lunedì 29 luglio 2013

Ricordi cordovesi (capitolo primo)

Ora che la guardo meglio, questa intestazione sembra il logo iniziale di Capri.

Sentiamo, cosa direste voi se vostra madre un bel giorno vi chiedesse: "Ti va di venire con me e Grace a Córdoba? Andiamo anche a Siviglia, se hai voglia." L'unica risposta accettabile dinanzi a una siffatta allitterazione è: "¡Claro que sí!"
Innanzitutto perché l'Andalusia è il cuore pulsante della Spagna, ma anche perché Mary e Grace sono due delle più adorabili svitate con cui si possa desiderare di viaggiare. Così, dicho y hecho, siamo saliti sul primo aereo e abbiamo invaso l'appartamento spagnolo della nostra amica Selena, l'altrettanto adorabilmente svitata figlia di Grace, cordovese d'adozione grazie al progetto Erasmus.
Appena arrivati, Selena ci ragguaglia subito su ciò che realmente serve sapere di Córdoba:
  1. Fa un caldo che si schiatta, e luglio è probabilmente il peggior momento per visitare l'Andalusia. Non è un caso che qui siano stati girati molti film del genere spaghetti western;
  2. A Córdoba si chiamano tutti Rafael, nome che viene puntualmente contratto in Rafa. La nostra guida di Medina Azahra si chiama Rafa, diversi amici di Selena si chiamano Rafa, il suo vicino di casa si chiama Rafa, il cameriere del ristorante dove abbiamo cenato la sera del nostro arrivo si chiama Rafa... persino io mi chiamo Rafa, o quasi.Pare che nel Cinquecento l'arcangelo Raffaele sia stato paparazzato mentre svernava in questa torrida città andalusa e da allora i suoi abitanti si possono riparare sotto la rinfrescante ombra della sua ala protettiva. Ancora oggi, basta urlare "Rafa!" per la calle e metà della popolazione cordovese si volterà sentendosi chiamare. In più ci sono immagini dell'arcangelo praticamente ovunque. Almeno un paio di statue di Raffy si mantengono in equilibrio su altissimi obelischi, ma potete trovare l'angelo custode per eccellenza dipinto su coloratissime maioliche disseminate sulle facciate delle case, o ancora intrappolato in un'infinità di boule de neige terribilmente kitsch reperibili in qualsiasi negozietto di souvenir.Non serve dire quanto tutto questo mi renda orgoglioso. E' giusto che Raffy abbia la sua fetta di popolarità, visto che di solito non se lo fila quasi nessuno. In qualche vecchia icona ed opera d'arte medievale l'ho visto persino essere ingiustamente sostituito dall'apocrifo Uriele nella triade degli arcangeli! Ditemi voi chi diamine è questo impostore! Raffaele compare solo nel Libro di Tobia, è vero, ma con un ruolo di primo piano, quasi una parte da supereroe. Altro che L'uomo d'acciaio o Wolverine (quest'ultimo, a giudicare dalle locandine, è conosciuto nella penisola iberica col nome di Lobezno). Raffaele guarisce il vecchio (zio) Tobia dalla cecità grazie al fiele di un pesce (se vedete un angelo con un bel pezzo di merluzzo in braccio, o è un pescatore particolarmente avvenente o è una rappresentazione dell'arcangelo Raffy), senza contare che, da perfetto cupido, ha aiutato la sfigatissima Sara a tenersi stretto almeno uno straccio di uomo, visto che, come Liz Taylor, ha avuto ben sette mariti, ognuno di loro fatto fuori dal terribile demone Asmodeo: da qui inizia un inseguimento mozzafiato intorno al globo in stile Prova a prendermi, finché, giunto in Egitto, Raffy riesce finalmente ad agguantare Asmodeo per la collottola e a immobilizzarlo con una catena d'oro. C'è da chiedersi come mai proprio una catena d'oro. Probabilmente si trattava di un vecchio regalo sgradito, riadattato a lazo per accalappiare diavoli sanguinari. Sì, perché, non so come la pensiate voi, ma per me la catenina d'oro al collo di un uomo fa incredibilmente cafone;
  3. La cucina andalusa è un trionfo di frittura, insaccati, frittura d'insaccati e aglio a volontà. Dopo esserci ingozzati di tortillas, revueltoschorizo al sidro di mele, aver addolcito il palato con le berenjenas a la miel (melanzane fritte nel miele), esserci immersi nel salmorejo (una zuppa fredda a base d'aglio, pomodori, pane, olio, aceto e sale che credo piaccia solo a me) e aver spolpato fino all'osso un rabo de toro (coda di toro) dopo l'altro, abbiamo già cominciato a sentirci dei veri cordobesi, ma soprattutto degli obesi.
    Ma la vera specialità del luogo, ciò di cui gli andalusi vanno davvero ghiotti è senz'altro la "s". Ci farciscono il loro bel bocadillo e se la mangiano come tapas. Chiunque perseveri ad insultare noi studenti di lingua spagnola rifilandoci la solita, irritante battutina del "basta aggiungere la s" dovrebbe farsi un giro in Andalusia. Qui, più che español, si parla "eppagnò". 
Archi de la Mezquita di Córdoba, balconi chiusi e aranci de la Judería
(l'antico quartiere ebraico), il mio piede (per la gioia dei feticisti)
a Plaza de España (Siviglia) e, infine, dettagli di maioliche e motivi
ornamentali dell'Alcázar di Siviglia.
Aggiungerei, infine, un punto numero 4: Córdoba ha dato i natali, tra gli altri, a gente come Seneca, Lucano ed Averroè. E non parliamo mica di calciatori. Senza contare Góngora, il poeta più emblematico del barocco spagnolo, noto per la sua poesia particolarmente oscura, al cui nome i cordovesi hanno pensato bene di dedicare, oltre che una via e un teatro, almeno una discoteca. Era doveroso.
