mercoledì 31 ottobre 2012

Un Tea Party con delitto

 
Quale modo migliore per celebrare degnamente Halloween se non ammazzare un amico?
Ovviamente solo per finta, organizzando un tenebroso tea party con delitto: una vittima, un assassino, un'arma del delitto e tanti sospettati. In altre parole, un Cluedo vivente. Quello dei ricevimenti con delitto è una moda dilagante, ma ammetto con profonda vergogna di aver preso l'idea da un episodio di Lizzie McGuire (l'unico di cui io conservi memoria, e grazie al cielo!).
Il mio primo murder tea party è stato un successo inaspettato, vista la mia scarsa esperienza nel territorio del giallo, genere che ho cominciato ad apprezzare solo di recente. 
Per la buona riuscita di un tè con delitto sono fondamentali degli ospiti entusiasti e una trama ben congegnata. Vi propongo la mia, che, considerando la mia scarsa dimestichezza con le detective stories, punta più sul goliardico che sul verosimile: la maliziosa marchesa Marie-Cosette De Mignotte viene ritrovata cadavere sulle rive del lago Sher Loch Ness. La cittadina di Detectiville è sconvolta dalla sua tragica morte e il detective Rafael Cadalso si mette subito all'opera per scoprire il colpevole, riunendo davanti a una fumante tazza di tè i principali sospettati, o meglio, un'affascinante trio di potenziali assassine: una femme fatale sull'orlo della bancarotta, un'androloga afflitta dalle pene d'amore e una ricca ereditiera con un oscuro segreto. Ognuna aveva un motivo per volerla morta, ma chi di loro ha ucciso la marchesa De Mignotte?
Cliccando su "continua a leggere..." potrete dare un'occhiata (e utilizzare a vostro piacimento) l'intero "copione" de Il mistero della marchesa. Nel mio caso, per chiari motivi di misantropia, i personaggi principali sono solo quattro, ma il numero ideale di partecipanti oscillerebbe intorno a dieci. Su questo sito trovate ottimi spunti, trame complete e consigli d'oro per organizzare il/la vostro/a apertivo/tè/cena con delitto, ma vi suggerisco di personalizzare il più possibile la storia e "cucire" i personaggi addosso ai vostri ospiti, enfatizzandone vizi e virtù. Ognuno degli invitati dovrà disporre di una pergamena di presentazione (che include una mappa del luogo e i profili "pubblici" dei personaggi) e una busta segreta contenente tutte le indicazioni necessarie per portare avanti il proprio ruolo.
 
 
Naturalmente, mentre i vostri amici si interrogano a vicenda, si azzuffano, sputano fuori antichi rancori, si pugnalano alle spalle e cercano di correggere il tè del vicino con cianuro e arsenico, servirà anche che li sfamiate. Partendo dalla bevanda protagonista, ho scelto un rooibos, o tè rosso, che ha tutto l'aspetto di un normale tè, ma deriva in realtà da una pianta africana (l'Aspalathus linearis), è privo di caffeina e, secondo la mia spacciatrice, avrebbe un naturale retrogusto di cioccolato. Se il rosso sangue del rooibos non fa per voi, un'ottima alternativa è il classico Gunpowder, il tè verde cinese più famoso, la cui consistenza (come pure il nome) ricordano la polvere da sparo: associazione mentale perfetta per una serata in cui a fumare non sono solo le tazze, ma anche qualche rivoltella.
"Non è quel che sembra" è un criterio da adottare anche nella scelta degli stuzzichini, come nel caso dei muffin inaspettatamente salati o dei soufflé a sorpresa.
 
*Non ponete limiti alla fantasia: un pizzico di peperoncino per un tocco alla
Chocolat (ottimo per un delitto passionale) una spolverata di farina di cocco
per sognare i Caraibi (e paradisi fiscali), o magari qualche goccia di succo
d'arancia
per deliziare gusto e olfatto (mentre si cerca di risolvere un caso di
omicidio con movente mafioso)...

E adesso passiamo al luogo del delitto: la tavola. Quale colore più appropriato per la tovaglia se non il giallo?
I lussureggianti candelabri della nonna (potenziali corpi contudenti) e il classico servizio da tè dei vostri genitori (regalo di nozze dimenticato prima ancora del taglio della torta) è tutto quel che vi ho occorre per trasformare casa vostra nel salotto di Miss Marple.
Per qualche assurdo motivo, frugando nell'ufficio dei miei, ho trovato anche un rotolo di quel nastro rosso e bianco che la polizia usa per delimitare le scene del crimine (non chiedetemi che cosa ci facesse lì, chiuso in un cassetto, perchè questo è un mistero che non sono proprio riuscito a risolvere) e così ho pensato di drappeggiarci la tavola a mo' di macabro festone.

