri antenati secoli fa, ammantarsi di glorie passate e farsi belli denigrando gli altri paesi, per quanto l'idea dei tedeschi che, senza il motore a scoppio (inventato da un italiano), debbano accontentarsi di produrre l'Audi Graziella sia un vero spasso. Il catalogo delle bellezze e bruttezze italiane cantato sulle note di Mozart resta probabilmente la miglior canzone ascoltata in questa edizione. 

Probabilmente Noemi ha raccolto
qualche piuma lasciata da quell'oca
 selvatica della Casta. 
Altro ospite attesissimo (da Fazio) è Luciano Ligabue. Alle prime note di Certe notti è già falò sulla spiaggia. Che vi avevo detto?
Dopo l'interminabile concerto, ci si accorge che s'è fatta 'na certa e che sarebbe anche il caso di riprendere la gara. Una sorpresona la rosa dei finalisti: Arisa, sempre più simile al pinguino di Happy Feet, sempre intubata nel solito tubino da laureanda, sempre con quelle pences sul ventre che le fanno la pancetta della birra; Raphael Gualazzi e The Bloody Beetroots ("Ma quello là... Gualazzi.. non poteva mettersela pure lui la maschera?" ha commentato mio padre, trovandomi una volta tanto concorde); e infine Renzo Rubino, il burattino epilettico, col cravattino leghista, che quando suona al pianoforte sembra sempre sia seduto su un cuscino di suocera. Poi si lamenta cantando: "Tremano le gambe... sto cadendo!" Ci credo, Renzo, fatti più avanti con lo sgabello, no?!
Peccato per l'esclusione di Noemi: non partiva bene in classifica, e credo che quell'anello-cigno le abbia portato un po' sfiga. D'altronde, è un uccello che non canta, se non prima di morire.
Tutti si aspettavano il trionfo di Renga "Non-C'è-Mutanda-Che-Tenga" e della sua straripante mascolinità, ma per quanto si sia impegnato a scatenare le fantasie erotiche di Iva Zanicchi e coetanee, ha rimediato solo un due di picche. A nulla sono valsi quegli acuti a tradimento, che sembrano piuttosto colpi di reni, e il pruriginoso testo che ricostruisce una sveltina clandestina: "Amami ora come mai, tanto non lo dirai. E' un segreto tra noi, tu ed io. Soltanto il fuoco e le fiamme a dire che stiamo solo facendo sesso..." 
In quanto a generosa virilità, non è da meno il cantante dei Mastur... Perturbazione, che quando rievoca alla mente le sue amanti si agita talmente che sembra quasi voglia accoppiarsi con l'asta del microfono, tipo i cani con le gambe del tavolo. 
Cristiano De Andrè, pur escluso dalla finale, fa incetta di ricchi premi e cotillon: sembra un bambino viziato che in qualche modo bisogna tener contento. Sono cinque giorni che frigna perché non hanno scelto la sua canzone preferita.
Intanto, aspettando il vincitore, Luciana si spoglia dell'abito da Carmen Miranda a lutto per trasformarsi in Poiana Littizzetto. Sarà stata una scelta azzardata, ma a me tutte quelle piume metalliche sono piaciute un sacco: una fenice aurea decisamente rock. E' senz'altro lei la fashion queen di questa edizione.
L'attesa spasmodica è resa ancora più straziante dal ritorno sul palco dei giovani al completo. A quel punto ho avuto un momento di sconforto perché speravo di non doverli ascoltare mai più, ma per fortuna si sono limitati ai ritornelli: non potevano fare così tutto il festival?
Pochi minuti all'annuncio e sono tutti stremati: Mauro Pagani ondeggia poco convinto al ritmo di Nu juorno buono, mentre Arisa è a un passo dal tirar fuori le ciabatte quando la dichiarano vincitrice della sessantaquattresima edizione del festival di Sanremo. Lei sembra strafatta, o forse ha alzato il gomito con Stromae. Accenna un urletto, barcolla, ma non molla, e a fatica riesce a sollevare il trofeo con il leone che si lima le unghie contro il tronco della palma.


Che ho fatto ieri sera? Mah, mi annoiavo, così ho pensato di vincere Sanremo.

"Com'è vincere?" domanda Luciana.
"Tutto okay" pigola lei. Poi gracchia: "Non vi meravigliate: io non mi scompongo." 
Lei forse non è solita scomporsi, ma io ero talmente a pezzi che iniziavo a decompormi. 
Per questo piumato festival della bellezza (non sempre facile da trovare) giunge il momento dei bilanci e dei mea culpa. "L’anno scorso c’era più gioia, è un momento di malessere fortissimo" dichiara la Litty a La Repubblica, poi ammette: "Avremmo dovuto bilanciare la nostalgia con la novità."
La vera novità è stato Sanromolo, l'anteprima di Pif, che ha esplorato il mondo "dietro le quinte" con la telecamerina, l'ironia e la finta ingenuità che lo contraddistinguono. Sarà per la faccia, la voce o la simpatia... ma a me ricorda il bradipo preistorico de L'Era Glaciale. Grazie a lui abbiamo potuto conoscere personaggi straordinari, casi umani che ronzano intorno all'Ariston a caccia di un autografo e habitué della platea, come il ginecologo siciliano dalla lucente pelliccia d'ermellino e con un ermellino morto in testa.
 
"Io quando sento la musica dal vivo... non è come sentirla per radio o per tv...
mi vengono tutti i brividi come la Oxa, tutti i brividi del mondo."
Anche lui dà i brividi, però.

