lunedì 30 dicembre 2013

A volte vale la pena di sciogliersi per "Frozen"

Elsa, erede al trono di Arendelle, convive sin dalla nascita con un grande segreto: è capace di
creare ghiaccio e neve, un potere straordinario ma anche oscuro. Dopo che, senza volerlo, la sua
 magia ha rischiato di uccidere Anna, sua sorella minore, si è chiusa in se stessa, isolandosi
nel dolore, nella paura e nel senso di colpa. Finché le emozioni prendono il sopravvento
 e la sua magia congela l'intero regno, costringendola alla fuga, convinta com'è che nessuno possa 
salvarla da se stessa, nemmeno l'amore di sua sorella...

Quando lo spirito natalizio scarseggia, quando mi viene voglia di fare harakiri col puntale dell'albero, quando non ci sono fantasmi del Natale passato, presente e futuro a disposizione, l'unico modo per cancellarmi dalla faccia il grugno di Scrooge è mettermi comodo sul divano e godermi una bella fiaba Disney. Perciò non poteva esserci regalo più apprezzato di Frozen, prodotto fresco, anzi freschissimo, della casa di Topolino, che è riuscito ad attizzare il fuoco dei buoni sentimenti alla pari dei grandi classici, questa volta raccontandoci una storia d'amore fraterno, quello che lega Anna e sua sorella Elsa, "La Regina delle Nevi." Anche qui ritroviamo gli elementi vincenti di Rapunzel, come la sete di libertà, l'antagonista non immediatamente riconoscibile, lo spirito di sacrificio e la predilezione per i personaggi maschili senza un titolo nobiliare, senza contare la leggera ossessione degli autori per i capelli che cambiano colore.
Sebbene la trama forse non sia così ben intrecciata quanto quella della Raperonzolo disneyana e la somiglianza delle due sorelle a volte rischi di innescare mortificanti paragoni con i film tv di Barbie, le critiche positive continuano a fioccare come neve per quello che è stato definito, probabilmente a ragione, come il miglior film dai tempi del Rinascimento Disney, ovvero il fortunato periodo che va dal 1991 (La Sirenetta) al 1999 (Tarzan) includendo capolavori come La Bella e la Bestia e Il Re Leone. In altre parole, Frozen si è rivelato una provvidenziale boccata d'aria fresca di montagna, perfetta per rinvigorire una lunga tradizione come quella dell'animazione Disney. La modernità sembra aver finalmente riscoperto l'incanto dei grandi successi del passato, tanto che si potrebbe persino parlare dell'inizio di un nuovo canone.
Gli echi e le auto-citazioni sono innumerevoli. Un esempio: la pinacoteca del palazzo reale, in cui Anna pregusta l'inizio di una nuova vita e canta la sua disperata brama d'amore (For the first time in forever, in italiano Oggi per la prima volta), non è che l'equivalente della grotta dei tesori sommersi di Ariel. Se la sirenetta cercava risposte alle sue domande contemplando La Maddalena penitente di Georges de la Tour, la principessa scandinava sogna feste e balli davanti ai banchetti paesani di Bruegel, evade dalla realtà saltando su L'altalena di Jean-Honoré Fragonard e si impratichisce nelle danze dell'amore civettando coi busti di marmo e i galanti musici di quadri rinascimentali. Un'occasione ho, il successivo duetto pop (quasi stile "bimbiminchia") in cui si esibisce con Hans è una gustosa auto-parodia dei pas-de-deux delle sue antenate, decisamente più svenevoli. La storia della protagonista, d'altronde, è quasi uno studio sul processo evolutivo della principessa Disney: questa ingenua e fiduciosa Polly-Anna si risveglierà gradualmente dal ruolo tradizionale di "bella addormentata" per armarsi di determinazione e coraggio. Il suo è il percorso "femminista" già timidamente iniziato dalla teenager ribelle Ariel e portato avanti da Pocahontas e Mulan. Ma una tale, impegnativa eredità è controbilanciata dall'autoironia, la goffaggine e l'umanità di Anna, per cui è impossibile non sciogliersi.

L'altalena o I fortunati casi dell'altalena è un dipinto rococò di Jean-Honoré Fragonard
che aveva già ispirato alcuni bozzetti iniziali di Rapunzel. Una ragazza dondola sull'altalena,
spinta da suo marito, mentre uno spasimante si bea della sua vista nascosto tra i cespugli:
questa citazione pittorica sembra quasi anticipare il triangolo austeniano 
in
 cui si troverà coinvolta Anna.

Se Frozen è rimasto così tanto tempo nel freezer, spiega il produttore, è soprattutto per gli interrogativi e gli ostacoli posti da una fiaba così criptica come La Regina delle Nevi. Della storia originale rimane ben poco, salvo qualche giochino onomastico (il triangolo Hans-Kristoff-Anna è un richiamo al nome di Hans Christian Andersen) e l'immagine del "cuore di ghiaccio", ma attraverso i tormenti interiori di Elsa, apprensiva e atterrita dai suoi stessi poteri, la Disney riesce a raccontare una realtà a noi più vicina: quella dell'incomunicabilità, l'isolamento, la disperazione vissuta nel silenzio della propria stanza. E' questa la "porta chiusa" che sempre più spesso separa fratello e fratello, genitori e figli, riducendoli ad estranei. E' questa la "porta chiusa" che Anna cerca con tutte le sue forze di spalancare, sapendo che "Love is an open door".
Elsa, prigioniera di se stessa e dei suoi conflitti alla X-Men, è senza dubbio uno dei personaggi più complessi mai ritratti dalla Disney, dato che riunisce in sé il ruolo di co-protagonista, antagonista e aiutante magico: una tripla natura che basterebbe a far venire un cerchio alla testa a chiunque. 

Se proprio volete rovinarvi la sorpresa, cliccate qui.
 Col suo canto liberatorio, mentre il prodigioso castello di ghiaccio si cristallizza di fronte ai nostri occhi e l'algida regina si trasforma in una scintillante diva della dance anni '80, assistiamo anche al grande ritorno del musical disneyano. Let it go (All'alba sorgerò) regge il confronto con la celebre Defying gravity di Elphaba, futura malvagia Strega dell'Ovest di Wicked, per quanto le traduzioni italiane dei testi siano decisamente meno efficaci degli originali. Quanto al resto della colonna sonora e alle amenità grafiche, i motivetti più orecchiabili si accostano con disinvoltura ai canti lapponi e alle suggestioni musicali del Nord, portandoci tra i fiordi dell'immaginario regno di Arendelle, dove approdano navi vichinghe, svettano stavkirke, e sorgono le torri del magnifico castello ispirato ai palazzi reali di Oslo e Trondheim. A regnare, oltre il gelo, sono i colori dell'aurora boreale (verde, azzurro e porpora), e la cura dei dettagli è, come sempre, maniacale: ovunque non fioriscano fregi di ghiaccio, germogliano le decorazioni floreali in stile Rosemåling.
Per tutti questi motivi e per tanti altri, per essere un brillante compromesso tra passato e futuro, Frozen è l'equivalente cinematografico di un cristallo di neve: simile a tanti altri venuti prima di lui, eppure unico.


Caldi abbracci e tanti auguri di felice anno nuovo! 

lunedì 23 dicembre 2013

Un Tea Party nel deserto

Aver interpretato uno dei Re Magi nella recita natalizia dell'asilo ha avuto un considerevole impatto sulla mia giovane mente. Mi ha lasciato innanzitutto un lacerante dubbio, tuttora irrisolto, circa il singolare di "Magi" (tre Magi, un "Magio"?) e, più in generale, un vivo interesse per queste misteriose figure del presepe.
Perciò, dovendo scegliere un tema per il mio secondo tea-party natalizio e 
non essendo ancora riuscito a trovare un utilizzo pratico per quel bazaar di souvenir che ho accumulato negli anni, ho pensato di omaggiare l'Oriente, le terre da cui questi saggi astrologi (o "astrologhi") sono giunti in groppa ad un cammello con una cometa per GPS e un carico di doni un po' deludenti (benché l'oro rosso sia tornato di moda.)
A dir la verità un tè nel deserto è adatto a tutte le stagioni: se non ai Re Magi, potete sempre dire di esservi ispirati a Le Mille e una Notte e invitare le amiche del corso di danza del ventre.
A meno che non troviate un posto last-minute su un tappeto volante per Dubai, sarà meglio che sia il deserto, parafrasando un detto su Maometto, a venire da voi. Luci soffuse, un tavolino basso, radiatori a palla, tappeti, sciarpe paisley e un mare di cuscini damascati è tutto quello che serve per creare un'indolente atmosfera da spot di Tesori d'Oriente. Ovviamente la comodità viene prima di tutto: se stare seduti su sette guanciali vi fa venire una gobba da dromedario, potete sempre adagiarvi sul divano, facendo notare a chi dovesse protestare che si tratta di un'invenzione orientale, tanto più che "divano" deriva dall'arabo-persiano diwan.