Il risultato finale! (Clicca per ingrandire)
Raccogliete tutti gli indizi e le informazioni utili ai vostri ospiti in una pergamena
(magari chiusa con nastro rosso sangue) che potrà poi fungere anche da segnaposto.
Potete legare alla pergamena anche un piccolo oggetto che rappresenti ognuno dei
partecipanti: io ho scelto una lente d'ingrandimento per il detective, una penna
stilografica per la dottoressa, una rosa rossa per la femme fatale e un anello con
cammeo per la ricca ereditiera.

 Non esiste il delitto perfetto, nè tanto meno il tè con delitto perfetto, ma la cura dei dettagli non è mai troppa. Per esempio, potete richiedere ai vostri ospiti un dress-code retrò (state ancora leggendo Il Tè, non un inserto di Glamour), e creare una play-list a tema (le colonne sonore di thriller e polizieschi famosi come Psycho I soliti sospetti, le sigle di serie televisive storiche come Nero Wolfe, Poirot, Miss Marple, Alfred Hitchcok presenta Un detective in corsia, e infine, per spezzare la tensione, sottofondi musicali dagli inevitabili risvolti comici come Detective Conan, La signora in giallo o Il commisario Rex.)
Un tè col delitto, insomma, è un modo ideale per ammazzare il tempo e la noia. In più... volete mettere l'intima soddisfazione di inscenare l'assassinio del più insopportabile della comitiva?

venerdì 26 ottobre 2012

Oslove

Dettaglio de L'urlo di Munch (Munchmuseet/Oslo Nasjonalgalleriet): il grido che nasce
dalle viscere di una larva amorfa, un essere senza sesso, nè età: un essere che incarna
il minimo comune denominatore di un'umanità destinata a soffrire.
Ecco il tragicomico resoconto del mio primo viaggio (quasi) da solo a Oslo, e tutto sommato poteva andare molto peggio, considerando il mio trolley suicida (se lo lasci solo cade, un po' come il proprietario). In aeroporto sono stato abbordato da una logorroica ragazza vestita da gaucho (interamente coperta di jeans, con tanto di stivali da cavallerizza), che, ignorando del tutto i posti assegnati, si è seduta accanto a me bombardandomi di chiacchiere per tutte le due ore di volo: mi ha raccontato tutto dei suoi cavalli, del suo ragazzo, dei cavalli del suo ragazzo, dei ragazzi del suo cavallo e mi propone anche di fare domanda d'assunzione presso il negozio di articoli sportivi per cui lavora (chiunque mi conosca anche solo un po' saprebbe che non sarei mai credibile come commesso in un negozio di articoli sportivi).
Finalmente il nostro aereo atterra a Zurigo,  Calamity Jane è subito calamitata dal suo fidanzato e io posso finalmente godermi le mie sei ore d'attesa prima del volo per Oslo. In questo breve spazio di tempo sono diventato il massimo esperto di Agatha Christie ed Edvard Munch (che accoppiata allegra!). Ah, e ho anche bevuto il tè più costoso della mia vita: sei euro per una tazza d'acqua marrone. Quando il cameriere mi ha portato il conto stavo quasi per sputargli in un occhio, ma, fortunatamente per lui, sono stato educato come un piccolo lord e quindi non ho mai imparato a sputare. Per quel prezzo mi sarei aspettato come minimo di bere un pregiatissimo tè bianco servito in una tazza di porcellana cinese Ming sorretta dalla proboscide di un elefante indiano coperto di ricchissimi ornamenti.