Emblematica la visita alla sanremese più anziana, la signora Angela, che è nata centocinque Sanremo orsono. Come regalo di compleanno Pif le ha portato un video-messaggio delle gemelle Kessler e l'arzilla vecchina, sbalordita ha esclamato: "Le Kessler ci sono ancora?!"
Una domanda cha da sola riassume un intero festival.

sabato 22 febbraio 2014

Nu juorno buono a Sanremo 2014

Solo la magia di Gucci può trasformare
Lucianina di Samosata in una leggiadra

Nike di Samotracia.
Anche la serata revival (non che le altre fossero avanguardistiche) si è aperta sotto il segno della nostalgia. La nostalgia dell'anno scorso. Infatti fa il suo inspiegabile ritorno sul palco dell'Ariston Marco Mengoni: neanche dovesse riconsegnare la fascia e il diadema di Miss Italia. L'atmosfera sembra più frizzante del solito, il ritmo è serrato, i duetti scivolano giù tutti d'un sorso. Esordiscono cantando La donna cannone i Perturbazione e Violante Placido, dai capelli glossy glossy ma scossi, come se fosse appena uscita dalla galleria del vento. Mi ha fatto una gran tenerezza: visibilmente terrorizzata, nuda e infreddolita come Eva il giorno della cacciata dal paradiso terrestre. Sembrava dovessero spararla col cannone da un momento all'altro. Tutto sommato non se l'è cavata neanche così male.
Fascinosa e ironica Fiorella Mannoia, nel suo peplo rosso Jessica Rabbit. Accanto a lei, Frankie Hi-NRG, la panza traballante, si muoveva con la grazia di Orso Balosso.
Noemi, invece, abbacina tutti col suo grembiulino giallo limone, che sembra fatto di quel nastro plissettato con cui si guarniscono le torte. "Enzo Miccio lo voglio affossare..." mormora a denti stretti alla Littizzetto, che, stranamente imbarazzata, fa finta di niente. Evidentemente il jedi del fashion ha minacciato di fendere a colpi di spada laser i suoi abiti da principessa Amidala. La scherzosa lotta tra Noemi e Miciomicio è proseguita su Twitter, dove hanno giocato a Titti e gatto Silvestro. Eppure il giallo canarino spopola, vedi le scarpe di Arisa, che di Titti ha anche la voce.
Un altro ritorno di cui potevamo fare a meno è quello di Kekko dei Modà, che canta al fianco di Renga, quest'ultimo talmente convinto di avere la vittoria nella tasca del gilet da far finta di non ricordare che oggi c'è la finale.
Se l'asso nella manica per risollevare le sorti del festival è il mago Silvan, allora stiamo freschi. Il prestigiatore invita tutti a riscoprire nel proprio "cuoricino" il puer aeternus "di cui parla Montale" (ma non era Pascoli?) e cerca di mantenere il suo tono mistico mentre Lucy e Fabio ridacchiano come scolaretti nell'ora di religione. Il tiratissimo illusionista accorcia Luciana, dopo averla imprigionata nella sua cabina magica, e per un attimo ho temuto volesse farla sparire: non lei, che è l'unica attrattiva di questo Sanremo. La ripresa dei piedini della dimezzata Littizzetto lasciano qualche dubbio: spero vivamente fossero finti, perché altrimenti il suo pedicure sarebbe da denuncia.


"Oh-oh, mi è semblato di vedele un Miccio."