In alto, califfi-matrioska dagli Emirati Arabi allineati sul pianoforte.
In basso, il tavolino da tè imbandito e decorato. 
La prima delizia che ho voluto sottoporre ai miei ospiti sono i famosi turkish delights, o lokum (delle golose gelatine alla frutta ricoperte di zucchero a velo.) Pur di averli sarei stato disposto a vendere i miei fratelli alla Strega Bianca come Edmund. Non è stato semplice, ma alla fine sono riuscito a procurarmene un po', anche se mi sono dovuto spingere fino alla fiamminga Bruges, a più o meno sei mesi di cammello da Istanbul (due mesi, se avete un Katalicammello ad energia solare). Comunque voi metropolitani riuscirete a reperirli con facilità. Se, invece, come me, vivete in aride solitudini dimenticate da Allah e dalla globalizzazione, sono certo che sarete così volenterosi da prepararli in casa (in rete sono disponibili diverse ricette.)
Un banchetto da nababbi, poi, richiede oasi di datteri, dune di albicocche disidratate e scrigni di fichi secchi, anche se sanno di pot-pourri e probabilmente nessuno li toccherà.
Il "piatto forte" non c'entra un dattero con l'Oriente, ma ha un nome decisamente evocativo: le Rose del Deserto. Dei dolcetti degni delle più sontuose merende dello sha di Persia. Una ricetta leggendaria, che io stesso ho rinvenuto dopo anni di ricerche rovistando nelle sabbie roventi del Rub al-Khali, scritta in antico persiano su una consunta pergamena che ho dovuto strappare dalle mani mummificate di Jafar. Delle leccornie che le mie abilissime amiche food-blogger non riuscirebbero a preparare nemmeno esaurendo tutti e tre i desideri del genio della lampada (come no... le sento già ridere.)



Su questo vassoio persiano persino i miei sgorbi sembrano
vagamente appetitosi. 

Il posto d'onore di ogni tea-party è senza dubbio riservato al tè. L'ideale sarebbe quello alla menta, ma personalmente non riesco a berlo senza farci i gargarismi. Io opterei per un tè alla mela turco o un tè nero al profumo di gelsomino, da versare ancora bollente in un set di bicchierini da tè come quelli in foto, che ho comprato in un negozietto andaluso da un tizio col mascara, probabilmente di ascendenza moresca. Se non ne avete in casa, potete sempre usare dei bicchierini da liquore non troppo piccoli, ma nessuno vi vieta di usare delle semplici tazze e giustificarvi ricordando che la parola "tazza" è di origine araba (tassah).
Quanto all'intrattenimento, non so perché, ma quando si parla di Oriente la mente si abbandona quasi automaticamente a scenari di lascivia. Per il momento mi sono venuti in mente solo cose turche e giochi che il muezzin non approverebbe, tipo Le belle beduine, Scopri il finto eunuco o Strip-scacchi. Ma oltre a sfogliare Le Mille e una Notte in cerca di passaggi pruriginosi, potreste ammazzare il tempo facendo girare un narghilé o una striscia di mirra, sfidarvi a ripetere mille e una volta di seguito il nome originale della sposa di Aladino (Badroulbadour, "luna piena delle lune piene"), proiettare film a tema oppure piroettare come dervisci fino a perdere i sensi. In alternativa, chi vorrà, potrà esibirsi nella Danza dei Sette Veli, seguita dalla decapitazione del convitato più antipatico. 

In alto, la teiera d'argento della mamma di Anny, bicchierini da tè andalusi e
 tovagliolini a tema (Tiger.) In basso, festone turco con piccoli dromedari
di pezza e un assortimento di lokum al limone, arancia, fragola, rosa e menta.
Insomma, per l'Epifania, accogliete conturbanti odalische, sceicchi coi turbanti e sovrani di terre lontane nella vostra personale Caverna delle Meraviglie! Per sicurezza, meglio avere due eunuchi di guardia all'ingresso se volete tenere lontano i soliti imbucati. La parola d'ordine? "Apriti, sesamo!"
O forse no, vi conviene pensare a una password che i quaranta ladroni non sappiano già.


Gli incantatori di serpenti sono già tutti prenotati?
Ecco una playlist arabeggiante (con qualche ironica aggiunta.)


Per altri suggerimenti...
Un Tea Party natalizio con lo Schiaccianoci

Il Tè - il blog volutamente ozioso e inutile vi augura un magico Natale e un felice anno nuovo!

lunedì 16 dicembre 2013

Premio Giovanna 2013: Il Galà delle Pubblicità Insopportabili (le nomination)

Anche quest'anno siete tutti invitati alla seconda edizione del prestigioso Galà delle Pubblicità Insopportabili! Sarete voi, naturalmente, a decretare il vincitore: su quale odioso spot pubblicitario calerete, come l'ascia del boia, il telecomando?
L'esuberante Giovanna, la cameriera tutta pepe di Fernovus Saratoga, ritorna anche questa volta nelle succinte vesti di madrina dell'evento. Non è stato facile riuscire a rubarle un po' di tempo, ma alla fine i suoi datori di lavoro le hanno concesso una giornata libera, che dopotutto si merita: è così brava Giovanna, brava! Per i loro perversi giochini erotici moglie e marito dovranno fare a meno di lei, e chissà che non riescano a dare una mano di vernice al loro matrimonio!
Ma entriamo subito nel vivo della gara e cominciamo col presentare le sette categorie di quest'anno, che non mancano di novità:

1. Testimonial Più Insopportabile
Guarda la playlist delle 4 nomination:


Quale tra questi avanzi di avanspettacolo si aggiudicherà la Giovannina d'Oro?
Chiara Galiazzo per Tim (rileggi l'articolo) è una new-entry che in fatto di Pubblicità Insopportabili ha già dimostrato di avere X-Factor da vendere.
Però dovrà vedersela con una veterana della nostra kermesse: la snodabile Belén Rodriguez per WeChat (rileggi l'articolo), che ormai sta al Premio Giovanna come Meryl Streep agli Oscar. Lo spot di quest'anno è la riprova che anche il suo corpo, come quello dei lepidotteri che si tatua addosso, è nettamente diviso in capo, torace e addome, tutte componenti che può muovere l'una indipendentemente dall'altra. Il suo contorsionismo le varrà la vittoria?
Oppure sarà Emanuele Filiberto per FumOk (rileggi l'articolo) a trionfare?
Magari sarà la volta buona che il principe riesca farsi incoronare, anche se solo come Peggior Testimonial. Non so cosa ne pensiate voi, ma da quando l'ho visto aspirare dalla sua sigaretta elettronica e sbuffare anelli di fumo mi è sembrato improvvisamente molto "più sexy" del solito. Quasi quanto il Brucaliffo.
2. Mentecatto Più Insopportabile
Guarda la playlist delle 4 nomination:

E' stata un'impresa, ma alla fine siamo riusciti a mettere in gabbia questi quattro stralunati. Mai come quest'anno i più preoccupanti casi psichiatrici sono stati sulla cresta dell'onda. Chi però avrà l'onore di essere eletto Re dei Folli?
Approda per primo in questa categoria Angelo Parodi per il Tonno Parodi (rileggi l'articolo), l'uomo che sussurra ai pescespada, il vecchio lupo di mare che evidentemente ha bevuto un po' troppa acqua salata. "E' fuori come la zanna di un tricheco" ha dichiarato il capitano Findus, dopo aver smentito una volta per tutte le voci su una possibile parentela.
Che non sia il commesso stakanovista di Conad (rileggi l'articolo) a incassare il premio? Lo abbiamo visto tutti alzarsi nel cuore della notte per palpeggiare melanzane, misurare banane e titillare ravanelli. Più che al reparto ortofrutta, io lo trasporterei d'urgenza su un carrello della spesa al reparto psichiatrico più vicino.
Potrebbe sempre essere il coniglio di Galbusera (rileggi l'articolo), però, a saltellare sul podio e rosicchiare il premio. Comunque vada, temo che non basti infilarsi un costume rosa shocking per scongiurare una denuncia per stalking.
Chi ha già vinto invece è il villeggiante canterino di Kayak (rileggi l'articolo), talmente entusiasta del suo sito di viaggi da volercisi riprodurre. Grazie al cielo lo spot si interrompe prima che si cali l'asciugamano e si tuffi in questo insolito atto procreativo.
3. Coppia o Gruppo più Insopportabile
Guarda la playlist delle 3 nomination:



Ora è il momento di decretare la coppia, triangolo, gruppo, mandria, sciame, branco o stormo più insopportabile dell'anno, cominciando da Belén Rodríguez e famiglia per WeChat (rileggi l'articolo): nel loro ménage familiare, tra incidenti domestici e trascuratezza, di smart ci sono solo gli smart-phone.
Non possono mancare in questa sezione anche Brooke e Ridge per per Impero (rileggi l'articolo) e Chiarelli (rileggi l'articolo), che ricorderemo sempre come una coppia behellihissihimah, malgrado l'uscita di Ronn Moss dal cast di Beautiful. Cosa li ha tenuti insieme per tutti questi anni? Senz'altro una rovente passione... o era una vampata di calore?
Delle loro avventure tra università e palcoscenico non potrebbe importarcene di meno: parlo naturalmente della saga pubblicitaria di Chiara e le sue coinquiline per Tim (rileggi l'articolo). In caso di vittoria, insieme al premio, si vedranno consegnare anche una borsa di studio Erasmus per il periodo di un anno in una capitale europea a scelta tra Chisinau, Lubiana e Vaduz (con un po' di fortuna riusciamo finalmente a levarcele di torno.)

4. Peggior Trucco e Parrucco
Guarda la playlist delle 2 nomination:



Non tutte hanno la fortuna di sfoggiare una lussureggiante criniera vermiglia come quella della nostra Giovanna. Quale volto della pubblicità avrà scambiato l'antro della fattucchiera per il salone della parrucchiera?
Le modelle di Brosway meritano un posto d'onore in questa categoria: non so se siano peggio le treccine di Pippi Calzelunghe o il muso leonino della mascellona bionda.
Dà segni di indecisione anche la top-model brasiliana Isabeli Fontana per Stroili Oro (rileggi l'articolo), che passa con disinvoltura da un caschetto stile Caterina Caselli all'effetto estrema unzione.

5. Peggior Doppio Senso
Guarda la playlist delle 4 nomination:


Per concepire la pubblicità della Dreher Lemon Radler fior fior di pubblicitari si sono spremuti le meningi come limoni. Il risultato? Un'ondata di tipi da spiaggia con le bocche a ventosa che si esibiscono in ogni tipo di sbaciucchiamento: acrobatico, in bicicletta, subacqueo e persino pigmalionistico. Della serie "'o famo strano?"
Quanto all'ultima trovata delle patatine Fonzies, l'invito a leccarsi le dita per non godere solo a metà non era già abbastanza disgustoso? L'allusione andrologica ammoscia del tutto l'appetito. 
Ritroviamo poi lo spot di Emanuele Filiberto per FumOk (rileggi l'articolo), che è stato salutato dalla critica (gli sfaccendati che commentano i video di YouTube) come l'erede di "Brava, Giovanna, brava", nonché "uno dei più squallidi in circolazione". "Dopo aver visto questa roba" ha dichiarato una fumatrice, "ho deciso di iniziare a drogarmi."
Infine, impossibile non candidare l'ammucchiata bucolica di Müller Mix (rileggi l'articolo), in cui i fermenti lattici dello yogurt fanno fermentare anche le inconfessabili voglie di un gruppetto di donne in vestaglia. Che preferiate la fragola, il lime o il mirtillo, sappiate che il fico è sempre di stagione.
6. Peggiori Slogan
Guarda la playlist delle 3 nomination:



"Accadì, mi sa che domani torno qui" (rileggi l'articolo), lo slogan, muggito da un'intollerante al lattosio, che sto ancora cercando di digerire.
Il discorso del materasso Dorelan, un'interminabile manfrina ad alto tasso glicemico che fa venire voglia di comprarsi un futon. Perché di sicuro un futon non ti rinfaccerebbe mai tutto quello che ha fatto per te e non cercherebbe certo di farti sentire in colpa per aver sopportato "senza fare una piega" acari, molle saltate, episodi di incontinenza infantile o puzzette sottocoperta...
"E' tempo di limonare!", Dreher Lemon Radler.

7. Pubblicità più Insopportabile
Tutte le sopraccitate
La pubblicità che proprio non riuscite a sopportare, la réclame per cui vi prendereste la briga di inviare un reclamo, il consiglio per gli acquisti che siete ben felici di non seguire...

Allo scoccare della mezzanotte del 10 gennaio il televoto sarà ufficialmente chiuso. Fino ad allora, votate numerosi! Vi basta commentare qui sotto riportando la lista dei vostri beniamini (si fa per dire...)
Non dimenticate: al comando... ci siete voi!

lunedì 9 dicembre 2013

Una serie di accademici accadimenti VI - C'era una svolta

"Se volete conoscere un cretino, salite su un autobus." (Salvador Dalí)
Il mezzo di trasporto più celebrato dalla letteratura è senza dubbio il treno (prima che ci fosse Trenitalia, ovviamente), ma anche l’autobus, per quanto più prosaico, ha le sue storie da raccontare. Ho voluto presentarvene sei, tra aneddoti, sketch e stralci di conversazione, tutti avvenuti lungo il mio quotidiano pellegrinaggio studentesco verso CanterBari: tre storie per l’andata e tre per il ritorno. Salite a bordo anche voi?
Sono rimasti soltanto i posti in fondo, però... te pareva! Vedrete che tra neanche due fermate si riempirà di ragazzi dell’Industriale: come sempre faranno un chiasso infernale, grideranno le più truci oscenità in dialetto stretto e appesteranno l’aria con le loro secrezioni ormonali.
Vi invito a mettervi comodi, per quanto possibile. Intanto sarà meglio che vada ad obliterare i biglietti: dallo specchietto vedo già il broncio da duro dell'autista, che ha inforcato i suoi occhiali da sole a specchio e si è avvolto al collo la pashmina. Il piede è già lì che freme sull’acceleratore...

I Sanniti

"Maledetti sanniti, garibaldini e comunisti!" è l’imprecazione con cui una bellicosa vecchietta sale sul mezzo e annaspa tra i sedili, stracarica di buste della spesa. Sotto la gonna spuntano due gambette ossute, imballate in un paio di collant rosso vermiglio: due zampe di ibis che fanno pendant col naso a becco. Ai piedi, a sorpresa, porta delle scarpe da ginnastica, innovazione calzaturiera che di recente ha conquistato molti anziani, tra cui anche mio nonno.
La vecchietta, in preda ai suoi borbottii marziali, adocchia il posto libero accanto a me, ma poi ci ripensa e passa avanti, rivolgendo un’occhiata sospettosa alla mia incolta barba da bolscevico.
"Che avrà contro i sanniti?" domanda Anny, che era dietro di lei, dopo essersi seduta al mio fianco.
"Non ne ho idea. Forse si è legata al dito la storia delle Forche Caudine. Certe umiliazioni bruciano anche dopo secoli..."
"Fa tutto un brodo con garibaldini e comunisti."
"Probabilmente capirò meglio quest’associazione di idee dopo l’esame di Storia..."
"Pesantuccio, eh?”
"Il prof è ossessionato dalle date, altrimenti non sarebbe così male. La Storia Contemporanea è affascinante dopotutto..."
"Be', su, le date sono facili... la Seconda Guerra Mondiale lo sanno tutti che va dal 1939..."
"... al 1945, lo so. Il problema è che lui pretende anche che gli si dica il mese e il giorno della più insignificante scaramuccia tra il piccolo Churchill e i bulletti del suo quartiere... tipo, quando inizia esattamente la Guerra? A giugno? A febbraio? Che faccio, tiro a indovinare?"
A queste parole una ragazza appostata sul sedile davanti si sporge in modo plateale dalla suo schienale - i biondi capelli a spaghetto che frustano l'aria - e ci riserva una smorfia scandalizzata, poi, con visibile disprezzo, getta una perla a noi porci incolti: "Il primo settembre millenovecentotrentanoveee!"
“Okay, grazie” ringhio, silurandola con lo sguardo.
Colpita e affondata, la wikipedante mette il broncio e batte in ritirata, rinunciando alla sua crociata contro l’ignoranza
Io e Anny rimaniamo per un po’ in offeso silenzio, mentre la divulgatrice torna a trincerarsi nella sua irritante saccenteria. E che ci creda o no, la parola 'saccenteria' esiste per davvero.
I tragitti in pullman sono lunghi ed estenuanti, in più il biglietto costa sempre di più: bastava dirlo subito che voleva essere mandata al quel paese, gratis.
"Maledetti sabini, sanculotti e sapientoni!"