Abbiamo iniziato il giro della città con il piatto forte: la Mezquita, la moschea costruita con l'intento di riprodurre un'oasi di pace nel deserto dello spirito, splendido edificio moresco cui è stato incorporata successivamente una cattedrale parassitica. Più che a Córdoba si ha l'impressione di trovarsi ad Agrabah.
Non so se ricordate il primo episodio di Raffy&Grace (la risposta italiana a Will&Grace) e le nostre avventure madrilene... No? In tal caso, è sufficiente immaginarvi zia Mame con la voce di Karen Walker, e avrete un'idea abbastanza fedele di che tipo è Grace, l'amica di famiglia che tutti mi invidiano. Il bello di viaggiare con lei è che non si limita ad ammirare le attrazioni turistiche, ma va in deliquio anche per le piccole cose, in piena conformità col suo spirito zen. A volte si entusiasma talmente tanto da non riuscire quasi ad esprimersi a parole: "Oh oh Rafa... guarda oh oh... fai la oh!", frase che significa, a seconda dei casi, "Guarda, un soldato a cavallo che si esibisce nel paso andaluz! Fagli una foto!" o "Uuuh, guarda quei due cani! Non sembra che stiano parlando tra loro? Fagli una foto!"
Non che sua figlia Selena manchi di esuberanza. Esperta di movida ed eccellente imitatrice degli spagnoli che imitano gli italiani, di tanto in tanto la sentite improvvisare motivetti malinconici ma ritmati, tipo "Anamaría, Anamaría me ha dejado, y Rosalía, Rosalía no me quiere..." 
E' inoltre una campionessa mondiale di "messa in posa" acrobatica. Sì, perché le foto in piedi, ritti davanti a un monumento sono decisamente superate...
Mia madre, stanca di vedermi imbronciato e girato di tre quarti come Lory Del Santo in tutte le foto, mi ha più volte esortato a imitarla ("Alza le braccia anche tu! Vuoi il mio ventaglio per fare scena?"), ma a differenza di Selena, sono tutt'altro che fotogenico, oltre al fatto che le sue sinuose pose da soubrette non mi donano poi molto.
Durante il viaggio in autobus verso le rovine di Medina Azahara (ribattezzate "Pompei" da un'accaldata Grazia), ho indicato a Selena una delle locandine de I Puffi 2: "Guarda, i Puffi qui si chiamano..."
Selena segue il mio dito e, senza togliersi le cuffie dell'iPod, esclama a voce altissima, con genuino entusiasmo: "¡LOS PITUFOS!
Questa uscita suscita la risa di tutti i passeggeri e il vivo interesse del nostro guía turistico, di nome (ça va sans dire) Rafa, curioso di sapere come si dicesse pitufar in italiano.
Da quel momento in poi abbiamo ribattezzato pitufos tutte le nostre figuracce. E io ne ho presi proprio tanti, di pitufos. Roba da far schiattare d'invidia Gargamel. Vi dico solo che ho quasi fatto una proposta indecente a un cameriere. Ho appreso troppo tardi che paja significa tanto "cannuccia" quanto "titillazione genitale". Alla luce di questa scoperta vi consiglio di usare il termine pajita. O di bere dal bicchiere come fanno gli adulti. Tutta colpa di Mary che ha fatto le bizze per avere la sua cannuccia colorata e suggere così tutto il mio tinto de verano.
In ogni caso, è difficile evitare le allusioni sessuali se si parla spagnolo, visto che praticamente ogni parola ha una doppia vita. Come mi capita sempre quando sono all'estero, ho ben presto avvertito il bisogno impellente di un burro cacao (che non si trova mai quando se ne ha bisogno) e ho scoperto, con una certa sorpresa, che lo chiamano vaselina. Non ho ben capito se lo usano solo per le labbra screpolate o anche per riprodurre la scena più famosa di Ultimo tango a Parigi.
Sarà uno stereotipo, ma qui hanno un po' tutti il pallino del sesso. Come quel latin lover di Antonio (ribattezzato da Grace "il bell'Antonio"), cioè il cocchiere marpione che ci ha trasportato in carrozza per tutta Siviglia. Quando gli abbiamo chiesto il nome del cavallo, ci ha risposto che si tratta di una cavalla, Pantoja, e si è premurato di sollevarle la coda per mostrarci le sue pudenda. Gli avremmo creduto sulla parola anche senza l'esame intimo. Vergam et testiculos non habet.
"Alla vostra izquierda, la Catedral de Sevilla..." ci informa poi Antonio, una volta partiti, atteggiandosi a cicerone.
"E invece che cosa c'è lì, a destra?" ho chiesto, ingenuamente, visto che mi sembrava ben disposto a illustrarci le bellezze architettoniche della città. "Guapísima" risponde lui, rivolgendomi uno sorriso sornione, "¡Una chica guapísima!" ("Una ragazza bellissima!")
Degno concittadino del più famoso sciupafemmine letterario, Don Juan.
Per quanto fosse divertente farci scarrozzare ("come dei milordi", direbbe Grace), chiediamo ad Antonio di lasciarci sul lungofiume. "Noo... Non tornate conmigo a Plaza de España?" protesta lui, mettendo il broncio. "Mi lasciate solo adesso?"
"Ma non sei solo" ribatte prontamente Grace, "c'è la cavalla che ti fa compagnia, no?"
"¿Ella? No, no habla" risponde Antonio, mollando uno schiaffetto sul perlaceo didietro della yegua, "Questa chica vuole solo fare sexo, sexo y sexo!"
La cosa buffa è che Antonio, con questa battutaccia da bar, ha citato inconsapevolmente una hit di Grace, colonna sonora di un viaggio ad Amsterdam, intitolata, per l'appunto, Sesso, sesso, sesso. La prima strofa inizia così: "Sesso, sesso, sesso/Non è mai lo stesso/Anche se sei un cesso/Puoi farlo con te stesso..."
E poi dicono che il cantautorato italiano è morto.
Intanto, su queste note, si conclude il primo e penultimo ricordo cordovese.
Continuará...