Proprio quando comincio a pensare che questa possa essere finalmente una serata più vivace, ecco che l'attimo "senza fine" di Gino Paoli mi fa sprofondare in piena fase SanREM. Ma a sorpresa la competizione dei giovani, per una volta tanto, viene anticipata a metà serata, e non relegata ad orari marzulliani. Diodato mi fa sobbalzare con l'azzardato verso "Io non lo so come fai a sbattermi così." Siamo sicuri che la canzone sia Babilonia e non Sodoma? The Niro, poi, mi preoccupa non poco: gli occhi rovesciati, i movimenti convulsi, il testo delirante...
Dopo questa bella gioventù, Sinigallia fa il suo ingresso a capo chino: si è scoperto che ha già cantato il suo pezzo in gara durante un evento benefico. L'autogol non può che condurre a un verdetto alla Briatore: "scei fuori!" Inutile dirvi quanto la notizia mi abbia addolorato. Scherzi a parte, chiunque l'abbia denunciato ha agito da grande infame e chissà che brutto karma si starà attirando. Fazio in ogni caso lo farà cantare a mo' di contentino anche oggi, e forse anche domani a Che tempo che fa... a cosa è servito assicurarsi un posto nell'ultimo girone dell'Inferno se poi dovremo sorbircelo comunque?
Subito dopo questo agrodolce arrivederci, giunge Gualazzi, sempre accompagnato dal suo fido "moscone" e da Tommy Lee, batterista dai capelli catramosi. Il brano scelto è il gigionissimo Nel blu dipinto di blu, ma si direbbe piuttosto Nel celestino pallido dipinto di celestino pallido, arricchito da qualche pennellata di inglese, che fa tanto figo. Sempre meglio di Liberi o no, comunque, e di quel suo falsetto da Alvin Superstar. Intanto riflettevo sul fatto che, con quella faccia da schiaffi che si ritrova, non mi stupirei affatto se Raphael dichiarasse di voler entrare in politica.
Renzo Rubino, l'ex-giovane, è palesemente nato vecchio: vecchio l'abbigliamento, vecchi i capelli, vecchie le canzoni, vecchia la voce. Quella sua sicumera da primo della classe comincia a stancarmi. Quando ho saputo che avrebbe duettato con Simona Molinari mi sono subito ringalluzzito: impossibile non ricordare l'orrido centrotavola natalizio che la cantante ha sfoggiato solo l'anno scorso. Per questo potete immaginare quanto profonda sia stata la mia delusione quando l'ho vista scendere la scalinata, bellissima, elegantissima, sensualissima, impeccabile. La trasparenza laterale del vestito lasciava intuire che è anche lei si era smutandata dalla noia.
La stessa scalinata, i gradini trasformati in onde e flutti, è stata solcata anche dall'attore Alessio Boni, con un barbone da fare invidia ad Herman Melville, che recita il testo di Mare d'inverno. Gli occhi sgranati, neanche avesse visto la balena bianca, ma invece c'è solo la Ferreri travestita da focena. L'attore che l'accompagna, Alessandro Haber, è talmente intontito che Giusy deve indicargli con la mano lo schermo del karaoke.
Antonella Ruggiero, giusto per svecchiare un po' la sua immagine, si circonda di un gruppo di berlinesi che suonano i tablet come strumenti musicali, ma riesce comunque, anche questa volta, ad addormentare tutti. La trovata tecnologica è roba da far strabuzzare gli occhi solo a qualche quarantenneminkia, e comunque l'effetto risulta anche piuttosto ridicolo: i "musicisti", che dondolano al ritmo della loro stessa ninna nanna, più che suonare sembrano intenti a cercare di indovinare la password per scroccare il wi-fi dell'Ariston. Sinigallia, dopo l'eliminazione, ci regala una botta di allegria con un Ho visto anche degli zingari felici: con la frase "noi che sopportiamo la malattia del sonno e la malaria" sembrava stesse descrivendo lo stato in cui agonizziamo da quattro giorni noi spettatori.
Abbassa la media anagrafica il dolce Nutellino, il cantante scozzese Paolo Nutini, che omaggia le sue radici italiane interpretando (e mangiucchiando) le parole di Caruso.
Gli ospiti italiani, da Zingaretti a Brignano, come tutti quelli che li hanno preceduti, non fanno che omaggiare qualcun altro (e autopromuoversi). Nessuno che sia se stesso. Questo è sempre più il festival di Wikipedia, visti i continui riferimenti a personaggi sconosciuti al pubblico gggiovane.
E parlando di gggiovani, tra le nuove proposte, viene premiata la denuncia di Rocco Hunt. Che piaccia o meno (a me no, per esempio), una cosa è certa: è più rapper lui di Frankie Hi-NRG. Lo scugnizzo piange a dirotto e abbraccia tutta Sanremo, da Luciana alla statua di Mike Buongiorno.
L'inizio sprint di questa serata mi ha illuso che potesse essere nu juorno buono per questo festival, ma non mi resta che sperare in un lieto finale.

venerdì 21 febbraio 2014

Ti porto a Sanremo 2014 con me

Non capisco proprio chi critica Lucianina per il cachet esorbitante. Provassero loro a fare
le badanti per cinque serate di seguito e mantenere per tutto il tempo il suo senso dell'humour.
Sono stato rallentato dalla febbre (quella vera, non la febbre da Sanremania) e quando Fabio Fazio è comparso in scena in giacca da camera, ahimè, mi è quasi parso di guardarmi allo specchio. Ciononostante, indefesso, continuo a commentare per voi questo Festival, ancora una volta diretto dal duumvirato Fazio-Littizzetto. Ma passiamo subito al riepilogo degli artisti che nelle ultime due serate hanno cavalcato la scacchiera dell'Ariston.
Al suo esordio Noemi ha sfoggiato un abito da sposa spaziale, preferendo al classico filo di perle un fil di ferro attorcigliato al collo: l'effetto è un po' quello del delfino rimasto incastrato negli imballaggi gettati in mare. Un'immagine ecologica, quest'ultima, che si ricollega all'atmosfera quasi animistica evocata dalle sue canzoni, in particolare Bagnati dal sole: la voce di Noemi emana raggi, un fascio continuo che avvolge e riscalda gli spettatori molto più delle coperte termiche a cui sono abituati. Anche ieri, forse in omaggio all'astro-giornalista Tito Stagno e all'astronauta Luca Parmitano, ha proseguito sulla strada delle mise cosmicomiche vestendo i panni di una sirena siderale.
Imperdonabili i coretti sospiranti e i violini miagolanti di Ora, il pezzo presentato da Renzo Rubino, quest'anno promosso a Big. Al pianoforte si agita e si contorce al pari di un muppet impazzito. Corre voce che questa sera duetterà con Miss Piggy. Più che "fermati e datti un voto", Renzo, fermati e datti una calmata.