Pullmansia
Odio quando il pullman è pieno da scoppiare. Posso sentire i pendolari rimasti in piedi che mi alitano sul collo, e, a meno che tu non sia Gesù Bambino al freddo e al gelo in una grotta, non è mai una bella sensazione.
"Eh, e cos’è questo, il pullman degli studenti? Tutti studenti sono..." commenta una signora imbottita di piume d'oca, aggrappandosi al ripiano portabagagli. Mi sforzo di inghiottire tutte le possibili risposte polemiche che mi affiorano in bocca. Sì, siamo studenti, e dopo la laurea rimarremo col sedere a terra, perciò le mie chiappe non si muovono di qui, capito?
Lei e altre quattro o cinque senza sedile se stanno lì, incastrate con tutta la loro ingombrante mole in mezzo al corridoio, a farti sentire in colpa perché non hai intenzione di cedere il posto. L’inefficienza dei mezzi pubblici mi rende scorbutico e rancoroso, lo so. Ma, prima di tutto, se offrissi il mio posto ad una di loro, oltraggerei le altre, e poi se avessi voluto rischiare la vita ad ogni sterzata sarei salito sul Nottetempo.
Intanto però le passeggere in piedi, allineate come antiestetiche cariatidi, continuano a gravare minacciose su di me, che cerco invano di leggere un racconto di Buzzati. Parlano di banalità degne del palinsesto pomeridiano di Canale5, ma io le vedo ergersi a taciti giudici della mia condotta vergognosa.
Il senso di oppressione lievita a poco a poco, fino a farsi insopportabile. Come se non bastasse, alla radio danno i Carmina Burana. Fortuna imperatrix mundi

Non so come possa venire in mente a qualcuno di trasmettere canzoni così ansiogene. Ma chi è il deejay, Dario Argento? In latino, poi! Una canzone in latino!
Il mio respiro si trasforma presto in un rantolo. Dalla radio ribollono con ctonio risentimento le invettive del coro contro la sorte crudele. 
L'Inferno. Questo è sicuramente l’Inferno di Dante.
Sors immani! Et inanis! Rota tu volubilis!
Le voci si innalzano di colpo come un getto di lava.
Istintivamente mi rannicchio in posizione fetale, cercando di non sfiorare il gomito del mio vicino di sedile. Ho... bisogno... di... più... spazio. Potrei mettermi ad urlare.
Status malus! Vana salus! Semper dissolubilis!
La signora accanto a me sta per schiacciarmi. Tra poco i suoi enormi seni mi si riverseranno addosso con la peccaminosa abbondanza di Mammona. Mi contorco come un dannato, mi giro e un volto grifagno da Belzebù incombe dietro di me, gli artigli che affondano nella tappezzeria screziata e polverosa del mio sedile. Un vecchio Asmodeo ansima in preda all'asma e Bafometto bofonchia insensatezze all'orecchio di Mefistofele, mentre da qualche parte, infondo al pullman, risuona la risata gracchiante di Lilith.
Mecum omnes plangite!
Il caldo è una morsa intollerabile. Le tende  rosso sangue mi lambiscono come lingue di fuoco. Corpi sudati e aggrovigliati sussultano e si rimescolano ad ogni buca nell’asfalto. La borsa a tracolla grava sul mio petto come l'Incubo di Füssli. Calore, polvere, sudore… troppa umanità! Invio un SOS al cellulare di Anny. In una scala da zero a Munch la mia ansia schizza a livelli kirkegaardiani. Aria! Fatemi uscire! Ho bisogno d’aria!
Poi le porte automatiche finalmente si schiudono, con uno sbuffo da solfatara. La bolgia scorre via lenta e con immensa fatica risalgo il baratro demoniaco in cui ero precipitato. Il mio cuore torna a battere a velocità regolare, man mano che riemergo dalle tenebre asfissianti di sciarpe, piumini e ombrelli.
Dalla radio ora si leva, leggera come una colomba, la voce di Cher, angelo della salvezza, senza sesso e senza età, spirito benefico dai capelli ultra-lisci che diffonde speranza e invita a credere ancora nella vita.