Un plumbeo scorcio della via principale di Oslo, famosa per essere stata scelta
da Munch come teatro dell'angoscia borghese in Sera sul viale Karl Johan
(Bergen Art Musem, in basso).
Ancora Karl Johan Gate, l'insegna della fabbrica di cioccolato Freia
(Munch decorò la mensa riservata alle operaie), e un troll sorpreso dal sole
e quindi pietrificato davanti all'ingresso di un negozio di souvenir.
Amettiamolo: la città di Oslo non è poi gran cosa. Ciò che la rende magica è
senza dubbio l'atmosfera: impossibile dimenticare i colori dell'autunno,
il cielo grigio, i suoi palazzi austeri, il ghigno
inquietante dei troll, lo svolazzare goffo
dei corvi (grossi come struzzi), e la natura che si insinua tra
le case dai tetti spioventi, tinte d'ocra, rosso cupo e verde scuro, come quelle
del Monopoli.
Ho pensato di risparmiarvi le solite foto delle attrazioni principali della città, in primo luogo perchè la mia macchina fotografica va praticamente ad energia solare, poi perchè le foto dei monumenti su Wikipedia sono di gran lunga più belle delle mie, e infine perchè non ero molto in vena di scattare fotografie, visto che ho girato quasi tutta Oslo da solo. La mia amica Mary Cherry ha avuto la geniale idea di beccarsi la febbre. Non faceva neanche troppo freddo... il maglione di lana blu e rosso con renne e fiocchi di neve potevo anche lasciarlo a casa.
Fortunatamente però abbiamo trovato una perfetta guida nel padrone di casa dello studente Erasmus da cui ci siamo piazzati, ovvero il "divino" Tor, il norvegese per antonomasia: biondo, occhi azzurri, alto e bianco come una betulla.
Ci ha letteralmente caricati in macchina e ci ha deliziato con un meraviglioso tour del fiordo di Oslo. A pochi minuti dal centro della città, l'auto si avventurava già nel bel mezzo della natura selveggia: infinte foreste verdi macchiate d'autunno, solcate da torrenti, dove ti aspetteresti di intravedere occhi lucenti di troll nascosti sotto il tappeto di foglie gialle. Da un tronco d'abete avrebbe potuto far capolino una hulder incuriosita: le avvenenti fanciulle delle leggende, con coda vaccina e schiena legnosa, che attraggono gli uomini nella penombra dei boschi, li seducono, e si accoppiano con loro fino a condurli alla morte o alla follia (simpatiche, eh).

I drammatici paesaggi grigio ferro della Norvegia non potevano che ispirare
Edvard Munch per Malinconia (Oslo Nasjonalgalleriet, in basso), opera in cui la natura
diventa cornice e  ritratto del dolore umano. Il tetro scenario marittimo sembra
quasi emergere dai pensieri del ragazzo, relegato in un angolo del dipinto.

Il giorno dopo Tor ci porta più su, per farci ammirare l'inquietante trampolino da ski jumping, e a quel punto i paesaggi ottobrini ingialliscono nella nostra memoria, coperti all'improvviso da una spessa coltre bianca di neve.
Tornati dalla nostra gita a Narnia, ho dato sfoggio delle mie doti culinarie preparando con le mie manine una fragrante focaccia pugliese. La gestazione è stata un vero supplizio e le patate norvegesi (color rosa antico) non mi ispiravano molta fiducia, ma, dopo preghiere al dio del lievito, dita incrociate, abbracci, crisi isteriche e rassicurazioni, il risultato è andato ben oltre le mie più rosee aspettative. E poi si accostava a meraviglia col delizioso succo di fiori di sambuco fatto in casa di Tor (per questo si è guadagnato anche il soprannome di "il mago dei succhi" o "il meraviglioso mago di Ozlo").


Naturalmente non potevo tornare in Italia senza una manciata di parole frivole da aggiungere alla mia collezione. Mi sono reso conto ben presto di aver memorizzato vocaboli norvegesi troppo utili, come lufthavn, "aeroporto", sult, "fame" e ut, "uscita". Perciò sono subito corso ai ripari affidandomi a Tor, che, oltre ad essere un musicista, è anche un traduttore poliglotta: insieme al norvegese e all'inglese, parla perfettamente svedese, finlandese e tedesco, mastica l'estone, il francese e lo spagnolo e capisce quasi perfettamente l'italiano (l'ho sentito leggere la voce "Cime di rapa" su Wikipedia e la sua pronuncia era praticamente impeccabile.)
Così ora, grazie a Tor e ai suoi vocabolari (mai visti così tanti in vita mia), se dovessi trovarmi in uno zoo scandinavo saprei distinguere senza problemi un flaggermus ("topo svolazzante", cioè "pipistrello") da un bavian, "babbuino", in più potrei benissimo dichiarare di non essere un morgenfrisk ("mattiniero") e vantarmi di avere una  rigogliosa bjørk ("betulla") in giardino.
Ma Tor ha avuto soprattutto il merito di avermi svelato un grande mistero: la "ø"
si pronuncia un po' come il francese eau, e personalmente lo trovo un segno grafico estremamente sexy.

domenica 21 ottobre 2012

Pubblicità insopportabili #12 - L'uomo ha da puzzà

La faccia di Brad Pitt quando Angelina gli propone di adottare il centesimo figlio.