Francesco Sàrcina, Nel tuo sorriso, si definisce "un guerriero che difende il mondo intero." In effetti, scimmiesco com'è, sembra sempre a un passo dal trasformarsi in Super Sayan di quarto livello. Lui e Clemente Russo (in veste di annunciatore) hanno lottato fino allo strenuo delle forze per accaparrarsi la cintura di "Più Egocentrico", tra la logorrea del pugile e le selfie dal palco del cantante, rimbeccato dalla Littizzetto: "Invece di fare il pirla, ci dici se la canzone che ha vinto è la prima o la seconda che hai cantato?! Quelli di Twitter vogliono saperlo!"
Facendo indagini sull'ex-frontman de Le Vibrazioni, ho scoperto che sarcina è il nome di un batterio che frequenta abitualmente l'intestino umano, e in latino significa "fardello". Coincidenze? Sono venuto a sapere anche che quei perversi di Vanity Fair lo hanno scelto come protagonista di una serie di interviste in veste di sessuologo, richiedendogli di elargire, dall'alto della sua esperienza, preziosi consigli su sesso di gruppo e tradimento. Altro che vibrazioni, a me vengono i brividi.
Chi comincia proprio a piacermi è invece Giusy Ferreri con la sua Ti porto a cena con me, un invito che potrei accettare, a patto che si cambi d'abito. A quanto pare non è solo la "felicità" che è "fuori moda", ma anche lei, con quel vestito verde da tigre della Malesia e i tacchi vertiginosi, che sono praticamente degli altipiani non ancora riportati sulle mappe.
Renga, più inanellato di un rapper, si aggiudica un primo posto provvisorio che non riesco proprio a spiegarmi. Su Sinigallia ho poco da dire: avantieri sotto la giacca indossava una maglietta con una mandria di elefantini, ieri soltanto uno. Oggi quanti se ne porterà addosso?
Ron, che non riesco a non immaginare come il gatto Romeo ("er mejo der Colosseo"), fischietta un ritornello country perfetto per la vendemmia, mentre la virtuosa Antonella Ruggiero (il suo stilista veste anche il dittatore coreano Kim Jong-Un) gorgheggia una litania che è senz'altro molto sofisticata, anche troppo. Come sia riuscita a scavalcare Noemi nella classifica parziale di ieri è un mistero: sarà stato il potere dell'ipnosi?
Quanto agli ospiti di queste due serate, per la serie "una partita a briscola e un passeggiatina ai giardinetti pubblici", sono state scongelate le Kessler, vestite interamente di squame e sguscianti come anguille sul palco a ritmo di Quelli belli come noi. Naturalmente, tra questi due alti papaveri, non poteva mancare quella paperina di Luciana, finalmente con un abbigliamento un po' più estroso: la sopravveste mobile a nido d'ape con all'estremità uno sciame di chiffon che fa su e giù quando alza le braccia. A pensarci bene ricordava anche un ombrellino da cocktail.
La Litty non ha mancato "l'incontro a Teano" con la Valeri, entrambe a telefono con le loro mamme. Peccato che non siano riusciti a spiegare al pubblico post-diluviano quale grande attrice sia Franca Valeri. I ragazzini che per sbaglio avranno buttato un occhio su Sanremo avranno visto solo una vecchia signora che a malapena riesce a farsi capire quando parla, vestita da poltrona dell'Ariston e con ai piedi le galosce di Peppa Pig.

Mio nonno ha riconosciuto il telefono che usa Insinna per chiamare "La Dottoressa"
e gli è venuto il magone. Sono giorni che è in astinenza da Affari tuoi.
Il medley di Baglioni l'ho volutamente evitato. Dopo Piccolo grande amore, mancava solo che tornasse Ligabue e attaccasse con Certe notti, e a quel punto si sarebbe potuto improvvisare un perfetto falò sulla spiaggia.
Ieri, poi, è stato il turno di Renzo Arbore, con un plaid rosso legato al collo e un cinturone alla texana, l'unico "ospite da ospizio" consapevole di essere vecchio, se pur capace di affrontare con grande autoironia l'argomento della propria veneranda età. Interminabile l'omaggio alla canzone napoletana, a discapito dei giovani, per quanto su di loro, almeno per il momento, preferisca non esprimermi. Delle nuove proposte è doveroso tramandare ai posteri, a mo' di monito, solo gli osceni outfit delle ragazze escluse, in primis Bianca, la vamp più candida di Dita Von Teese, le cui ciglia finte e le labbrone scarlatte hanno preso il sopravvento su tutto. Impareggiabile il vestito goule-de-pigeon: non c'è Sanremo senza che qualcuno si auto-confezioni come un uovo di Pasqua. La citazione ungarettiana, "si sta come foglie sui rami a novembre"? Un tocco di classe: terza media, per la precisione.
Veronica De Simone, appena coperta da un centrino di pizzo, con un capigliatura che gareggia con Noemi per autolesionismo, ieri si è sbilanciata dichiarando a pieni polmoni di volere cento figli. Una giovane, novella Ecuba, la prolifica regina troiana.
Parlando di convitati esteri, ieri sera il cantautore irlandese Damian Rice si è presentato in cenci da clochard, con la chitarra in piena marcescenza. L'ha preceduto la sera prima Rufus Wainwright, sublime in Cigarettes and chocolate milk e Across the universe. Ancora prima della sua esibizione il canadese è stato duramente contestato e accusato di blasfemia dai Papaboys per la canzone Gay Messiah (in cui si parla, per l'appunto, di un messia gay "risorto da un porno anni settanta" e si allude anche a un "battesimo di sperma.") Mi sono premurato di ascoltare la canzone incriminata, tra l'altro di dieci anni fa, ed è una geremiade piuttosto lagnosa. Io, in ogni caso, sono fan di chiunque scateni e maledizioni bibliche dei Papaboys. Non so in quale girone dantesco finirò, ma l'inferno me lo immagino così: un'enorme valle infuocata, con schiere di Papaboys che mi frustano a ritmo delle canzoni dell'ACR.
E a proposito di fuoco e fiamme, signoreggia in quanto a cattivo gusto sanremese l'abito rosso come il peccato della pallavolista Veronica Angeloni. Le tre lacerazioni sul ventre sono variamente interpretabili: sarà stata attaccata da un orso, o forse si è dimenticata per tre volte il ferro da stiro acceso sul vestito? Quei tre buchi rappresentano un richiamo alla decadente scenografia? O forse sono un'allusione alla Trinità e al triskell celtico? Qualunque sia il significato, il modello ha messo in risalto impietosamente i fianchi perpendicolari della sportiva.