Strane creature che meriterebbero di essere esposte in un acquario
"Anny, ti ho preso il posto!" la chiamo, facendole cenno con la mano dal fondo del bus. "Che bello che ci sei, Bobo! Quando viaggio da solo mi viene la pullmansia..."
"Ciao Raffy, anche per me è bello vedere una faccia amica” sospira Anny, immobilizzando col laccetto le ali palpitanti dell’ombrello. “Oggi sono andata dal tutor... simpatia portalo via! Ma via proprio..."
"Perché hai un tutor? Anch’io voglio un tutor! Come faccio a procurarmi un tutor?"
"Ad ogni studente di Medicina viene assegnato un professore che gli faccia da mentore" esala lei,  liberandosi dalla stretta assassina della sciarpa. "Qualcuno a cui chiedere consiglio, insomma. Ma il mio non è un granché come nume tutelare."
"Be', sempre meglio di niente, Bobo. Io mi accontenterei anche di un animale guida che mi appaia in sogno e mi suggerisca come ottimizzare i tempi di studio."
"Non immagini che rottura: sono stata lì seduta per ore nella sua sala d’aspetto. Per quanto fossi circondata da gestanti non è stata una così dolce attesa..."
"E che ci facevano lì?"
"Scusa, non ti ho detto che è un ginecologo, il mio tutor. C’era solo una donna a non essere in stato interessante. Però era parecchio interessata a me: non faceva che fissarmi. Poi a un certo punto si è fatta avanti e mi ha chiesto che ci facessi lì. Forse mi ha presa per una futura ragazza-madre..."
"Con quel faccino angelico? Ma dai, a te le visite ginecologiche viene a farle direttamente l’arcangelo Gabriele..."
"Io le ho spiegato che sono una studentessa e che aspettavo il dottore per un colloquio. Lei mi ha sorriso, non senza una punta di malizia, poi si è ravviata i capelli biondi, ha incrociato le gambe e mi ha rassicurata, in tono suadente: ‘Vedrai, lo riconoscerai subito. E’ identico a George Clooney...'"
"E lo era?" domando, piuttosto scettico.
"Forse dopo una decina di Martini, sì."
"E questa signorina così ginecologicamente socievole non era incinta, hai detto, vero?"
"No, mi ha detto di no."
"Mmm… mi sa che si aspettava che il dottore si occupasse anche di quello."
Anny sembra ponderare a fondo su questa possibilità.
"Ti sei accorto che siamo in un acquario mobile, comunque?"
Io la guardo con aria interrogativa, poi butto un occhio al finestrino: piove talmente forte che l’acqua chissà come si è infiltrata nel doppio vetro.
"Fantastico. Sembra di stare in una quelle penne che regalano come gadget... sai, quelle piene d’acqua e con i glitter che fluttuano appena le muovi." Solo che in questo caso a turbinare ci sono solo i granelli di polvere accumulati nei secoli...
Per almeno cinque minuti rimaniamo a fissare come ebeti le increspature dell’acqua attraverso quello che ormai sembra l’oblò di un sottomarino. "Ricordi Disco Stu?" domanda poi Anny, ridestandosi dal torpore ad una brusca svolta del torpedone.
"Quel tizio strambo che si crede Michael Jackson? Che ha fatto, è entrato di nuovo in sala lettura di Medicina a passo di moonwalk?"
"No, ha sfondato la porta con un calcio alla maniglia e ha annunciato: 'Ragazzi, sono tornato! Sono stato un po' in prigione, ma adesso sono di nuovo qui!'"
"Quando dice 'prigione' intende 'reparto psichiatrico'?"
"C’è dell’altro. Si è seduto, ha tirato fuori i suoi libri e poi…"
"... ha tirato fuori qualcos’altro?!” incalzo, temendo il peggio.
"... si è alzato il dolcevita bianco per mostrare gli addominali."
"Oh Dio mio, che cosa orribile! Il dolce vita bianco... come quei maniaci sessuali degli anni '70 che volevano darsi un tono da intellettuali per rimorchiare qualche ingenua liceale di provincia! Che indumento viscido..."
"Ehm... già" mi asseconda Anny. "Comunque non era un bel vedere: i muscoli sono pronunciati, ma per il resto è rachitico..."
"Scommetto che è pallidino, pieno di nei..." tiro a indovinare, rabbrividendo. "E con pochi peli ma scurissimi! Bleah!"
Cerco di reprimere le vivide immagini mentali che sono così bravo a creare. Intanto che l’autista scala le marce l’acqua si arriccia con uno schiocco sul bordo del finestrino, per poi essere respinta indietro dalla risacca. "Ma non fa Medicina, giusto?"
"No, mi ha detto che sta seguendo un corso da magazziniere."
"Ma come? E che ci sta a fare lì da voi, allora?"
"Nessuno l’ha ancora capito. Ha portato un cd house a una mia amica. Dicono che l'anno scorso volesse fare il carabiniere, o il vigile..."
"Sì, l'astronauta... ma poi cos’è che fa esattamente, un magazziniere?" mi domando. "Comunque  per fortuna nella biblioteca della mia facoltà tipi del genere non ne ho visti... a parte forse il Nano."
"Il Nano?"
"Sì, credo che il termine politically correct sia 'persona piccola'. La prima e unica volta che l’ho visto non faceva altro che leggere a bassa voce, cosa che normalmente trovo snervante. La sua però sembrava una specie di litania, come una profezia... a un certo punto ho creduto che stesse per rivelarmi chi ha ucciso Laura Palmer."
"Da noi invece c’è un altro strano tipo che passa tutto il tempo in biblioteca a scribacchiare cifre e calcoli senza senso" rilancia Anny. "Secondo me è uno studente di Medicina mancato che dopo il tracollo nervoso finge solo di studiare. Oppure è una Beautiful mind all'opera."
"Un po' come me, che fingevo di prendere appunti nell’ora di fisica per non dare un dispiacere alla professoressa.”
"Non parlarmi di appunti…" mi prega Anny, alzando gli occhi al cielo. "Tocca a me sbobinare la lezione di oggi."
"Bobo, sai quanto io adori i verbi ridicoli, ma cosa intendi dire esattamente?" inquisisco, grattandomi il mento.
"Ad ogni lezione registriamo tutto ciò che dice il professore e poi lo trascriviamo al computer. Siamo un gruppo, ma piuttosto elitario, perciò anche se facciamo a turno è comunque una faticaccia. Poi ci sono delle norme molto rigide a cui dobbiamo attenerci..."
"Oh!" esclamo, affascinato. "Quindi siete una specie di sorellanza? La Sorellanza delle Sbobinatrici! Wow, che cosa eccitante! Vi immagino già con un filo di perle al collo e un twin-set rosa confetto, che sorseggiate tè corretto su una veranda e organizzate brunch e galà di beneficienza."
"Sì, ma il gruppo originario era molto più nutrito di adesso. Prima dello Scisma, intendo."
"Lo Scisma?"
"Sì, una gravissima rottura che ci ha messo le une contro le altre: amiche contro amiche, compagne di corso contro compagne di corso. E' stato terribile. Alcune sono state espulse dal club perché le loro trascrizioni erano illeggibili, praticamente dei flussi di coscienza alla Joyce, degli ammassi di parole senza né punteggiatura, né divisione in paragrafi. Pensa che non usavano nemmeno il grassetto per le parole chiave!"
"Che barbarie!"
"Così le hanno mandate via, e loro hanno formato un gruppo tutto loro."
"Le Emule di Eco" ribattezzo prontamente, non potendo resistere alla tentazione di dare nomi altisonanti a qualsiasi cosa.
"Dopo un po’ però alcune delle ripudiate hanno insistito per tornare nella Sorellanza, ma hanno dovuto subire pesanti umiliazioni: audizioni, sfide incrociate, sbobinature di prova… solo coloro che hanno dimostrato di possedere l’X-Factor sono state riammesse, cioè un’esigua cerchia di Elette."
"Ma chi ha deciso tutto questo... il regolamento, dico? Qualcuna è scesa da una montagna con delle tavole di pietra?"
"In teoria la nostra sarebbe una democrazia, ma il potere di fatto è detenuto da una lobby piuttosto ristretta. La leader indiscussa è senz’altro una. E' stata Lei a introdurre le pene corporali per chi non si attiene al canone: ogni trascrizione deve essere in Helvetica, grandezza 12, con un’interlinea di 1,15 centimetri. Ah, e il testo deve essere giustificato, naturalmente."
"Naturalmente."
"Lei controlla personalmente tutte le sbobinature."
"Maniacale! Quindi se scrivi in Arial, con grandezza 11 e interlinea di 1,14 centimetri, che succede, le esplode la testa?" ipotizzo, allibito. "Ma come fa di nome questa dittatrice? Paris Geller?"
Anny abbozza un sorriso, ma continua a guardarsi intorno impaurita, come se temesse di vederla spuntare a testa in giù fuori dal finestrino.
"Comunque che schifo di carattere, Helvetica. Non era meglio un semplice Times New Roman? Il mio preferito, a dirla tutta, è Georgia, ma..."
"No, io lo adoro!" replica Anny, con ardore. "Ho votato Helvetica al referendum…"
"Oh, povera bambina, ora ho capito cosa ti hanno fatto: mostri tutti i segni di un lavaggio del cervello!" – cerco di abbracciarla, sentendomi maledettamente in colpa per non essermi reso conto prima di quali atroci abusi abbia dovuto subire. "Lei non è qui adesso: puoi dirlo che Helvetica ti fa schifo come font... Davvero, sei al sicuro con me..."
"Oh, smettila, Raffy, mi piace davvero Helvetica!" protesta Anny, divincolandosi.
"Oh, va bene..." chiudo lì, affrettandomi a dirottare la conversazione su argomenti meno spinosi per non alimentare i suoi già laceranti conflitti interiori. "Questa tiranna ce l'ha un fidanzato? C’è un Re di Cuori al suo fianco, o l'ha già fatto decapitare?"
"Sì, il fidanzato ce l'ha, ma è nell’esercito. Chissà dov’è adesso..."
"Ah, ecco, meglio l'Iraq, in effetti. Questo spiega molte cose. Alla poverina evidentemente il sesso telefonico e i messaggini sconci non bastano per distenderle i nervi..."
Anny preferisce non aggiungere altro. Nei suoi occhi leggo il terrore. E’ stata chiaramente plagiata dalla setta a cui si è incautamente unita. Chissà quali irripetibili minacce avrà ricevuto...
Meglio non insistere oltre. Lascio che lo sciacquio amniotico del finestrino la culli per un po' e aiuti il suo animo turbato a ritrovare la pace.
"Comunque, siamo alle solite!" prorompo, vedendola più serena. "Com’è che una squilibrata non fa alcuna fatica a trovare un fidanzato che se le prenda, e io invece sono ancora single? Non sono forse abbastanza psicopatico?"
"Oh, no, Raffy, sei pazzo da legare e tu lo sai" mi rassicura Anny, dandomi una pacca sulla spalla.
"Lo dici solo per farmi stare meglio" borbotto. "Bobo, io e mia madre pensiamo che tu non ti stia impegnando abbastanza per trovarmi un buon partito a Medicina" aggiungo, in tono serio. "Pensavo fosse questo il motivo per cui ti eri iscritta. I patti erano chiari."
"Farò del mio meglio, Raffy" mi garantisce lei, poco convincente. "Te lo prometto."
La guardo per un po’ con aria diffidente, poi mi volto dalla parte, immalinconito. I miei pensieri mulinano come quell’acqua intrappolata nel doppio vetro. "Mi sembra di essere nel cestello della lavatrice" dichiaro, appannando un po' il finestrino con un sospiro.

Maria Magdalena
 

Un ragazzo dall'aria afflitta avanza a fatica tra i sedili straripanti di giubbotti, le maniche matelassé e gli orli di visone sintetico che si sporgono a impedirgli il passaggio. I suoi occhi umidi vagano in cerca di un posto libero. Quando lo vedo puntare al sedile accanto a me distolgo in fretta lo sguardo. Con mio sommo orrore, mentre gli faccio spazio, lo sento piangere sommessamente. 
L'autobus, come sempre, è strapieno a quest'ora. Infatti la sua amica si è dovuta sedere dall'altro lato del corridoio.
Cerco di restare impassibile, mentre lui si lascia sfuggire un singhiozzo. Mi sorprendo a ritrarmi, fino ad addossarmi al finestrino gelido, quasi per paura che la sua infelicità mi contagi. E' un movimento istintivo. Mi dico che lo faccio per rispetto, per non farlo sentire più a disagio di quanto già non sia, ma quello a cui penso è soprattutto il mio, di disagio.
E' una cosa strana, il pudore del dolore.
Per infelice coincidenza la radio trasmette il pop lamentoso di Maria Magdalena, con la pioggia che tamburella a ritmo sul tetto.