Ma cos'è che dice Brad, in questo benedetto spot Chanel?
C'avete capito qualcosa?
Ma di che diavolo sta farneticando?
Se ne sta lì, immerso in cinquanta sfumature di grigio, a dare voce a quello è che inequivocabilmente un caso di arteriosclerosi precoce. Sembrerebbe che Brad voglia solo dimostrarci di conoscere molti sinonimi di "sorte": my luck... my fate... my fortune... e poteva piazzarci pure un destiny o un raffinato lot.
Non si fa che parlare di questo spot: hanno tutti la mascella cascante dalla sorpresa di vedere un uomo che pubblicizza per la prima volta un profumo femminile. Trattandosi del primo uomo, giustamente hanno scelto un uomo primitivo. Perchè con quei capelli sembra l'uomo di Cromagnon, ammettiamolo, su. So che Colin Farrell ha denunciato la scomparsa della sua orrenda parrucca bionda di Alexander. E credo abbia qualche sospetto.
Non so voi, ma io non comprerei mai un profumo da uno che ha l'aria di dormire in macchina da settimane. Per di più Brad è noto per essere la star più puzzolente di Hollywood. Parola di un'incattivita Jennifer Aniston.
Deodorante. Quello sì che è... inevidbol.

mercoledì 10 ottobre 2012

Todo sobre mi Madrid (capitolo quarto)

Stazione ferroviaria di Toledo, Castiglia-La Mancia 

Immaginate di svegliarvi in una camera d'hotel, accendere il televisione (quasi per sport) e imbattervi in qualcosa di simile:
 