giovedì 18 luglio 2013

È l'ora del RafFitness!

Prima di leggere, non dimenticate il riscaldamento!
Non è che non sia un tipo sportivo, è solo che voglio risparmiare energie per quando ce ne sarà veramente bisogno, tipo per alzarmi a cambiare canale quando il telecomando sarà fuori uso o quando gli zombie ci assaliranno in massa con l'intento di succhiarci via il cervello dai crani come vongole dal guscio.
Però ci ho provato, a fare più movimento, giuro che c'ho provato. E anche le mie amiche: Anny e Angy, di tanto in tanto, sono riuscite a convincermi a fare jogging con loro lungo amene stradine di campagna (le stesse che di notte si trasformano in ombrosi nascondigli fornicatori). Io tento di correre davvero, all'inizio, ma quasi sempre finisco a secco, seduto su un muretto a secco, a leggere un libro, e faccio allegramente "ciao" con la mano alle mie compagne accaldate, che difficilmente rinnovano l'invito, non prima che passi almeno un altro anno.
Il fatto è che detesto lo sportswear. La prima cosa che ho fatto una volta diplomato è stato dar fuoco alle Nike per fare spazio alle mie nuove, romantiche Munich a fiori. Poi è stata la volta delle terribili tute acetate e dei miei pantaloni simil-hip-hop, talmente larghi che all'ora di ginnastica dovevo correre tirandomeli su per tutto il tempo per non inciampare, neanche fossi Cenerentola allo scadere del coprifuoco.
Tuttavia, essendomi disfatto del mio esiguo guardaroba sportivo, quando mi prende il ghiribrizzo del fitness, mi crea non poco imbarazzo essere costretto a correre in frac. Trovo degradante indossare quegli orrendi pantaloncini aderenti da ciclista o, ancora peggio, quelli con gli spacchetti laterali, ma al contempo non voglio presentarmi in jeans e avere l'aspetto di un ritardatario che corre dietro l'autobus, soprattutto se accanto a me c'è una sportivissima Angy, con tanto di sexy tuta color buganvillea in stile Gabrielle Solis.
Anny continua a decantare i benefici dello sport come fonte di ossitocina e buonumore. Lei già dall'asilo rincorreva le farfalle (mentre io, superbo e indolente, pretendevo che fossero loro a posarsi su di me). Ora che, da adulta, ha sviluppato un vero e proprio terrore per gli insetti, la cosa non gli ha comunque impedito di fare sport: anziché inseguire libellule in un prato, corre pensando di essere inseguita da loro.
Istigato da questa coppia di inflessibili personal trainer, che non si sforzano nemmeno di imitare l'accento americano di Jill Cooper per darmi la carica, mi trovo costretto a ricorrere ad ogni scusa pur di non correre: "Uh, guardate, ragazze! Quelli sono fiori di iperico, altrimenti detto erba di san Giovanni! Ieri su LaEffe il Guru delle Piante ci ha fatto una crema per le bruciature! E ha anche proprietà anti-depressive!"
L'ultima volta le ho costrette ad aspettarmi per mezz'ora mentre girovagavo per un frutteto nel tentativo di fotografare col cellulare un'elusiva ghiandaia. O almeno credo fosse una ghiandaia. Quando mi hanno ricordato che il bird-watching non è considerato uno sport, mi sono trovato a chiedermi: ma allora esisterà un'attività fisica adatta a me?
Per molti anni ho nuotato. Fosse dipeso da me, sarei andato avanti a rana per sempre, ma ancora non riesco a capire perché gli istruttori di nuoto siano così ossessionati dallo stile libero. Senza contare l'odiosissimo dorso: per ogni bracciata un sorso d'acqua clorata nei polmoni.
A metà vasca ero già esanime, più spossato di Leandro dopo la traversata dell'Ellesponto. Con la piccola differenza che ad aspettare Leandro c'era la sua innamorata: un incentivo niente male. Disperato, aspettavo un momento di distrazione dell'istruttore per aiutarmi con la corsia galleggiante, e contavo le sirene dipinte sul muro, che mi rivolgevano sorrisetti canzonatori. Non so se odiavo più loro o quelle che cercano di affogare Wendy in Peter Pan. "Dai, forza, Raffy, sei quasi arrivato alla sirena verde..." cercavo invano di incoraggiarmi, "ancora qualche metro... aspetta un momento, ma perché ci sono dei girasoli dipinti tra una sirena e l'altra? Cosa c'entrano i girasoli col mare? E' un estemporaneo omaggio dell'artista a Van Gogh?... Okay, come direbbe Dory, zitto e nuota...  ecco, ho quasi superato quella cozza di sirena viola... mangia la polvere, balen(g)a!"
Perso nei miei pensieri, di tanto in tanto mi capitava di andare un po' fuori corsia e sbandare leggermente a sinistra. Come era inevitabile, un giorno ho avuto uno scontro frontale col mio istruttore, che credo sia guercio da allora.
Però tutto sommato me la cavavo. Dopotutto non è mica facile sopravvivere in un ambiente così ostile e umido, per di più frequentato da gente senza alcun pudore e fastidiose specie micotiche. Cosa c'è di peggio di un fungo al piede? Lo so io: ascoltare i vanti del tipico, arrogante farfallone sui trent'anni, in speedo bianco, che si iscrive ad un corso di nuoto con l'unico scopo di provarci con qualunque sirenetta gli sfarfalli davanti in stile farfalla, un pallone gonfiato così pieno di sé da rimanere a galla anche senza muovere le braccia.
Prima del nuoto però c'è stato il calcio. Sì, lo so che siete sorpresi, ma anch'io ho avuto un passato da Pulcino. In verità si è trattato di una sola partita. Raffy, timido scolaretto delle elementari, si è visto gettare addosso una specie di poncho di plastica color giallo canarino e poi spingere in mezzo al campo. E' stata un'esperienza traumatica: non facevo che svolazzare di qua e di là come una farfalla impazzita, fingendo di giocare e sperando che la palla non capitasse mai dalle mie parti.
Da allora i sogni di gloria di mio padre e degli uomini della mia famiglia si sono definitivamente infranti.
"Sai, quando ho saputo che tua madre aspettava un maschietto, ho pensato 'finalmente un nipotino con cui giocare a pallone!'" ha ammesso una volta il più atletico dei miei zii, con un sorriso malinconico. Sembra la sigla di Lady Oscar: tuo padre voleva un maschietto, ma, ahimé, sei nata tu...
"Mi dispiace così tanto di non essermi conformato alle vostre aspettative" mi sono scusato, con un pacca solidale sulla sua possente spalla.
Alla luce di questa confessione, credo che sia stata una piacevole sorpresa per lui e i suoi fratelli sapere che per il diciottesimo compleanno desideravo tanto una Wii, con in più una Balance Board. A dire il vero, prima della Wii, da maniaco delle televendite quale sono, avevo supplicato mia madre di comprarmi AB Rocket, ma non sono mai riuscito ad ottenere l'attrezzo ginnico dei miei sogni, e ho dovuto rinunciare anche ai domyos, quella specie di poggia-chiappe a forma di fiore per gli addominali. La Wii sembrava la risposta a tutti i miei problemi: mi avrebbe permesso di restare in forma e tonificare i muscoli senza l'inconveniente di aver a che fare con degli esseri umani. All'inizio è stato divertente giocarci e fare un po' di sano movimento, ma presto il mio rapporto con lei si è incrinato. Per quanto simili a strumenti di tortura, cyclette e bilancieri almeno si tengono i loro commenti per sé. La Wii invece ha sempre qualcosa da ridire su tutto. Quando faccio attività fisica divento particolarmente suscettibile e finisco per dimenticare le norme della buona educazione, il che non è accettabile, anche se ho a che fare con un aggeggio senza né madre né sorelle.
"Il tuo corpo sta oscillando" mi ammonisce la Wii, con la sua irritante vocetta elettronica. "Migliora il tuo equilibrio!"
"Tua madre sta oscillando" ringhio, inalberandomi, mentre invece dovrei cercare di mantenere la posizione dell'Albero come Juliana Moreira in televisione, respirare, meditare e riallineare i miei chakra.
In ogni caso è preferibile e anche più facile ignorare i rimbrotti di un automa che farsi sghignazzare in faccia da un branco di perfide e giovanissime pattinatrici sul ghiaccio: biondissime bimbette in succinte tutine coperte di glitter e piume di struzzo che sfrecciano sul ghiaccio, vorticano come fiocchi di neve e fanno a brandelli la tua autostima sotto le lame affilate dei loro pattini.
Pensandoci, l'essere umano è davvero la più sciocca delle creature: come può qualcuno farsi venire in mente di scivolare sul ghiaccio con dei Miracle Blade ai piedi, per di più per puro divertimento? O di scorrazzare su un trabiccolo a due ruote? O, ancora, di buttarsi giù dal cucuzzolo di una montagna in equilibrio su una specie di ferro da stiro?
Esclusi a priori gli sport estremi, ho dato una chance agli sport agonistici, per scoprire che non fanno proprio al caso mio, visto che mal sopporto le sconfitte: chi se ne frega di partecipare, l'importante è vincere!
Vi chiederete, e la palestra? Parliamo di quel posto pieno di gente umidiccia che fa versi a dir poco indecenti, vero? Se avessi voglia di respirare aria viziata mista a sudore nebulizzato, farei un corso di pole-dance in metropolitana, o stupirei i pendolari giocando a fare Yuri Keki con i poggiamano nell'ora di punta. Non mi importa della gym, al diavolo i muscoli tonici, portatemi un gin tonic!
Che ci crediate o no, però, ho avuto anch'io i miei momenti di gloria. In Inghilterra, per esempio, mi obbligarono a giocare a baseball e in quella circostanza devo dire che ho fatto la mia porca figura, nonostante non sapessi neanche da dove cominciare. Da allora continuo a credere di essere un talento naturale, a baseball. E vi prego, lasciatemelo credere. Lasciate che mi illuda di essere il figlio segreto di Joe DiMaggio e Marilyn Monroe.
Una volta, poi, in Svezia, un tizio vestito da vichingo lodò le mie doti di arciere della domenica, paragonandomi al dio Ullr. E io mi fido ciecamente del parere della gente che va vestita da guerriero vichingo. Oltre al fatto che ho sempre sognato di essere come Legolas (mantenendo il mio naturale colore di capelli, però.)
In ogni caso, nonostante queste corone d'alloro vinte, non ero ancora pienamente soddisfatto. Non avevo ancora trovato la disciplina olimpica fatta apposta per me.
Ma proprio quando cominciavo a perdere le speranze, la mia ricerca dello sport ideale si è conclusa nel più felice e inaspettato dei modi. Ora, finalmente, so cosa fa al caso mio. E devo questa scoperta a una donna straordinaria, Joanna Rohrback:


Non è una meraviglia di flessuosità ed equina eleganza?
Buttate via le vecchie videocassette di Jane Fonda, dimenticate pilates, badminton, squash, zumba e altri hobby dai nomi ridicoli! Scegliete anche voi, come me, il Prancercise (dovete proprio visitare il sito ufficiale), un rivoluzionario allenamento ginnico dichiaratamente ispirato al movimento dei cavalli. E' una tecnica estremamente efficace e per di più anche facile facile: in pratica è come fare dressage, ma senza cavallo!
Inoltre la tenuta consigliata è persino più elegante delle mise da tennista o golfista, ormai così passé!
Cosa aspettate? Io corro a inguainarmi nei miei leggings fluorescenti in stile Olivia Newton-John, cotonarmi i capelli e darmi al galoppo selvaggio con il Prancercise!

venerdì 12 luglio 2013

Una serie di accademici accadimenti III - Legami chimici

Cosa mai potrebbe mai fare Raffy a zonzo per la facoltà di Medicina? La cavia?
L'inserviente? Lo scalda-sedie? Scopritelo in questo adrenalinico
speciale medical di
Una serie di accademici accadimenti,
con la partecipazione straordinaria di Anny!
Come avrete senz'altro arguito, mi piace vivere l'università con il giusto distacco, come gli Osservatori, gli alieni voyeuristi della Marvel, che si limitano a contemplare, dietro i loro telescopi, senza esercitare interferenza alcuna, l'eterno moto dell'universo e il convulso agitarsi delle sue creature.
Lingue è un microcosmo estremamente interessante, un'affascinante spirale di gironi danteschi, ma niente mi annoia come la routine. Dopo essermi smarrito e ritrovato nei labirintici corridoi di questo borbottante cafarnao, ed essermi avventurato nelle facoltà umanistiche più vicine, altrettanto caotiche ed eterogenee in fatto di biodiversità, non mi sentivo ancora pienamente soddisfatto: desideravo allargare ulteriormente i miei orizzonti, spingermi ancora più in là, fino a risalire la rigida gerarchia universitaria. E così ho deciso di iniziare il mio peregrinaggio, a piedi nudi, sulla via del Tempio di Asclepio, verso l'irraggiungibile Facoltà di Medicina e Chirurgia.
La mia amica Anny, dolcissima serpentella che si abbevera assetata all'amaro calice di Igea, era leggermente inquieta per via del suo esame di Biochimica (disciplina nota anche come Alchimia), così mi sono unito a lei, in veste di supporto maieutico ed epidurale emotivo, per somministrarle ad intervalli regolari 150 cc di coraggio, stringerle la mano, ricordarle di respirare e invitarla a spingere con tutte le sue forze per dare alla luce il frutto delle sue fatiche.
Varcato con timorosa deferenza l'imponente colonnato dorico, ho potuto anch'io confondermi ed entrare a far parte di quell'organismo autotrofo noto come Medicina, quell'armoniosa e geometrica città ideale che si direbbe dipinta da un umanista: attorno a me, frotte di studenti arrancano sovraccarichi di libri per capillari, vene e arterie d'asfalto, come globuli rossi che sorreggono sulle spalle il loro ingrato carico di bolle di CO2, falsi invalidi gemono in cerca di spiccioli da convertire in sigarette, medici dai camici color pastello marciano per ogni dove, quasi sempre in coppia, la valigetta in mano e il fonendo attorcigliato al collo, come il colubro al bastone di Esculapio, mentre infermieri in Crocs rosa Schiapparelli spiccano elegantemente il volo, come stormi di fenicotteri, per accorrere in aiuto dei pazienti e starnazzare rispostacce a familiari impazienti.
Non si può dire che Anny fosse impaziente di affrontare quel parto plurigemellare chiamato "esame", considerato il ritmo funebre della sua andatura e la sua preoccupante afasia, ma alla fine si rassegna ad entrare nel dipartimento di Chimica, il cuore, o meglio, il fegato della facoltà, principale centro di produzione biliare. Prendiamo posto in un'aula cieca come un bunker, gelida come una cella frigorifera, sfavillante e asettica come una sala operatoria, e mi sento già osservato da tutti gli altri esaminandi, vagamente incuriositi. Alcuni, con l'occhio clinico più sviluppato di altri, mi identificano immediatamente come corpo estraneo e mi lanciano sguardi di benevola superiorità, come cani ormai placidamente rassegnati ad offrire asilo ad un'ultima pulce sopravvissuta agli shampoo a base di Advantix. Altri invece, preferiscono condurre ulteriori accertamenti: "Anche tu devi dare l'esame?" mi domanda nervosa una ragazza dalle fattezze leporine, saltellando verso di me e rosicchiando avidamente le unghiette come una coniglietta la sua carota.
"No, no, oggi è la Giornata Porta un Amico in Facoltà, non ve l'hanno detto?"
"Peccato, se l'avessi saputo!" ridacchia il biondino accanto a lei.
Malgrado la fisiologica fibrillazione pre-esame, riesco a strappare loro qualche timido sorriso, anche se immediatamente spento da nuove ondate d'ansia e cortisolo.
La stanza intanto si fa sempre più gremita, cosa che mi permette di assistere ad un intrigante défilé di futuri medici. Il mio sguardo cade immancabilmente su un tipo dal superbo fenotipo che non mi pento di descrivere come un Mark Sloan agli inizi della sua carriera: alto, biondo, dai lineamenti perfetti, gli occhi azzurri, il petto ampio e i muscoli guizzanti sotto una camicia da taglialegna. Praticamente un capolavoro biologico, la definitiva, schiacciante prova a sostegno dell'eugenetica. Con mia grande sorpresa, questa michelangiolesca scultura a base di carbonio si dirige spedita verso di noi, rivolgendo ad Anny un sorriso da cardiopalmo.
A questo punto io mi chiedo... PERCHE?!
(Lungi da me citare Tiziano Ferro, ma siete liberi di modulare l'ultima frase ad imitazione degli irritanti gargarismi del suddetto.)