"Hai provato a chiamarlo?" domanda l'amica, in un sussurro. Il finestrino riflette il suo volto solidale, sospeso nel grigiore del paesaggio urbano.
"Sì, ma è sempre spento" balbetta lui, la voce tremula come la goccia di pioggia sul vetro su cui mi costringo a concentrare lo sguardo.
Lo sento frugare nelle tasche, o nello zaino, e con la coda dell'occhio lo vedo tirare fuori un cellulare, ma trema così tanto che gli cade per terra. Tra un sobbalzo e una frenata, le sue mani cercano disperatamente di metterne insieme i pezzi, come se da quello dipendesse la sua vita.
"Allora, squilla?" domanda l'amica, con apprensione.
Il ragazzo rimane in silenzio, forse perché sta pensando a quali parole mettere insieme nel caso, sempre più remoto, che dall'altra parte a rispondergli non sia ancora una volta una voce registrata. Prega mentalmente di non dover riascoltare quel messaggio gratuito dell'operatore, che suona come una porta sbattuta in faccia.
La ragazza allunga la mano per afferrare la sua: una cordicella d’amicizia che dondola in mezzo all’angusto corridoio di un pullman.
"E' spento... ma riprovo finché non mi risponde."
A questo punto mi decido a tornare al mio libro. Torvald sta pregando Nora di restare, ma ecco che inaspettatamente una voce metallica emerge da quell’oggetto miracoloso, il talismano che il mio compagno di viaggio tiene premuto sull’orecchio. 
"Ha risposto!" bisbiglia la ragazza, con un sussulto, senza rivolgersi a nessuno in particolare.
"Ti giuro che non è successo niente..." sta mormorando il ragazzo, facendo un grande sforzo per trattenere le lacrime. "Non lo so… devo aspettare prima di saperlo... Mi dispiace, io… Ma te lo giuro... per favore…"
Non riesco a captare le esatte parole dell'altro, ma le sue risposte sono lapidarie.
"Non lo so... ascolta, ci possiamo vedere per parlarne?... Ah, capisco... ma allora ci sentiamo più tardi…? Mi chiami tu…?"
Lo sento stringere forte quel punto interrogativo come se fosse il suo ultimo appiglio.
L'autista ha cambiato stazione radio e non me ne sono accorto che ora. "E poi l'amore è una cosa semplice e adesso... adesso te lo dimostrerò!" gorgheggia Tiziano Ferro, mancando del tutto di tatto. Sì, Tiziano, dimostralo adesso, che l'amore è una cosa semplice. Sta' un po' zitto, che è meglio...

L'eroe
"Raffy, lo vedi quel tipo là davanti?" mi fa Anny, con voce concitata.
"Ma chi, Testa-di-Luna?"
"No, l’altro pelato."
"Ma chi, mio padre? Senti come russa!"
"Non tuo padre, il terzo pelato!"
"Ah, sì, quello che ha appena chiuso la tendina. Ebbene?"
"Quello è stato il capopopolo della Rivoluzione dell’Anno Scorso" mi ragguaglia, gli occhi luccicanti di ammirazione. "Il pullman era davvero troppo pieno, così lui ha radunato gli altri pendolari insoddisfatti e ha denunciato tutto ai carabinieri. E’ grazie a lui se ora ogni mattina ci sono due pullman delle sette."
"Che benefattore!" considero, vagamente colpito. "Certo, non è al livello di Rosa Parks, ma niente male come sommossa..."
"Io so chi è" afferma Anny, tutta orgogliosa. "Ha fatto conoscere i miei genitori."
"Ah, ma allora è davvero un benefattore!" decreto, a dir poco strabiliato. "Eroe popolare e anche paraninfo!"
No so come, ma la sua pelata ora mi sembra più lucente di prima.

C'era una svolta
"Grazie per aver deciso di sederti accanto a me e non accanto a quel cane laggiù, Bobo"
"Sono allergica al pelo, lo sai" mi ricorda Anny. "Non ho avuto altra scelta."
"Solo io trovo strano che un cane viaggi su un autobus?" domando, voltandomi a osservarlo meglio. Il bestione dal manto color caffellatte ricambia il mio sguardo e accenna un latrato, come a dire 'E beh? Che hai da guardare?'
"C’era anche ieri" mi informa Anny, distrattamente, come se questa fosse una spiegazione esaustiva.
Poi, dato che non sembro soddisfatto, prosegue: "Ha aspettato tranquillamente con noi il pullman alla fermata. Poi all'improvviso, senza alcun motivo, ha aggredito una signora. Hai presente la Signora Chic che di solito prende il pullman delle sette?"
"Tesoro, io mi sveglio ogni mattina alle otto e ogni volta mi sembra di risorgere dalla tomba. Ti pare che sia tipo da prendere il pullman delle sette?"
"Insomma, prima le è saltato addosso, poi è salito sul pullman e si è seduto proprio accanto alla Signora Chic. Lei a momenti sveniva dalla paura - ma sei sicuro di non averla mai vista? E’ una signora davvero chic, è anche molto gentile. Ha dei bellissimi boccoli biondi...  sempre così ben truccata, con tanta cipria... sembra una diva anni ’50."
"Magari avete frainteso tutto, tu e gli altri pendolari delle sette" rifletto, lanciando un’altra occhiata di sbieco al cagnone. "Secondo me si era innamorato di lei. Poverino, non deve essere facile, dichiarare i propri sentimenti quando tutto quello che ti esce fuori dalla bocca è ‘Wof! Wof!’ Per voi la stava aggredendo, ma magari in realtà si stava offrendo galantemente di obliterarle il biglietto. Magari sotto tutto quel pelo si nasconde un gentiluomo in trench."
"Che romantico, Raffy..." commenta Anny, con condiscendenza. 
"Sembra una versione moderna de La Bella e la Bestia."
"In ogni caso è sempre meglio avere un cane per compagno di viaggio che non una narcolettica che ti dorme sulla spalla come mi è successo stamattina. Ogni tanto si svegliava e per l’imbarazzo faceva finta di niente, ma dopo neanche due minuti me la ritrovavo che ronfava senza ritegno sulla mia clavicola, finché il naso non le scivolava sul mio décolleté e allora si svegliava di nuovo!"
"La Bella Addormentata" sospiro, con aria sognante. "Questo è davvero l'autobus delle fiabe!"
"Be', tanto bella non era..." si sente in dovere di precisare Anny. "Non quanto la Signora Chic, almeno."
"Stai rovinando la magia, Bobo."
"Siamo quasi arrivati a casa, Raffy" annuncia lei, per tutta risposta, mentre si stiracchia. "E' il miglior lieto fine che un universitario possa sperare..."

Grazie per aver viaggiato con me! Aspetterò con ansia di sapere quale storia vi sia piaciuta di più e quale invece vi abbia fatto venir voglia di prendere la patente da autista solo per la soddisfazione di investirmi...

Una serie di accademici accadimenti:
Episodio I - Stranieri e strani estranei
Episodio II - Grandi speranze
Episodio III - Legami chimici
Episodio IV - Studenti esasperati
Episodio V - In balìa della balia
Episodio VI - C'era una svolta
Episodio VII - Volver
Episodio VIII - Senza vergogna
Episodio IX - Chiamatemi (un) dottore

martedì 3 dicembre 2013

Pubblicità insopportabili #29 - La Sacra Famiglia

Il nuovo Tondo Doni
o solo tontoloni?
Con questo freddo non avete proprio voglia di andare vagando per boschi in cerca di muschio? Sono due anni che non trovate più Melchiorre? Vi arrovellate chiedendovi se Gesù Bambino sia nato in una stalla o in una grotta? Nessun problema! Perché perdere tempo ad allestire un presepe decisamente kitsch quando da oggi basta accendere il televisore per ammirare la Sacra Famiglia? Naturalmente parlo della diva e donna Belén, la Stella Maris della tv italiana, che nel nuovo spot di WeChat si è trascinata dietro, come la scia di una cometa, tutta quanta l'allegra famigliola. E così, col Natale alle porte, si aprono anche quelle di casa De Martino.
A pensarci bene, tutti e tre si ritrovano dei nomi che sanno già di incenso, oro e mirra: tra Betlemme Rodriguez, Santo Stefano e il piccolo Santiago di Compostela, più che una scena di vita familiare sembra un vangelo apocrifo.