Ora come ora mi conosco meglio di chiunque altro, e so già quel che devo fare. Per questo ora che, con la menopausa, sento che il mio corpo fa un po' il pazzerello, sto più attenta alla mia salute e prendo Savia di Danone. E' una ricetta ideale per me, l'unica con un alto contenuto di proteine di soia, pochi grassi e senza zuccheri aggiunti. Non potete immaginare quanto sia buona, finché non la provate!
Con la menopausa, io scelgo Savia.
Non so se mi faccia più ridere la vocetta da svampita di Verónica, i suoi grandi occhi spiritati, oppure le vampate di calore che la colgono proprio nel momento in cui inizia a parlare di "menopausia". Due interrogativi mi si sono subito parati davanti, impedendomi di pensare ad altro: cos'è Savia e, soprattutto, chi è questa bellezza in bicicletta, Verónica Forqué? Probabilmente sono la risposta italiana a (rispettivamente) Danaos e Stefania Sandrelli. Noi abbiamo Stefania, passata dai film osé alle ossa, gli spagnoli, invece, si sorbiscono Verónica... che forse qualcuno ricorderà per il ruolo della prostituta Cristal in Che ho fatto io per meritare questo? (1984) di Pedro Almodóvar. In effetti il titolo del film sembra preannunciare il crudele destino dell'attrice: scappata in bicicletta dalla casa di riposo, Verónica decide di riposarsi sotto un albero, immersa in un mare di fiori gialli... a parlare da sola, lodando le virtù dello yogurt di soia rubato dalla mensa della succitata casa di riposo.
Vista la mia intolleranza al sempre odiato succo di mucca, uno yogurt di soia take-away l'avrei gradito anch'io, ma il buffet dell'hotel ne era vergognosamente sprovvisto, così io ho dovuto farne a meno e contare sulle mie sole forze per affrontare l'unica gita fuori Madrid del nostro viaggio: Toledo. "La Gerusalemme spagnola", incastonata su sette colli e bagnata dal Tajo, offre un panorama mozzafiato (che è possibile ammirare da un'interminabile scalinata, anch'essa mozzafiato - ma qui in senso letterale. Naturalmente abbiamo scoperto solo una volta raggiunta la cima che c'era anche un ascensore: un classico.)
Una veduta del meraviglioso centro storico di Toledo, capoluogo della Castiglia-
La Mancia. In basso, dei lucchetti attaccati al ponte sul fiume di Tajo come
simbolo di amore eterno: Federico Moccia, ahimè, ha colpito anche in Spagna
con il suo Tres metros sobre el cielo. Su quello azzurro c'è scritto "siempre juntos",
cioè "sempre insieme." In certi momenti non so cosa darei per essere un fabbro...
Salvo l'imponente e ricchissima cattedrale, i luoghi d'interesse  non sono poi granché interessanti, a meno che non vogliate liberarvi il portafoglio degli ultimi fastidiosi spiccioli.
E' stato qui, a Toledo, comunque, che io e mio zio Domingo, visti i continui battibecchi sulle vie da intraprendere, abbiamo elaborato un nuovo metodo, estremamente sofisticato, per raggiungere facilmente le maggiori attrazioni del luogo: seguire i gruppi di griffatissimi giapponesi, che, a quanto pare, non vanno neanche agli aseos (al bagno) senza una guida turistica, possibilmente loro connazionale. 
Tornati a Madrid, decidiamo di concederci un'ultima domenica all'insegna del relax, anche se non è facile rilassarsi quando qualcuno (io) si è messo in testa di andare a caccia di libri antichi nel Rastro, il mercatino delle pulci madrileno noto per i frequenti scippi. Dopo aver rovistato tra volumi polverosi con la foga di un tossicodipendente per un'intera mattinata, rinuncio al mio agognato classico spagnolo (di trattati scientifici e filosifici in francese, chissà perchè, ce n'era una marea), ma a quel punto interviene salvifica mia sorella, che mi telefona dall'Andalusia per comuncarmi, fiera, di avermi comprato una vecchia edizione di una tragedia di García Lorca e un nuovo, misterioso best-seller fantasy caldamente raccomandato da El País.  
Prado 4. Visto che mi sono atteggiato da piccolo Sgarbi per tutti i precedenti
 capitoli, oggi vi presento tre dei quadri più imbarazzanti che ho visto a Madrid.
A sinistra, potete ammirare l'opulenza di Eugenia Martinez Vallejo nuda di Carreno
de Miranda, a destra, San Bernardo allattato dalla Vergine di Alonso Cano
(l'unico commento possibile a questo quadro è: "Ellamadonna, che mira!")
Al centro, una donna barbuta allatta sua figlio: è Magdalena Ventura, donna abruzzese,
realmente vissuta nel XVII secolo, che all'età di ventisette anni si vide spuntare in
faccia una florida barba. Il conte di Alcalà rimase affascinato dalla sua storia e
chiese a José de Ribera di ritrarla. E' impossibile capire che si tratta di una donna finché
non si nota il seno scoperto, anche se, dalla posizione, si direbbe più una tonsilla.  
Soddisfatto dalle straordinarie capacità d'acquisto di mia sorella, decido di sgattaiolare al supermercato più vicino per una empanada al tonno, quando due spagnoli mi chiedono dov'è Plaza de Tirso de Molina...
La cosa straordinaria è che ho saputo fornire loro le giuste indicazioni (io, che ho bisogno del tomtom anche per perdermi.)
Poco dopo un tizio, anche lui spagnolo, mi domanda se "quello laggiù è il Municipio".
Per qualche secondo, ai loro occhi sono stato madrileno. Per qualche meraviglioso secondo, mi sono spogliato dalle antipatiche vesti di guiri ("il classico straniero con un'aria strana") e mi sono sentito un vero gato ("gatto", il soprannome degli abitanti di Madrid). Potete immaginare l'emozione! Più o meno pari a quella che ho provato quella volta che mi hanno scambiato per un commesso di Zara, o quando una signora mi disse che avevo gli stessi occhi di Flavio Insinna (so' soddisfazioni!).
Ecco uno scorcio della cattedrale dell'Almudena, estremamente anonima (specie
all'interno). Ho inserito questa foto solo perchè ne sono schifosamente fiero:
non sembra una cartolina? (assecondatemi)
 Mi mancherà davvero, la rumorosa Madrid (così è stata definita da quel Brontolo di mio padre). Mi mancherà ognuno dei suoi rumori caratteristici: i rami degli alberi gracchianti di pappagalli lungo il Paseo del Prado, i cori notturni dei tifosi del Real Madrid ( ♪ ¿Cómo no te voy a querer? ♫) sotto la finestra della mia stanza, il sottofondo del telegiornale spagnolo che mio padre seguiva assiduamente in attesa che arrivasse il suo turno per la doccia, il lamento del mendicante appostato a Puerta del Sol, senza contare i tormentoni musicali del mio cuginetto Juanito (hit italiane intramontabili come Nostalgia canaglia di Al Bano o Torero Camomillo, il matador tranquillo...)
Il rumore di cui invece non sentirò mai la mancanza è l'imbarazzante applauso dei passeggeri italiani al momento dell'atterraggio. Ma probabilmente l'imbarazzo maggiore me lo sono procurato da solo quando, al momento di sbarcare, non riuscendo a sollevare il bracciolo del sedile (cosa che mi era già capitata all'andata), ho esclamato, ingenuamente: "Oh, ma perchè a me non si alza mai?!".
Vi lascio immaginare l'ilarità che questa mia infelice uscita ha provocato tra i (maliziosi) passeggeri.
Scendo dall'aereo col capo chino, con l'afa peucetica che mi dà il bentornato a casa. 