La pallavolista Veronica Angeloni e due nuove proposte (indecenti): Bianca e Veronica
De Simone, entrambe vestite da bambole assassine.
Probabilmente queste due serate sono state più animate della comatosa première. Trito, ma pur sempre divertente il monologo della Lucy dei nostri occhi sul tema della bellezza, in tutte le sue manifestazioni, anche meno convenzionali: "un mondo di persone tutte uguali è un incubo totalitarista." Al momento di scagliarsi contro la chirurgia estetica selvaggia e la plastificazione umana, ha scoccato velenose frecciatine che avranno fatto rodere il fois-gras alla Santanché, "amica del gioco dell'oca."
Eppure credo che tutto questo ancora non basti per bissare i fasti dell'anno scorso. La trovata del flash mob musicale? Roba che avrebbe potuto stupire il pubblico di dieci anni fa.

mercoledì 19 febbraio 2014

Sanremo 2014, sei acceso o sei spento?


I costumi sono da Carnevale, ma il clima è quaresimale.
"Raffy, ma lo sapevi che anche Umberto Saba e Dino Buzzati hanno iniziato con le recensioni di Sanremo?" ci ha tenuto a informarmi mia madre, che evidentemente non nutre grandi aspettative su di me e non intende in alcun modo mettermi sotto pressione. Come se questa edizione del Festival non mi desse già abbastanza pensieri. Non so a voi, ma a me il fatto che ci fosse Beppe Grillo in platea metteva addosso un'ansia terribile. Mi aspettavo che esplodesse da un momento all'altro come una bomba ad orologeria, iniziando a inveire e farsi venire un embolo come il Baffo delle televendite.
Scoprire grazie alla "testimonianza" di Pif, che il piatto tipico di Sanremo è il brandacujùn (nome oltremodo evocativo) e che in realtà "Sanremo" è una contrazione di "Sanromolo" è stato già abbastanza sconvolgente, ma a tutto questo è seguita un'escalation di angoscia: il sipario sospeso a metà, i due lavoratori che minacciano di buttarsi giù dalla balconata (non si capisce bene come siano riusciti ad arrivare fin lassù né come si siano potuti permettere un biglietto all'Ariston, perciò molti gridano alla farsa) e infine, una volta scampato il pericolo, si è aggiunto lo spavento di scorgere la Marchesa Del Secco d'Aragona che fa capolino tra Fazio e la moglie di De Andrè.
A portare sollievo comico, giunge in soccorso come sempre Lucianina Littizzetto, con i suoi passetti da geisha, conciata come un fenicottero e accessoriata con un fiorito balconcino in muratura e un cappellino per cui non oso immaginare quanti Fimbles siano stati spennati vivi.
Rompe il ghiaccio Arisa, con Lentamente: "cade una mela da un ramo" canta lei, ma intanto il suo décolletè, in continuo movimento tettonico, sfida ogni legge di gravità. Calimero ha scoperto le gioie del push-up. Poi, al momento di Controvento, che credo sia il flautato canto delle sue manie di persecuzione, si toglie anche le scarpe: prego, fa come a casa tua.
Almeno però Arisa sa cantare. Frankie Hi-NRG, atono, ripetitivo, noioso, annaspa con Pedala, che ha proprio il ritmo e la vitalità di una pedalata. In pianura, però.
Intanto mi immaginavo che Grillo si alzasse e cominciasse ad abbaiare furiosamente, ma è rimasto silenzioso anche di fronte al dolce vita nero alla Jean-Paul Sartre sfoggiato da Fazio al momento del siparietto con Laetitia Casta. "E' un'invitazione bellissima" dichiara quella che in conferenza stampa non ha fatto altro che vantarsi di aver imparato l'italiano alla perfezione. Poi Fazio inizia a cantare in qualcosa che somiglia vagamente al francese, e Grillo ancora tace. Solo friniscono i grilli.
La Casta, indecisa tra anni '30 e '50 si cosparge di colla e si rotola tra charleston e piume off white, di seguito si esibisce nel suo numero da cafè chantant con Ma 'ndo va se la banana non ce l'hai, per poi accompagnare Fabio nell'omaggio a Jannacci. Peccato che non si capisca una parola.
Anche questa volta il Grillo Urlante perde un'occasione perfetta per insorgere e far volare qua e là qualche vaffa alla casta e alla Casta.
Quanto al resto delle canzoni in gara: nessuna frase memorabile, nessuna vetta di poesia, nessun motivetto che riesca a tenerti sveglio. Raphael Gualazzi si presenta con The Bloody Betroots, un deejay che pare non esca mai di casa senza la maschera di Venom (ieri ha sfoggiato la versione glitterata delle grandi occasioni). Gualazzi, invece, non so proprio di quale supercattivo potrebbe vestire i panni. Nemmeno Joker, visto che quel suo sorrisetto perenne è più irritante che inquietante. Quando si lascia trasportare dalle suggestioni jazz e soul delle sue canzoni, chiude gli occhi e inclina leggermente la testa da un lato, come se limonasse col suo ego. Non credo abbia affatto bisogno di un alter.
E' dall'anno scorso che mi sforzo di capire a chi somigli, e finalmente ci sono riuscito. Non è un supercattivo, ma parliamo sempre di cartoni:

Mikey del cartone Disney Ricreazione e Raphael Gualazzi.
Il peggior sorriso di questo Sanremo non è quello della Casta.
Dei due pezzi di Cristiano De André ricordo solo l'ultimo verso (mi sono svegliato solo ad esibizione conclusa): "io mi aspetto molto da te", parole che suonano tristemente ironiche. Non capisco perché costringere i cantanti a proporre due brani se poi vince sempre il secondo. Nel caso di De André Junior, poi, la doppia performance è un supplizio bello e buono per chi ascolta.
A quel punto ero sicuro che Grillo si sarebbe deciso a saltare dalla poltrona e inneggiare alla rivoluzione, ma ancora niente.
Qualche brivido ce l'hanno regalato solo i Perturbazione, che sembravano un quartetto d'archi, prima che una specie di Vincent Cassel in tuxedo (e più simpatico) iniziasse ad  elencare il catalogo delle sue donne. Il gruppo dovrebbe chiamarsi Fornicazione.
Oltre alla Litty (per quanto anche lei un po' prevedibile), l'unica capace di dare una botta di vita a questo noiosissimo esordio era Raffaella Carrà, la Popstar dei Due Mondi, praticamente "Garibaldi col carré". Vestita da gladiatrice post-apocalittica, fa la sua apparizione insieme a uno stuolo di boys su tacchi a spillo, scopiazzando non so quanto consapevolmente Madonna. Il Carràrmato sfonda l'Ariston prima con una vera e propria Gaga-ta, poi con quello che è già il nuovo inno del geriatrash, con l'indimenticabile ritornello "Cha, cha, ciao, muchacho, ciao!", senza contare quel retorico "Sei acceso o sei spento? Sei acceso o sei spento?", che è un po' quello che ripetevo io al televisore mentre guardavo questa prima, fiacca puntata.

Meno male che c'erano loro...
Quanto agli altri ospiti e alle comparsate, per il Sanremo low cost sono stati riciclati volti già noti della Rai, rubacchiati a Che tempo che fa e Ballando con le stelle. Guest-star, direttamente dal dimenticatoio, Cat Stevens, che per fortuna ha cantato la splendida Father and son. Fazio gli ha persino chiesto di rimanere ancora un giorno a Sanremo, ma neanche allora Grillo ha reclamato a gran voce l'impeachment del presentatore.
Insomma, tanta ansia per nulla. Piuttosto delusione e sonnolenza.

giovedì 13 febbraio 2014

Ciccio mi graffia, graffiami Ciccio

Un post degno di Studio Aperto. Foto di Anny.
Oggi sento l'incombenza di affrontare temi di scottante attualità. Per esempio quanto siano teneri e carini i gattini.
Con San Valentino alle porte, ho deciso di gettare la maschera, darci un taglio con frasi trite e poco credibili come "è una festa commerciale", "single è meglio" o "per me è un giorno come tutti gli altri." Ammetto di essere verde d'invidia, e non mi sento minimamente in colpa ad augurare a tutte le coppiette innamorate di brindare con champagne tiepido.
Dopo aver festeggiato per anni San Faustino, riguardando su YouTube il lieto fine di ogni fiaba Disney, rileggendo i miei vecchi diari e trincando San Crispino direttamente dal tetrapak, ho capito che se noi gattari siamo single è perché cerchiamo partner che in qualche modo assomiglino ai nostri beniamini a quattro zampe: affascinanti, misteriosi, dal manto vellutato e cangiante, sfuggenti, opportunisti e sostanzialmente dei gran farabutti. Insomma, il/la classico/a tipo/a che su Facebook non ti degna di risposta anche se ha visualizzato il messaggio.
Ci struggiamo per uno sguardo di sufficienza e un minuto di coccole concesse come se fossero un enorme favore. Godiamo nell'essere sedotti e abbondonati. E' per questo che dalla notte dei tempi il gatto è il famiglio preferito di noi zitelli e zitelle, una specie di compagno/a in formato ridotto e più facilmente corruttibile.
C'è stato un tempo in cui avevo una dignità. Ma poi ho incontrato Ciccio, il gatto della mia amica Anny. O meglio, sarebbe più corretto dire che Anny è l'umana di Ciccio, visto che un bel giorno è sgattaiolato nella sua villetta e non si è mosso più di lì, divenendone praticamente proprietario per usucapione. Da allora si può dire che viviamo per lui.

Un ritratto di Ciccio in pieno stile Francis Bacon. O forse è solo una delle sue solite
scenate alla Naomi Campbell.
Anny, in particolare, ha preso sul serio il suo ruolo di gran sacerdotessa di Bastet, e si sta appassionando alla lettura di articoli e studi di dubbia attendibilità sul comportamento dei gatti, di quelli che realizzano sempre quei team di sfaccendati di qualche istituto americano mai sentito nominare (tipo l'Università di Wichita o Cincinnati), quelle ricerche scientifiche strampalate da cui la Littizzetto ricava le sue "notizie balenghe" ogni domenica sera e su cui si basano gran parte delle domande di Carlo Conti a L'eredità: "Raffy, ho letto uno studio secondo cui i gatti in realtà vedono noi padroni come gatti più grossi... ah, e lo sapevi che quando Ciccio rizza la coda in alto è perché è felice di vederti?" L'equivalente felino del nostro "alzabandiera."

In alto a sinistra, una selfie di Ciccio col suo "sguardo guercio" ispirato
a Il gatto nero di Edgar Allan Poe. A destra, Ciccio in agguato sull'armadio
di Anny con un sorriso inquietante da Stregatto. Più in basso,
Ciccio studia
interessato i pettirossi della carta da parati, poi contempla il mondo
dalla finestra. In basso a sinistra, un'espressione serafica da Prima Comunione. 