E' già da un po', però, che vediamo la serafica show-girl combinare guai e gettare l'ufficio (?) nel totale scompiglio, troppo occupata a chattare per badare a dove mette (le punte de)i piedi. Poi, grazie all'app WeChat, la Rivelazione: ha finalmente scoperto di poter parlare e flirtare contemporaneamente! Dopo aver provocato un disastro dopo l'altro, la nostra Belén ha ritrovato la sua agilità quasi sovrannaturale. Come non ammirare la flessuosità felina con cui l'In-Corona-ta schiva il cameriere? Il mio sospetto è che sia capace di sganciare il bacino dalla colonna vertebrale e poi rimettere tutto al suo posto quando più le piace, perché a un certo punto si divide letteralmente in due: il busto si protende verso destra e il sedere slitta a manca, come una specie di rimorchio fuori controllo. Assistiamo a una vera e propria deriva dei continenti: Nord America e Sud America tenuti insieme da una manciata di vertebre. Io certi azzardati movimenti centrifughi finora li ho visti fare solo a Meryl Streep e Goldie Hawn in La morte ti fa bella.
Se c'è una cosa che possiamo imparare da Belén è che la seduzione parte dallo stretching.



Quando non è travolta dal lavoro e non travolge i suoi colleghi di lavoro, Belén ancheggia di corsa a casa per stare insieme ai suoi cari. Ma mentre la poverina si affanna in cucina, con un occhio alla padella e l'altro al bebè, Stefano se la spassa alla grande, ostentando uno spirito di sacrificio e un'abnegazione degni del martire di cui porta il nome. Diciamo che più che essere devoto alla Sacra Famiglia, scarica la famiglia per giocare ai videogames coi compagnucci di scuola. Il povero Santiago, ancora in fasce, è costretto ad imparare assai precocemente come usare uno smart-phone e tartassarlo con i referti degli improbabili incidenti della mamma, pur di avere un contatto col padre negligente.
Tra l'altro ci vuole coraggio ad affidare un bambino a una che si arrampica sul guardaroba con i tacchi a spillo e aziona il frullatore dimenticandosi il coperchio, col risultato di rompersi l'osso del collo e infarinarsi come un filetto di persico. A questo punto io mi fiderei più di Erode, o di Emma Marrone, la vecchia Amica di papà...
C'è urgente bisogno di mettere in regola la casa, imbottire gli spigoli vivi e coprire le prese della corrente, e non certo per il proteggere il piccolo, che mi sembra il più responsabile dei tre. Non si capisce bene se si tratti dello spot di un'applicazione o di una pubblicità progresso per la prevenzione degli infortuni domestici...
In ogni caso, per chi se lo stesse chiedendo, quello lì non è il vero Santiago De Martino: sarà anche nato ieri, ma ha pensato bene di farsi sostituire da uno stuntman. Mica scemo.

giovedì 28 novembre 2013

La Biblioteca Classica di Raffy: Come on Barbie, let's go party!

 
La cantante degli Aqua non è stata la prima norvegese a dichiarare di sentirsi una Barbie girl. Prima di lei c'è stata Nora Helmer, la protagonista di Casa di bambola (Et dukkehjem)*, il dramma ibseniano che ha scosso le fondamenta della borghesia europea di fine Ottocento, un terremoto il cui epicentro è un insospettabile, sobrio salotto di Oslo. Qui fa ritorno canticchiando la padrona di casa, stanca ma felice, dopo un'estenuante mattinata di shopping natalizio.
Immaginate il freddo che si porta addosso. Si sfrega le mani e, senza neanche togliersi il cappotto, ritorna ad ammirare con febbrile entusiasmo i regali che ha comprato. "Gorgheggia lì fuori l'allodola?" domanda dallo studio la voce dell'avvocato Helmer, suo marito. "Proprio così" trilla Nora, aprendo un paio di pacchetti. "Quand'è venuto a casa lo scoiattolo?" chiede ancora Helmer, senza staccarsi dalla scrivania. "In questo momento" squittisce lo scoiattolo, poi rosicchia in tutta fretta un dolcetto, nasconde l'incarto e lo chiama, senza trattenere l'eccitazione: "Torvald, vieni a vedere i miei acquisti."
Innanzitutto, per noi gente di mare... Mediterraneo, che siamo abituati a immaginare i nordici come algidi e austeri, fa un po' strano sentir parlare un norvegese come Ned Flanders, un "trottolino amoroso" tutto "pucci pucci." Ci saremmo aspettati i ghiacci perenni, non certo la ghiaccia reale.
Ciò che più non convince di queste prime battute, però, è che a pronunciarle siano un marito e la madre dei suoi figli. Torvald la vezzeggia, la rimprovera bonariamente per le spese eccessive, la coccola, le lancia occhiate torve quando esagera con i dolcetti, fa sfoggio di un melenso campionario di nomignoli ornitologici, e infine cede ai suoi capricci perché gli spezza il cuore vederla col broncio. Il loro si direbbe piuttosto un rapporto padre-figlia. Quasi non ci sorprenderemmo se Torvald la lasciasse ballare sui suoi piedi come farebbe un papà.
Nora, d'altronde, è perfettamente a suo agio nel ruolo di moglie-bambina: per lei la felicità è rivestita di glassa, o morbida come pelliccia di visone, se non tintinnate come un borsello pieno di corone da spendere.  Leziosa e civettuola, dei bambini ha anche l'egoismo e la spontaneità quasi brutale. Non si rende nemmeno conto (o forse sì?) di sbattere in faccia la sua felicità alla sua vecchia amica di scuola, ridotta sul lastrico, vedova e senza nemmeno il conforto dei figli. E al dottor Rank, l'amico di famiglia palesemente invaghito di lei, dispensa sorrisi e dolci colpetti inferti con le sue nuove calze color carne (ci manca solo lo spogliarello in stile Sofia Loren), del tutto inconsapevole delle emozioni che innesca.
Il salotto degli Helmer è "arredato con gusto, ma senza lusso." Non ci saranno dunque divani leopardati o tappeti zebrati, ma è a tutti gli effetti una giungla. E la prima, fitta, foresta pluviale che ha preso possesso della casa è senza dubbio quella dei sentimenti, un groviglio inestricabile. A partire dai disequilibri della coppia.
In occasione di un ballo in maschera, Nora si veste da napoletana e fa arrossire tutti gli uomini presenti esibendosi in una provocante tarantella, finché Torvald la rapisce e la trascina di peso a casa, non vedendo l'ora di dedicarsi ad altri, più intimi, balli di coppia: "E' pur bello trovarsi di nuovo fra le proprie pareti... solo con te. Oh, creatura mia deliziosa e cara!"
"Torvald, non guardarmi così!" protesta debolmente Nora.
"Non dovrei guardare il mio bene più caro, guardare tutto lo splendore che mi appartiene, tutto mio, soltanto mio? [...] Sai, quando sono in società con te, sai perché ti parlo così poco, ti sto lontano, ti mando solo ogni tanto un'occhiata di soppiatto? Sai perché faccio così? Perché mi figuro che tu sia la mia amante segreta, la mia segreta sposa e che nessuno immagini come fra noi due ci sia un segreto. [...] E quando poi stiamo per allontanarci e io avvolgo nello scialle le tue spalle giovani e tenere, questo tuo collo meraviglioso... mi figuro allora che tu sia la mia giovane sposa e che stiamo uscendo dalla chiesa, che ti porto per la prima volta in casa mia, che sono la prima volta solo con te... solo, solo con te, mia giovane bellezza tremebonda! Tutta questa sera ti ho desiderata. Quando ti ho visto turbinare, così seducente, nella tarantella, mi sono sentito ribollire il sangue; non ne potevo più... e perciò ti ho riportata a casa così presto..."
Torvald, portavoce della borghesia emergente, classe sociale che si fregia orgogliosamente del diritto alla proprietà privata, rivendica in questi termini il possesso di sua moglie. Con una confessione che mette i brividi, trasforma l'incontro nel talamo nuziale da scambio d'amore tra marito e moglie, che è quanto di più legittimo possa esserci, in uno squallido segreto. Dichiara, in altre parole, di vivere la sessualità come una quotidiana violazione, il perpetrarsi giornaliero di un rito sanguinoso, la rievocazione della prima, traumatica notte di nozze. Niente lo attrae di più che vedere Nora "giovane" e "tremebonda", candida sposa ancora immatura e indifesa.