Perché studiare quando si è così sfacciatamente belli? Ostentare cotanta bellezza non è già un'enorme mancanza di sensibilità verso il prossimo, anche senza pretendere di mettersi pure a studiare? A volte penso che l'istruzione sia sopravvalutata. Se solo fossi io così avvenente, il mio venusto piede non sfiorerebbe nemmeno il linoleum del pavimento di qualunque scuola, istituto o accademia e passerei tutto il tempo a farmi venerare giorno dopo giorno fino al mio catasterismo, attività che mi consentirebbe finalmente di leggere tutti i libri che mi interessano davvero, sempre che la folla di genuflessi non esprima in modo troppo rumoroso la propria folle adorazione nei confronti del mio venusino sembiante.
Non che questo giovanissimo Dottor Bollore sputi sangue sui libri e le sudate carte, visto che, dopo aver salutato calorosamente una sempre più umbratile Anny, ammette candidamente di aver a malapena finito il programma d'esame. Con quel faccino il suo studio ginecologico sarà frequentatissimo in ogni caso, probabilmente anche da chi non dispone di ovaie.
Questa perfetta opera di architettura genetica, questo magnifico assemblaggio di centomila miliardi di altrettanto gloriose cellule, detto il Tronista, si accorge miracolosamente che esisto e per giunta mi domanda se anch'io sia lì per l'esame: "No, sono solo un figurante" zufolo, facendomi ombra con una mano. Lui, invece, dovrebbe fare da ragazzo immagine per incrementare la già cospicua affluenza alla facoltà.
Cerco di non arrovellarmi troppo su domande come "possibile che io e il Tronista apparteniamo alla stessa specie?", e volgo i miei pensieri altrove, considerando che forse avrei dovuto affinare le mie tecniche di mimetizzazione, dato che il mio aspetto bohemien mi impedisce di spacciarmi per studente di Medicina. La prossima volta dovrò procurarmi un libretto falso. Ho già pronto un ventaglio di pseudonimi ospedalieri: per esempio, potrei essere Glauco Santalucia, il futuro oftalmologo, o magari l'aspirante ginecologo Imeneo De Floris...
Mi sono venuti in mente anche parecchi alter-ego per tutte quelle ragazze che desiderano, come me, provare il brivido di una giornata in incognito tra i banchi di Medicina: chi non vorrebbe vestire, anche se solo per poco, i panni dell'affascinante quasi-urologa Danae Fontesecca?
Mi ridesto in fretta dalle mie fantasie in stile J.D. per provare a cavare qualche parola dalla sempre più abulica e lugubre Anny, che però fa uno sforzo e mi ragguaglia sulle bizzarrie onomastiche dei suoi compagni di corso, argomento che desta sempre il mio più vivo entusiasmo: scopro così che a questo mondo c'è gente talmente temeraria da esibire orgogliosa cognomi come Lassaréa (un infelice portmanteau tra "lassativo" e "diarrea"), senza contare la ragazza dal viso conigliesco (ad Anny ricorda piuttosto Clarabella), che mi dicono rispondere all'altisonante nome di Acepsima, forse più appropriato per un batterio che per un essere umano.
L'attesa ha ben presto fine e, annunciata da attacchi di dissenteria fulminante e crisi di nervi diffuse, fa il suo ingresso la temuta triade: il perfido dottor Kelso, che viviseziona con lo sguardo la folla tremebonda degli esaminandi, e le sue accolite, incredibilmente simili a due nostre vecchie amiche e compagne di liceo, di cui, però, non possono che essere la versione imbruttita. A detta del Tronista, se ti interroga Alicia (quella formosa e flemmatica), puoi sperare in un futuro di vacche grasse, mentre con la seconda, Daisy (scheletrica e nevrotica), non puoi che aspettarti vacche magre.
Nel frattempo l'isteria di massa dilaga e induce gli studenti più pavidi a gettare la spugna e a darsi alla fuga. Per poco non mi ritrovo l'occhio contuso dallo spigolo dorato della borsa di Gucci di una griffatissima fuggiasca, che corre disperatamente verso l'uscita ("Quella lì non saprebbe distinguere una catena di C da una catena di Chanel" commenta Anny, sempre più rannuvolata, "ma almeno si risparmia la figuraccia che farò io!")
Gli allievi rimasti affrontano con rassegnazione quella che si preannuncia un'ecatombe. Assistiamo così, inermi, allo sventramento della prima cavia umana, decisamente pingue, il cui punto debole è senz'altro l'adipe, non solo quello che fodera il suo corpo ciclopico, ma anche i grassi su cui Daisy, mancando di tatto, la interroga, senza ottenere risposte più soddisfacenti di: "Al momento proprio non  mi sovviene: il cervello non vuole collaborare!"
A pensarci, sembra di assistere all'ennesimo episodio di Grassi contro magri su Real Time, se consideriamo il fisichino macilento della denutrita assistente Daisy, che sono certo sia molto richiesta durante le lezioni di Anatomia per indicare le duecento e passa ossa dello scheletro umano, perfettamente visibili attraverso la sua iridescente epidermide.
Tornando alla nostra corpulenta amica, mi dispiace dovervi dire che non ce l'ha fatta. Per quanto abbiano tentato di rianimare la sua materia grigia, è stato tutto inutile. Era troppo tardi per trapiantare un cervello meno riottoso. Ora della bocciatura: 10.46
Intanto Anny si sorprende dell'assenza di un'altra creatura semi-leggendaria, nota ai più come Ippopotamo in Tutù, ovvero un'imperiosa e illustre studentessa del secondo anno, figlia di un "pezzo grosso" (e lei stessa un "pezzo grosso"), così soprannominata per la straordinaria somiglianza  con uno dei pachidermi ballerini del capolavoro Disney Fantasia. Le ore scorrono lente, ma nessun ippopotamo varca la soglia dell'aula esibendosi ne La Danza delle Ore. Eppure, mi racconta Anny, aveva messo a ferro e fuoco lo studio del professore, disposta a tutto pur di rientrare nell'elenco degli esaminandi, neanche fosse la top-ten degli studenti più in o la lista dei calvinisti predestinati alla salvezza eterna.
Ecco qui un intermezzo musicale per distendere i nervi fortemente provati dalla spasmodica attesa del turno di Anny:


Senza neanche il tempo di un ultimo "in bocca al lupus" o discorso d'incitamento, mi strappano via Anny dalle braccia, e lo sguardo penetrante di Daisy cala come un bisturi su di lei, che però non vacilla nemmeno per un istante.
"Che cosa le ha chiesto?" mi domanda ingenuamente il Tronista, i bicipiti che pulsano preoccupati.
"Ehm... qualcosaplasmatiche."
"Ah, le lipoproteine plasmatiche" decodifica lui, sorridendo sotto i baffi.
Intanto mi sforzo anch'io di rispondere alle domande di Daisy...
"Pietra filosofale!"
"Quintessenza!"
"Calorio!"
"Tre fasi: nigredo, albedo e rubedo!"
Inutile dire che non ne azzecco neanche una, ma spesso ci vado molto vicino. D'altronde non si può dire che sia del tutto all'asciutto in fatto di discipline scientifiche. Ci tengo a ricordare che si deve a me la scoperta del magisolfato di sbrilluccicoferro, senza contare che sono stato il primo a diagnosticare e condurre studi sulla picrogalattocarpopatia, un'intolleranza alimentare fino a pochi anni fa sconosciuta: Anny, il paziente zero, non può ingerire alimenti che uniscano frutta e derivati del latte (come una fetta di torta californiana o una macedonia con panna) senza avvertire un fastidioso formicolio alla lingua e l'esigenza di vomitare copiosamente sui miei mocassini di camoscio. So che è difficile a credersi, ma sono stato io, inoltre, a convertire gli antipatici "legami chimici" nei più leziosi "legamìci", parola-macedonia che unisce i termini "legami", "chimici", "amici" e "mici." Forse però farei meglio a non vantarmi della mia censurabile video-lezione sui sistemi termodinamici...
Per sua fortuna (o meglio, per merito suo), Anny è infinitamente più competente di me, e trionfa senza alcuna difficoltà sull'emaciata Daisy, che, per quanto si sforzi, non riesce proprio ad abbattere le sue difese.
Giunto anche il suo grande momento, le due assistenti, in pieno subbuglio ormonale, si litigano il bel Tronista, l'affascinante Adone concupito sia da Afrodite che da Persefone. Alla fine Alicia e Daisy decidono salomonicamente di esaminarlo insieme. Nonostante l'aria condizionata a tutta forza, l'atmosfera si surriscalda in un attimo, fino a farsi rovente.
Io e Anny non resistiamo alla tentazione di assistere alla consumazione di questo fatale ménage à trois, pieno di lascivi giochi di sguardi, tachicardie d'amore e torride passioni da fare un baffo a Shonda Rhimes!
Ci mancava solo che partissero le note peccaminose di Je t'aime... moi non plus.
Alicia, preda di un'ineluttabile attrazione chimica, lascia voluttuosamente socchiusa la bocca e rivolge al ragazzo uno sguardo ardente che sembra dire: "Ma l'esame devi proprio farlo con la camicia?"
Daisy, invece, per quanto stuzzicata, mantiene un freddo aplomb da dominatrix sadomaso e fustiga il suo schiavo con una sfilza di domande: "Qual è la differenza tra la presenza del glicogeno al livello epatico e... al livello muscolare? Ti parlo dei muscoli tanto per fare un esempio, ovviamente..."
Non perché sto guardando i tuoi, così lucidi... e torniti...
Com'era prevedibile, è stata Alicia a cedere per prima: del tutto fuori di sé, esce di corsa dall'aula, quasi sicuramente per affogare i bollenti spiriti sotto il getto di una doccia ghiacciata.
Purtroppo il Tronista non riesce a strappare la sufficienza, mentre gran parte delle studentesse soffrono già, a causa sua del suo fascino mozzafiato, di grave insufficienza respiratoria. Alicia e Daisy, i capelli scarmigliati e la sigaretta in bocca, lo invitano a riprovarci al prossimo appello, o a provarci con loro. Si dichiarano disposte a concedergli anche una sessione straordinaria, se necessario, magari in sedi più comode.
"Allora, cosa ne pensi della mia facoltà?" chiede più tardi Anny, decisamente più rilassata, mentre passeggiamo lungo un ombroso viale alberato. Mi prendo un attimo per pensarci, mentre le mie narici si inebriano del profumo dei pini e delle piante officinali che qui, a Medicina, crescono dappertutto, spontaneamente, come sul monte Pelio, patria del saggio centauro Chirone.
"C'è gente deliziosamente strana anche qui" rispondo, dopo un'altra balsamica boccata d'aria gusto Vicks.
"Peccato che tu non abbia potuto conoscere l'Ippopotamo in Tutù" sospira Anny, aggrottando la fronte. "E poi ci sono molte altre figure mitologiche che dovresti proprio vedere, come il Libraio..."
"Cioè?"
"Si narra sia il fantasma di un ex studente rinunciatario che per espiare chissà quale orribile colpa è stato condannato a vagare eternamente per la facoltà, schiacciato dal peso di un enorme borsone ricolmo di libri. C'è chi dice siano i suoi vecchi manuali di anatomia, e che cerchi in tutti modi di rivenderli alle matricole, ma in quelle rare occasioni in cui l'ho visto mi sembrava avesse anche libri di narrativa..."
"Sembrerebbe uscito da una ballata di Coleridge..."
"E poi c'è anche Disco Stu."
"Chi?!"
"Un tizio di qualche altra facoltà che si presenta di tanto in tanto in sala lettura, con le cuffie dell'iPod alle orecchie, e inizia a ballare convulsamente."
"Sicura che non sia un paziente scappato dal reparto psichiatrico? Non sono un medico, ma a me sembra un grave caso di tarantolismo narcisistico..."
"Non ne ho idea. So solo che ha una particolare predilezione per Michael Jackson."
Cerco di immaginarmelo, un ragazzo stempiato e allampanato che entra in biblioteca con un moonwalk e si esibisce in una reinterpretazione non richiesta del video di Thriller, con gli studenti morti di sonno sui libri nel ruolo degli zombie.
"Non è che per caso sua madre si chiama Billie Jean?"
"Può darsi."
"Devo proprio vederla, questa gente" dichiaro. "Una sola gita a Medicina non basta. Magari potremmo organizzare una specie di safari antropologico, con trappole e appostamenti..."
"Grazie per essere venuto Raffy" pigola Anny, guardandomi con i suoi occhioni dolci da cerbiatta. "Non so come avrei fatto senza il tuo incoraggiamento da perfetto cheer-leader. Verrai anche al mio prossimo esame?"
"Ci stiamo prendendo gusto, eh? Ma sì, quando vuoi, bobo. Lo sai che puoi sempre contare sulla nostra legamicizia..."

Una serie di accademici accadimenti:
Episodio I - Stranieri e strani estranei
Episodio II - Grandi speranze
Episodio III - Legami chimici
Episodio IV - Studenti esasperati
Episodio V - In balìa della balia
Episodio VI - C'era una svolta
Episodio VII - Volver
Episodio VIII - Senza vergogna
Episodio IX - Chiamatemi (un) dottore