sabato 6 ottobre 2012

Todo sobre mi Madrid (capitolo terzo)

Statua di Filippo III e Real Casa de la Panederia, Plaza Mayor

Come promesso, oggi vi presento la più pazza dei miei compagni di viaggio, ovvero Grace, l'amica di famiglia che tutti mi invidierete per la sua doppia anima da signora un po' vamp e da adolescente scapestrata. 
Grace mi ha dato grosse soddisfazioni nell'apprendimento dello spagnolo: sono riuscito quasi a farle imparare a memoria la Legge di Marta, senza contare che ha acquistato non poca familiarità con gli avverbi deittici. In realtà, però, col suo savoir-faire, è perfettamente in grado di abbattere ogni barriera linguistica. Eccovi un esempio.
Il burro cacao è un oggetto di per sè dispettoso, in quanto piccolo e facile da perdere o dimenticare. Normalmente lo trovi dappertutto: in bilico sulla mensola della cucina, infiltrato tra i trucchi delle donne di casa, mimetizzato nel portapenne o semplicemente gettato lì sul letto. Ma quando c'è bisogno di lui, è introvabile. E' matematico: ogni qualvolta che abbandono il suolo natio, le mie labbra si screpolano fino a cadere a pezzi, bruciando talmente tanto che mi stupisco di non vederle lampeggiare come l'insegna di un night-club. Disperato, corro alla ricerca di una farmacia. Il mio vacabolario tascabile non mi aiuta, visto che c'è solo la voce "screpolato" (agrietado) e non "burro cacao", perciò, fatta irruzione nella farmacia più vicina, sono costretto a lanciarmi in un acrobatico giro di parole, che suona più o meno come: "Salve, mi servirebbe qualcosa per le labbra screpolate. Mi scuso, ma non conosco la parola adatta a descrivere tale oggetto." Il farmacista, con un sorriso bonario, mi dà quello che mi dice chiamarsi labél ("Ah, come il Labello!" collega poi mia madre, fiera di tale eccezionale scoperta etimologica).
Qualche giorno dopo, sarà per la forza della suggestione o per il solleone madrileno, anche Grace lamenta un insopportabile bruciore labiale. Senza perdere altro tempo, si dirige a passo sicuro verso la stessa farmacia. Al suo ingresso, l'aria condizionata gonfia il suo foulard a stampa floreale dandole un'aria botticelliana, mentre incede eterea verso il bancone e, facendo sfoggio di innato charme, mima il gesto di mettersi il rossetto, riuscendo ad ottenere in pochi secondi il burro cacao tanto bramato.
Due approcci diversi: zelo linguistico da "maestrino" versus linguaggio del corpo. Stesso risultato. Ma in fondo è questa diversità che fa di me e Grace una coppia vincente: Raffy&Grace, la risposta italiana a Will&Grace.

Plaza de las Ventas, la terza plaza de toros del mondo. Inspiegabile la presenza
di Sarah Jessica Parker vestita da torero sul cartellone pubblicitario all'ingresso.