Qualche giorno fa sono andato a trovarlo ed era meravigliosamente acciambellato sul suo letto, un morbido cuscino naturale avviluppato nella sua stessa soffice coda da procione. Era di umore stranamente oblomoviano: se ne stava lì, immobile, gli occhi dorati in contemplazione del nulla. "E' un po' abulico oggi... non ha neanche mangiato molto" mi ha subito ragguagliato Anny, già all'apice dell'apprensione.
"Come si chiama?"
"Chi?"
"La bagatta che lo sta facendo soffrire! Chi è la sgualdrina?"
"Non lo so, Raffy, secondo me i suoi amici-mici randagi gli hanno voltato le spalle."
"Chi? Plutone e i gemelli?"
"Sì. Saranno invidiosi perché lui è amato, nutrito e coccolato..."
"Ma chi ha bisogno di loro, Ciccio? Adesso tu sei un Lord, non puoi mischiarti con i bassi fondi. Le differenze di classe non contano solo in quei film tutti uguali in cui la musica classica incontra l'hip-hop."
Intanto gli accarezzo il pelo vaporoso. Sento quasi il grasso invernale spalmarglisi sotto la pelle, ed è una sensazione b-e-l-l-i-s-s-i-m-a. E' praticamente una foca.
"Uh, Raffy, guarda, ti sta mostrando la pancia! Vuol dire che gli piaci! Ti fidi di zio Raffy, vero Ciccio?"
"Uh ciccioammoremeobellissimooo, mi stai mostrando la tua parte vulnerabile, eh, vero, amore? Vuol dire che ti fidi di me? Uh, cicciottinomiobelloquantotivogliobene!"
Basta che faccia le fusa, sgrani quegli aurei occhioni e inclini leggermente la testolina, che il mio cervello si riduce in gelatina, e comincio a tatineggiare come una vecchia zia. Prima o poi scriverò un post sui personaggi storici che si sono lasciati stregare dai gatti. Pensare che Peggy Guggenheim andava in brodo di giuggiole per i micetti, che Hemingway ne era talmente sedotto da non prenderli a colpi di fucile e che Dickens scriveva con un batuffolo di pelo a scaldargli i piedi, mi fa sentire un po' meno solo e stupido.
Ciccio intanto si lascia docilmente accarezzare là dove non batte il sole (il ventre candido, che andate a pensare?), ma dopo una mezz'oretta buona di pelo e contropelo, mi posa delicatamente la zampina sulla mano, come a dire: "Basta così. Adesso non ti sbilanciare."



"Odio i lunedì" (Garfield)
"Forse è meglio che rimandiamo l'intervista, Raffy. Non mi sembra molto in vena."
"Già, è in piena fase 'Bartleby il soriano'. Chiamami quando sarà meno apatico."
Così l'ho lasciato al suo spleen beaudelairiano e sono andato via, con la coda tra le gambe.
Ma non c'è voluto molto perché Anny mi telefonasse dicendomi che è proprio nel mood giusto per rilasciare delle scottanti dichiarazioni. Così ci siamo subito incontrati davanti a una tazza di tè e una ciotola di latte caldo.
Scusate l'emozione, ragazzi, ma non riesco ancora a credere di essere stato così fortunato da ottenere un'esclusiva. Non mi sentivo così nervoso da quella volta che Mara Venier venne come super-ospite alla Sagra della Cipolla Rossa e io, che facevo solo le elementari, ero stato incaricato di spiegarne le proprietà nutritive. Ricordo ancora il suo sguardo di bovina indifferenza...
Ma iniziamo subito con la prima domanda: come vi siete conosciuti?
A. Ciccio e io? Semplicemente si è intrufolato in casa mia e non ha voluto saperne di andarsene, del tutto indifferente alla mia allergia al pelo di gatto.
Anch'io avevo adocchiato già da un po' casa tua, Anny, e ho più volte lasciato intendere che avrei molto apprezzato la concessone di una stanzetta tutto per me, ma non avevo mai pensato di piazzarmici e basta.
C. Provaci: devi semplicemente rifiutare l'idea di non essere venerato.

Tre scatti che sintetizzano l'infanzia di Ciccio e il suo graduale
insediamento a casa di Anny: si passa dalla timidezza iniziale