giovedì 4 luglio 2013

Una serie di accademici accadimenti II - Grandi speranze


Credo che l'università sia il mio Vietnam.
Parafrasando una celebre frase di Joseph Conrad (che mi ha salvato le terga durante un a dir poco burrascoso esame di letteratura), nei primi giorni di università, noi studenti "frequentiamo così come sogniamo: soli."
In effetti, agli inizi, piuttosto che entrare in un'aula già piena e dover sfilare davanti a centinaia di sconosciuti, con tutti gli occhi puntati addosso, preferivo di gran lunga darmi alla fuga, tracolla e gambe in spalla, alla ricerca di un angolino buio del giardino pubblico, un cuore di tenebra dove poter regolarizzare il battito accelerato e il respiro affannoso, domare i miei attacchi d'ansia e riprendermi da quel campo di battaglia noto come "università".
Ho trascorso le mie prime settimane mantenendomi a distanza di sicurezza dagli altri, seduto su una panchina a leggere (tutto tranne che i miei libri di testo) o ad esorcizzare il mio senso di inadeguatezza disegnando sul moleskine caricature dei miei compagni di studi, i più buffi o i più antipatici, attribuendo loro mentalmente un'ampia gamma di soprannomi, come Becco-di-Marabù, Miss Piggy, Guance-di-Scoiattolo o Miss Piggy II.
D'altronde la mia è una facoltà che, sulle prime, non incoraggia certo la socializzazione. Anzi, mette anche un po' paura. Per esempio, corre voce che ci sia un maniaco appostato nel bagno del secondo piano a cui piaccia spiare da un foro le attività biologiche espletate nel cubicolo accanto, fornendo suggerimenti e commentando la performance in corso. Pare, inoltre, che il bagno del piano terra nasconda l'ingresso della Camera dei Segreti, da cui fuoriesce di soppiatto un orrendo basilisco pronto a uccidere con lo sguardo chiunque non abbia sangue francese nelle vene. Tra gli altri eccentrici personaggi che popolano questo bizzarro mondo parallelo, c'è anche la ragazza dall'aria spiritata, che vaga per l'edificio con un cilindro nero in testa e un paio di occhialetti tondi, spazzando il pavimento con l'orlo di un interminabile gonnellone gypsy. Altrettanto curiosa è anche quella che io chiamo, per non sbagliarmi, la Persona: non scherzo, dopo tre anni non ho ancora capito se sia un corpulento ragazzo che tossisce in modo particolarmente femmineo o solo una ragazza molto mascolina (forse dovrei chiedere delucidazioni al sopracitato maniaco del bagno, ammesso che esista: solo lui saprebbe darmi le risposte che cerco.) Nella deliziosa triscaidecalogia di Una serie di sfortunati eventi Lemony Snicket descrive un personaggio altrettanto androgino, ma non ero mai riuscito a figurarmelo, prima di adesso.
Tuttavia la facoltà di Lingue, questa variopinta e vociante Babele, è abitata da personaggi di gran lunga più sgradevoli di un pervertito voyeurista. Sono quelli che io chiamo le MaleLingue. Non mi stupirei se gli autori della Pixar si fossero ispirati a loro per il prequel d'ambientazione universitaria di Monster & Co.
Un esempio è il Fantasma degli Esami Precedenti, lo studente che ha tentato e ritentato tutti gli esami almeno venti volte e, non importa quale docente tu possa nominare (puoi anche inventarne uno), la reazione sarà sempre la stessa: bocca spalancata in un muto urlo di Munch, seguito da "Noo... il professor Campacavallo/la professoressa Capracampa?! E' uno/a stronzo/a! Boccia tutti!"
Poi c'è l'éstone semi-nuda che non sa mettere in fila neanche due parole in italiano ma esibisce fiera una scollatura profonda quanto un fiordo (un decollétè talmente eloquente che praticamente fa l'esame al posto suo).
Altro personaggio molesto è la... sto cercando un soprannome adatto, una definizione simpatica, ma proprio non c'è verso: mi viene in mente solo l'Infame. E spero apprezzerete la magnanimità dell'eufemismo, visto che ogni volta che la incontro, senza neanche avere il tempo di rispondere a un "come stai?" di circostanza, esordisce domandando: "Che esame stai preparando?"
"Be', ho appena passato lo scritto di Serpentese. Ora volevo dare Linguaggio Farfallino II..."
"Cosa?! Devi ancora darlo quell'esame?!" mi interrompe, con divertita incredulità (e senza risparmiarsi una risata.) "Io l'ho fatto mesi fa!"
E sai che ti dico? Chifi cafazzofo sefe nefe frefegafa! Verrò a festeggiarti il giorno della tua laurea, conseguita a velocità record, con la media del diciotto e pernacchia accademica.
Ma la peggiore di tutti, quella che ha messo più gravemente alla prova la mia pazienza è senz'altro Nanette, un'odiosa gnometta da giardino che ho conosciuto quando ancora studiavo francese. Per parafrasare, non Conrad, ma l'altrettanto saggio Nigel de Il Diavolo veste Prada: "Persona piccola: ego smisurato." Tronfia e piena di sé, è convinta di essere la reincarnazione di Cleopatra, la regina poliglotta, o di avere un pesce Babele infilato su per l'orecchio, pronto a tradurle simultaneamente qualunque idioma della galassia: le lingue non hanno segreti per lei.
Un brutto giorno d'inverno Nanette mi ha teso un agguato che non sono mai riuscito a perdonarle, sorprendendomi in un momento di relax, mentre, sdraiato su una gelida panchina come un vagabondo dickensiano, mi stavo appassionando al racconto delle disavventure di Pip. Inaspettatamente, il suo naso tuberoso fa capolino sopra la pagina che stavo leggendo, gettando un'ombra ancora più nera su quel libro pieno di sfortunati eventi.
"Ciao! Cosa stai leggendo?"
"Grandi speranze, di Charles..."
"...Dickens, lo so" completa lei, con un'alterigia degna di Estella. "Adoro quel libro! Me lo fai vedere?"
Glielo consegno con una certa riluttanza, e la osservo mentre esamina, con interesse filologico, la mia frusta edizione, per poi fermarsi a rimirare la copertina, aggrottando le sopracciglia.
"Ah... ma è in italiaaaaano..." biscica, lanciandomi il romanzo come se fosse l'autobiografia di Barbara D'Urso e scoccandomi uno sguardo di gelido disgusto, lo stesso che avrebbe potuto rivolgere a un graffito osceno sulla porta della toilette. Il mio primo istinto è stato quello di abbassarle sugli occhi quel suo ridicolo cappello rosso, una specie di berretto frigio che sarebbe à la mode solo nel paese dei Puffi. "E' una lettura di piacere" le ho risposto, invece, a denti stretti.
Vorrei poter dire che quello è stato l'ultimo incontro spiacevole, ma, non so perché, agli esami scritti mi trovo sempre seduto accanto a una ragazza agghindata come Elle Woods (cioè vestita interamente di rosa confetto, con lo smalto rosa confetto, il cerchietto rosa confetto sui capelli biondi e le espadrillas ai piedini smaltati di rosa confetto) che allinea sul banco la sua leziosa penna rosa confetto (con tanto di unicorno in cima), le sue matite rosa confetto e il suo temperamatite rosa confetto, e dispone simmetricamente davanti a sé il vocabolario foderato di carta rosa confetto e il quaderno dalla copertina rosa confetto, per poi guardarmi con aria di sfida, come se non vedessi l'ora di disfare quel suo ordine maniacale approfittando di un momento di distrazione.