Alla ricerca del duende (letteralmente "folletto", ma qui nel senso lorchiano di "anima, estasi, arte, autenticità" spagnola), ci siamo avventurati a Plaza de las Ventas, teatro di quello che Hemingway chiama (a ragione) "magnifico incubo": la corrida. Lo spiritello ci guida poi in un teatro diverso, a Plaza de Tirso de Molina, dove assistiamo estasiati a Carmen, spettacolo in cui Bizet duetta meravigliosamente con il flamenco del Ballet de Madrid: una corrida danzata, dove piedi scattanti diventano zoccoli di toro in corsa, e il battito del cuore segna il ritmo di una danza tellurica, fatta di euforica disperazione, amore, morte e follia (il tutto impreziosito dai commenti di Grace sulle grazie del primo bailaor).
Il duende, non ancora soddisfatto, ci spinge ad ammirare il Guernica, intenso e struggente capolavoro di Picasso, re incontrastato del Reina Sofia, museo importante, interessante, ma non più entusiasmante del Museo del Prado, almeno per me, che sono tanto rivoluzionario nella vita quanto reazionario nell'arte. Tralasciando il microclima artico (le opere andranno pure conservate a basse temperature, ma quantomeno il costo del biglietto dovrebbe comprendere una tenuta da samoiedo),  mi ha stupito soprattutto l'audio-guida offerta all'ingresso. La prima audio-guida filosofica. La prima audio-guida pensante, ma soprattutto questuante: "Lei, gentile visitatore, cosa ne pensa di questo quadro? Quali sono, secondo lei, i colori predominanti?" domanda la voce registrata, "Quali emozioni le suscita?"
Non so voi, ma io non sono abituato a rispondere alle domande di aggeggi tecnologici a cui non interessa veramente la mia risposta. A un certo punto, più che una visita guidata, mi sembrava di essere in un episodio di Dora l'Esploratrice.
Reina Sofia. Il monumento di Pablo Picasso alla disperazione e all'ira, Guernica, dipinto
dopo il bombardamento tedesco della città durante la Guerra Civile Spagnola,
nell'aprile del 1937.
Ma le stranezze non finiscono qui. Gesti apparentemente semplicissimi come spedire una cartolina possono diventare quasi mortali in una grande città come Madrid. Vi domanderete chi è che invia ancora cartoline a questo mondo: io e Grace.
Dopo aver cercato francobolli in lungo in largo per tutta la capitale spagnola, grazie ad una soffiata, cingiamo d'assedio El Corte Inglés per raggiunge una tabaccheria, apparentemente l'unico tipo di negozio provvisto di sellos. Gli orari dei negozi a Madrid sono molto rilassati: prima delle dieci e mezza non si apre niente, se non la credenza per tirar fuori le tazze da colazione. Così io e Grace, giunti davanti all'ingresso del grande centro commerciale, ci troviamo il passo sbarrato da una burbera guardia di sicurezza. Bersagliato per ben cinque minuti dagli sguardi in cagnesco di Grace, Cerbero finalmente ringhia qualcosa come: "Vale, potete entrare."
Ora, trovare una tabaccheria ne El Corte Inglés non è impresa da poco, viste le luci abbaglianti, gli espositori e le vetrine sirenesche, ma fortunatamente troviamo molti commessi pronti ad aiutarci e a darci indicazioni (che assomigliano terribilmente alle istruzioni di un ballo di gruppo). Dopo mezz'ora di arriba e abajo, raggiungiamo, muovendo la colita, il piano inferiore, dove, però, la tabaccaia, simpatica come una sigaretta spenta sulla pelle, ci annuncia che possiamo comprare dei francobolli solo nell'ufficio postale, nel piano sotterraneo.
Io e Grace ci avventuriamo giù per una squallida scalinata in stile Guillermo del Toro e inizia così la nostra catabasi negli Inferi. Ci ritroviamo, spaventati e smarriti, in una specie di fosco parcheggio sotterraneo, di quelli dove ricattatori o strozzini danno appuntamento alle loro povere vittime, là dove osano i ratti. Mezzi asfissiati da fumi sulfurei, tremando all'idea di essere coinvolti da un momento all'altro in una sparatoria, finalmente avvistiamo la luce. Un'insegna luminescente, gialla, con su scritte parole di salvezza: Correos, ufficio postale. Io e Grace ci scambiamo un sorriso incerto, ma, sollevati, come topi scampati all'incendio, corriamo verso la fine della nostra avventura ipogea, un viaggio spirituale che è metafora dell'umana esistenza. Poi, improfumate, baciate e spedite le nostre cartoline, usciamo a riveder le stelle.
Continuarà...

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