alla subdola occupazione, fino all'aria spavalda dell'ultima foto:
"Ti sfido a non adorarmi!"
Grazie del suggerimento, Ciccio. Ancora più che una stanza a casa tua, Anny, ho sempre desiderato avere un gatto. Ho avuto solo una cricetina, Puka. Era un po' isterica, ma le volevo bene. Anche se onestamente ora non so se prenderei un animale. E' strano, ho sempre paura che mi muoiano in mano. Questo fatto che gli animali debbano morire mi fa un po' impressione. Nel bagno ho una spugna naturale ma non ce la faccio mica ad usarla: non riesco a smettere di pensare che un tempo era viva.
Ma veniamo a noi, come trascorre le sue giornate un gatto?
A. Oltre a dormire, rubare il baccalà lasciato a scongelare, mangiare e miagolare perché vuole mangiare, intendi? Be', si diverte a fare "il pane con le zampine", ma soprattutto adora rotolarsi. Si rotola continuamente avanti e indietro, da solo e in compagnia. L'ho sorpreso molte volte insieme ai suoi amici randagi, Plutone (un tenebroso gatto nero) e i Ramones (due gemelli non siamesi): tutti e quattro che si rotolavano come adorabili imbecilli nel bel mezzo della strada. E' un aspetto del comportamento animale cui non sono ancora riuscita a dare una spiegazione.
Immagino sia uno di quei misteri che da secoli eludono gli etologi. Un po' come quando mio padre muove convulsamente la gamba. Sembra il coniglietto spastico di Bambi.
A. Già, i padri e i gatti sono creature bizzarre. Ciccio ama così tanto rotolarsi che inizialmente avevo pensato di chiamarlo Rolly, ma per un bel po' è rimasto senza nome come il Gatto di Audrey Hepburn in Colazione da Tiffany. Poi mio fratello ha deciso arbitrariamente per Ciccio.
Ti confesso che ho fatto fatica a farmelo piacere, come nome. Ma più lo guardo e più rendo conto che è un Ciccio. Non avevate considerato anche Botticelli, all'inizio, o sbaglio?
A. Sì, perché ha gli occhi dorati come i personaggi dei quadri di Botticelli.
Se è per questo anche i vampiri di Twilight.
A. ...
Uno degli aspetti più belli dell'avere un gatto, per me, è dargli dei nomi imbarazzanti che non potresti appioppare a un figlio. Da bambino battezzavo tutti i randagi del vicinato: c'era Veleno, Incubo, Cherubino, Pirra, Zefiro, Richmond (ero così fiero dei miei jeans a vita bassa con la scritta "RICH" a caratteri cubitali sul retrobottega!) Ma non ho smesso neanche da grande. E' da un po' che non vedo Ippopotamo, Porco e Latte-e-Cereali. Ah, e poi c'è Seduto. La prima volta che lo vidi era letteralmente spaparanzato "a gambe aperte", con la schiena poggiata al bordo dell'aiuola. Gli mancava solo una birra e il telecomando. Non so voi, ma io vado matto per i gatti che si siedono "a gambe aperte" come un grassone in canottiera che fa un tutt'uno con la poltrona davanti al Superball.
Scusate, sono un pessimo intervistatore: mi lascio prendere continuamente da digressioni nostalgiche. Adesso torniamo a te, Ciccio, che mi fissi vagamente disgustato. Ho un'ultima domanda: quali sono i tuoi progetti futuri? Non credi ci sia troppa concorrenza nello star-system dei gattini di Youtube?
C. La concorrenza non mi intimorisce. Internet è una grande lettiera: c'è spazio per tutti. E poi c'è un continuo ricambio generazionale di gattofili e gattari. Grumpy Cat, per esempio, è apprezzato dal pubblico più cinico, io invece mi ispiro all'eleganza e al portamento di un'altra grande star felina recentemente scomparsa, Colonel Meow. Però preferisco portare il pelo corto.
Grazie Ciccio per esserti aperto con noi. Sono certo che risentiremo parlare di te.

Okay, dopo un post del genere potete aspettarvi anche un articolo sulla gravidanza di Melissa Satta.

martedì 4 febbraio 2014

Terrore Poe-meridiano

Tutti i fatti di seguito narrati
sono realmente accaduti.

Ero solo in casa, posseduto dalla lettura di Poe
e dal libro non staccavo gli occhi nemmeno per un po',
quando d'improvviso il campanello mi fece sobbalzare,
brancolai nel buio corridoio ed inquieto "Chi è?" dovetti domandare.
Sentii il cuore martellarmi in petto dalla paura
quando la risposta giunse squillante eppure oscura:
attraverso la porta udii solo qualcosa come "folletto"
e pensai subito a uno spirito degli Inferi in vena di un dispetto,
o un demone venuto a tormentare il mio solitario meriggio di studio
e del mio terrore folle trovar motivo di perverso tripudio.

Tremante aprii la porta, nascondendomici dietro,
e un alito gelido di cripta si insinuò nel salotto tetro.
Al principio non osai scrutare 'sì profonda oscurità,
ma poi mi feci forza, scacciai ogni residuo di viltà,
e mi risolsi a scoprire quali ectoplasmatiche visioni
volessero interrompere le mie ermeneutiche riflessioni:
in verità era solo un rappresentante della Folletto,
lo ammetto, di piacevole aspetto e vestito da fighetto.
Sul viso avea stampato un sorriso da furbetto,
e il suo taglio di capelli, direi, era perfetto.

Ancor nascosto dietro la porta, col naso appena sporto,
"Non son io il padron di casa" dissi, "se non se n'era già accorto.
Qui il mio unico e solo compito è di guardiano del castello,
e comunque di recente comprammo un aspirapolvere novello."
Il venditore insistette ancora e, non so proprio perché,
ci tenne a farmi sapere di avere anni ventitré.
"Ah, okay" risposi all'allegro commesso,
"Un anno più di me" aggiunsi, alquanto perplesso.
Poi, indovinando il mio disagio, pose fine alle sue ciance e si arrese
non prima di lasciare il biglietto da visita nelle mie mani timidamente tese.

Riattraversando mesto il corridoio, mi soffermai a guardarmi allo specchio,
e non potei non pensare a quanto dei miei anni sembrassi più vecchio.
La cornice ovale formava un cammeo con la mia immagine grama:
una specie di larva in giacca da camera e triste pigiama,
il viso pallido, ombre violacee sotto i miei occhi,
i capelli corvini che parean scarabocchi
e mossi da chissà quale brezza sovrannaturale,
che al vederli per poco non mi misi ad urlare.
Dinanzi a un siffatto ritratto da far raccapriccio,
compresi che di Natura ero un crudele capriccio.

Con tutta l'anima in fiamme per tali angosce ed orrori,
riflettevo sul destino che spinge a bussar alla mia porta ignari visitatori
col solo scopo di ricordarmi quanto io sia impresentabile...
Senz'altro il diabolico corvo di Poe sarebbe stato ospite più desiderabile.
Mai più farsi sorprendere in deshabillé o in una lisa vestaglia blu.
Solennemente giurai: "Che non avvenga mai più."

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