Eppure, solitamente, il lasso di tempo che precede un esame è un ottimo momento d'aggregazione sociale. Sapete com'è, quando si aspetta di essere esaminati: "Tu cos'hai studiato di questa parte?", "Dite che questo paragrafo lo chiede?" e via dicendo. Basta poco per creare un gruppetto solidale: ci si ristora ai distributori automatici, uno inizia a intonare In taberna quando sumus, gli altri rispondono in coro, e in men che non si dica, bibit ille, bibit illa ("Bibit tè o camomilla?") si va a creare quella salutare atmosfera goliardica che smorza la tensione in vista dell'imminente singolar tenzone, quella col professore, che lancia sguardi in cagnesco dalla cattedra. Intanto cominci a pensare di avere un certo feeling con una ragazza in particolare, ci parli, scopri di condividere gli stessi interessi e principi morali, scherzi insieme a lei, ridete e vi divertite, mentre la stanza si svuota e gli altri studenti tornano a casa (a festeggiare, a farsi consolare o sorbirsi il solito "poteva andare peggio, ma poteva andare meglio"). Poi arriva il tuo turno, affronti l'esame con ritrovato coraggio e, visto che ormai siete rimasti solo tu e lei, decidi galantemente di aspettarla. Finito anche il suo supplizio, uscite insieme dalla facoltà, continuando a conversare amabilmente, la accompagni alla stazione e per poco non la porti in braccio sul treno per risparmiarle, da perfetto gentiluomo, la fatica di salire tre gradini. Saluti con entusiasmo quella che credi essere una nuova amica, e lei ricambia con altrettanto trasporto, assicurandoti che rimarrete in contatto.
Poi, lo stesso giorno, rifiuta la tua richiesta d'amicizia su Facebook.
Ripercorri mentalmente tutto ciò che hai detto o fatto, cercando di capire cosa possa aver offeso la sua sensibilità o cosa possa averti fatto apparire così sgradevole. Hai persino finto di trovare carino il suo orrendo yorkshire (che hai visto in foto sul suo cellulare)! Una sola, imperdonabile colpa, emerge da questa riesamina: aver ricevuto un voto più alto del suo. E pensare che il professore si è persino scusato per non averle messo la lode.
Fortunatamente a salvarmi dal mio scoramento e dalla mia misantropia, sono sopraggiunti amici semplicemente adorabili. Due di queste sono vere e proprie supereroine, la saggia, pacata Stormy e la vulcanica Y-Girl, dalla chioma color gelato variegato all'amarena. Se non avessi conosciuto loro, probabilmente sarei rimasto lì, impalato e tremante davanti alla macchinetta del caffè, assorto nei miei malinconici pensieri da "poeta crepuscolare" (così sono stato definito dalla perspicace Y-Girl, che ha anche scelto il mio pseudonimo da supereroe, Tasky Boy, vista la mia abitudine di suggere nervosamente uno Yoga Tasky dopo l'altro, o, in mancanza di succhi di frutta tascabili, il mio pollice.)
Purtroppo, proprio quando cominci a sentirti un po' più sicuro di te, quando finalmente hai trovato degli amici disposti a sopportare le "tue ossessioni e le tue manie", quando pensi che andrà tutto bene, che ce la puoi fare... a ributtarti giù ci pensano gli studenti un po' più agé, che si aggirano per i corridoi in cerca di sostegno da parte dei più giovani, col chiaro obbiettivo di risucchiare tutta la loro forza vitale. Per carità, fanno anche un po' tenerezza, e non dev'essere facile per loro...  ma non è facile per nessuno!
"Scusami, potresti prestarmi i tuoi appunti? Sai, perché io lavoro... E magari mi imbuchi anche lo statino? No, perchè col lavoro io proprio non posso... Ascolta, appena si hanno notizie del professore mi fai sapere? Come sai, io lavoro..."
E ma se lavori, perché sei qui a togliere l'aria a noi povere anime condannate? A noi giovani negletti, puniti dalla gerontocratica Italia solo per l'imperdonabile colpa di essere giovani?
Noi giovani d'oggi non ci riusciamo proprio, a ribellarci, come Giove, al régime degli ancien, a porre un limite alla fame nervosa di Crono. Al contrario, continuiamo a seguire l'esempio del pio Enea, che si caricava sulle spalle il vecchio padre acciaccato, quando forse avrebbe anche buoni motivi per scrollarselo di dosso: il caro Anchise, dopotutto, ha vissuto la sua vita (e se la è pure spassata con Venere!) Quand'è che tocca a noi, vivere la nostra? Così ci ritroviamo a dover sgomitare anche col pensionato che ha deciso di portarsi a casa una terza laurea, per sport, come alternativa alla briscola o alla bocciofila.
Pensandoci, di solito preferisco gli adulti ai miei coetanei, ma un contatto intergenerazionale di cui avrei potuto benissimo fare a meno è senz'altro quello con la petulante Mrs.Robinson, che non perde occasione per appiccicarmisi addosso (e non sono ancora laureato!)
Quando non riesco ad evitarla (dandomela a gambe o fingendo di essere un attaccapanni), mi afferra per il braccio e mi tiene in ostaggio per ore, riversandomi addosso tutte le sue ansie, accrescendo i miei dubbi, riportando a galla quelli ancora latenti, per poi stordirmi con un raffica di domande miste a sterili ciance: "Ma a che ora comincia la lezione? Per l'esame scritto è necessaria la penna nera o posso usare anche quella blu? Ma tu quante ore studi? Credi che la professoressa McGranitt mi lascerà sostenere l'esame per prima se le dico che devo accompagnare mia suocera dal cardiologo? Dov'è la toilette delle signore? Dove...? Cosa...? Perché...? Quando...? Ma...?"
Qualche volta vorrei riuscire ad essere spietato e insensibile, anziché soccombere e mostrarmi sempre disponibile. Anche perché molto spesso i professori sono più gentili e accomodanti con gli studenti più maturi, e la cosa non può che suscitare tutta la mia pulsante invidia. "Tesoro mio" vorrei tanto risponderle, premendole delicatamente un dito sulla bocca, "tu pensi di aver trovato in me la tua ancora di salvezza, ma io, ahimè, ne so meno di te! Non lo vedi che sono un irrecuperabile inetto? Così coliamo a picco tutti e due, capisci? Mi dispiace, ma non posso affogare per insegnare a te come nuotare a cagnolino, quando io a malapena arranco a stile libero! E' dura da accettare, zucchero, ma l'università non si frequenta, si sconta. E' una dura lotta per la sopravvivenza..."
Lo so, mi vergogno dei miei stessi pensieri. Comincio ad assomigliare a quella terrorista della professoressa Zizzania, ma come darle torto? In tempo di guerra, si sa, mors tua vita mea.
Ma la colpa non è certamente nostra.
Inferno terreno, orrida fucina di infelicità è il luogo che piega una giovane mente al cinismo e all'individualismo senza scrupoli!
Quando non si è che un numero di matricola, quando la propria persona è ridotta a poco più che una targa d'automobile, si inizia inevitabilmente ad agire e pensare con robotica freddezza.

Una serie di accademici accadimenti:
Episodio I - Stranieri e strani estranei
Episodio II - Grandi speranze
Episodio III - Legami chimici
Episodio IV - Studenti esasperati
Episodio V - In balìa della balia
Episodio VI - C'era una svolta
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Episodio IX - Chiamatemi (un) dottore

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