Luce del sole in salotto. Con i suoi malinconici grigi e i colori slavati, il danese
Vilhelm Hammershøi (1864 - 1916), riesce nell'impresa impossibile di ritrarre il silenzio.
Sulla gaia atmosfera natalizia, sull'apparente serenità degli Helmer, però, è già calata un'ombra minacciosa. Il salotto, simbolo di comodo conformismo, è a un passo dall'esplodere e vomitare la sua imbottitura di piume.
Nora, che non perde occasione per sbandierare ai quattro venti la sua felicità, decide, non contenta, di metterla alla prova. Se la Tristana di Galdós non vedeva l'ora di scappare dalla torre in cui l'aveva relegata il suo tiranno, Nora non si ribella al suo "padre-padrone", anzi, vuole saldare ulteriormente questo vincolo con una sfida alquanto pericolosa: contrae un debito illecito con un brutto ceffo per salvare il sedere a Torvald, ma nasconde tutto al consorte, provando così l'ebbrezza della responsabilità. Per lei, però, questo non è che l'ennesimo gioco infantile: giocare a mandare avanti la baracca, a "portare i pantaloni", la pretesa narcisistica di "salvare" il suo Torvald.
Ma quando il procuratore Krogstad la ricatta, mettendo in dubbio la legalità del debito, la "bambola" non tenta di difendersi. Al contrario, confessa il suo reato: aver falsificato la firma del padre. Arma il suo nemico, sicura del fatto che suo marito interverrà prontamente a toglierla dai guai. Non dubita neanche per un istante che Torvald si prenderebbe una pallottola pur di non far torcere un capello alla sua "lodoletta". D'altronde lui gliel'ha fatto credere in tutti i modi, giurandole di esserci sempre per lei, accada quel che accada: "Cerca di riprenderti e di ritrovare l'equilibrio, mio spaventato uccellino canoro. Riposa tranquillamente. Ti coprirò con le mie ali forti. [...] ti terrò come una colomba inseguita che io abbia strappato agli artigli assassini dello sparviero."
Ma a Torvald non funziona il Bat-segnale, proprio ora che c'è bisogno di lui.
Nora, che fino a cinque minuti prima era stata il suo "uccellino canoro", una volta scoperte le carte, diventa una "Disgraziata... cos'hai fatto? [...] Hai distrutto tutta la mia felicità! Tutto il mio avvenire hai annientato. E' orribile solo a pensarci. Sono nelle mani di un uomo senza scrupoli..." E quando, ormai calata nel ruolo della vittima tragica, Nora si dichiara disposta a suicidarsi per espirare la sua colpa, il marito le grida di farla finita con le sceneggiate napoletane e, rivelando un cinismo disarmante, considera ad alta voce che il suicidio della moglie le impedirebbe di scagionarlo da ogni accusa di complicità.
Tuttavia il reato, tutto sommato, non è niente di ché: una firma falsa... capirai! Non parliamo mica di frode fiscale o favoreggiamento della prostituzione minorile (ogni riferimento è casuale). Chi non ha giustificato un'assenza a scuola copiando la firma della mamma?
Di fatti si riesce in poco tempo a trovare un compromesso che metta a tacere il ricattatore. E' tutto a posto, ora: nessuno minaccia di cantare.
"Sono salvo, Nora, sono salvo!" è la ridicola esclamazione di Torvald, dopo aver temuto il peggio. "E io?" pigola lei. "Anche tu, beninteso. Siamo salvi tutti e due, tu e io."
Ma non si è accorto che ormai non esiste più nessun "tu e io."
La delusione di Nora è devastante come una doccia gelata. A dicembre. In Norvegia.
La donna non può fare a meno di ripensare a tutte le volte in cui lui le ha fatto credere di essere sempre pronto a difenderla a spada tratta. Per otto anni di matrimonio l'ha fatta sentire la sua Lois Lane. Nel momento del pericolo aveva sempre creduto di vederlo sfrecciare in suo soccorso: "E' un aereo? E' un uccello? No, è Torvald!"
Ed ora è tutto finito. La tremula colombella scopre che il suo nido non è affatto ben sorvegliato come pensava. Che è sempre stata un canarino chiuso in gabbia. Che papà pellicano non si prenderà la briga di vomitarle cibo nel becco come aveva promesso.
Adesso la "lodoletta" si vede costretta, non senza un certo fastidio, a provvedere personalmente a se stessa, a volare con le proprie ali. Di fronte all'esasperante incapacità del sesso forte di mantenere il controllo e gestire il ruolo di comando che si arroga, Nora comprende di doversi rimboccarsi le maniche: chi fa da sé fa per tre. Non vorrebbe essere indipendente, pensa ancora che sia molto più comodo ottenere tutto ciò che vuole sfarfallando le ciglia e giocando coi bottoni della giacca del marito, ma stando così le cose non ha altra scelta che emanciparsi. Non è ancora una vera femminista, ma le tocca la rogna di interpretarne la parte, abituata com'è, dopotutto, ad indossare un travestimento dopo l'altro: da quello da bambola a quello da popolana napoletana, dalle vesti di mogliettina devota a quelle di femminista improvvisata.
"Tu non pensi e non parli come l'uomo di cui possa essere la compagna. Svanita la minaccia, placata l'angoscia per la tua sorte, non per la mia, hai dimenticato tutto. Ed io sono tornata ad essere per te la lodoletta, la bambola da portare in braccio. Forse da portare in braccio con più attenzione perché t'eri accorto che sono più fragile di quanto pensassi. Ascolta, Torvald. Ho capito in quell'attimo di essere vissuta per otto anni con un estraneo. Un estraneo che mi ha fatto fare tre figli... vorrei stritolarmi! Farmi a pezzi! Non riesco a sopportarne nemmeno il pensiero!"
"Capisco. Siamo divisi da un abisso" bela Torvald, che non solo avrà un due di picche, ma si sveglierà l'indomani solo e con i postumi di una sbronza. "[...] Ma io ho la forza di diventare un altro."
"Forse, quando non avrai più la tua bambola" è la fredda risposta di Nora, prima di uscire di casa e lasciare tutto e tutti.
A questo punto, la bambola ribelle, antepone la propria individualità al suo ruolo di moglie e madre. E tanti saluti.
L'eco di quella porta chiusa con veemenza è il tuono che annuncia il temporale. Se non all'alba, assistiamo quantomeno all'aurora del femminismo.


 Anche le più banali scene di vita domestica, nella pittura di Hammershøi, si
 tingono di un enigmatico senso d'attesa, lasciando che le domande di chi guarda
restino aperte, come le porte oltre cui si perde lo sguardo di questa donna.
Quelle che vi ho proposto in un questo speciale non sono ancora storie di rivalsa, ma esercizi di femminismo, prove generali, primi, meccanici passi lungo la strada in salita della parità tra sessi. Ma si sa, sono proprio i primi passi quelli più difficili.
Per ogni Nora che va via di casa sbattendo la porta con la mezza idea di ritornare, c'è stata qualcun'altra che non ha fatto più ritorno. Per ogni Tristana che sogna di vivere del proprio lavoro ma poi rinuncia ad ogni sua ambizione, c'è stata qualcun'altra ce l'ha fatta.
Dopo aver nascosto una bomba ad orologeria in ogni tranquillo focolare d'Europa, quello che Ibsen e Galdós hanno rappresentato, oltre al femminismo acerbo delle loro protagoniste, è il clamoroso fallimento dell'uomo, la meschinità del "sesso forte."
Ancora oggi si pensa solo a quale tavolo sistemare la donna, a quale posto riservarle, senza mai scomodare più di tanto il maschio alfa. Non ci si dovrebbe preoccupare anche di riscrivere la definizione di virilità, una definizione moderna, che non sia in latino e scolpita sulla pietra o che non sia fatta di grugniti da cavernicoli?
Sembrerebbe che tutto ciò che facciamo, invece, sia solo litigare per il lato del letto in cui preferiamo dormire.

* Bibliografia: Casa di bambola di H. Ibsen, traduzione di Ervino Pocar e introduzione di Roberto Alonge, Oscar Mondadori, Milano 2012. 

martedì 26 novembre 2013

La Biblioteca Classica di Raffy: Tu mi fai girar, tu mi fai girar...

Non capisci quanta perversione ci sia a questo mondo finché non cerchi "Barbie"
su Google. Questa è la più innocente delle fotografie di Mariel Clayton, più nota per

gli scatti in cui ritrae la bambola per antonomasia in preda ad impensabili raptus
omicidi, sanguinarie crisi psicotiche, sbronze epiche o temerarie pratiche erotiche: 

Ken fa quasi sempre una brutta, bruttissima fine.
La piccola Biblioteca Classica di Raffy mette a disposizione le sue umili stanze per dar luogo a un incontro fra due eroine letterarie molto lontane, ma solo geograficamente: la prima, direttamente "dai fio... dai fio... dai fiordi della Norvegia", è Nora, la principale inquilina della Casa di bambola costruita da Ibsen, padre del teatro moderno. La seconda è Tristana*, che non ha mai messo piede fuori dalla sua Madrid, protagonista del romanzo eponimo di Benito Pérez Galdós (che mi azzardo a definire, semplicisticamente, come il cugino spagnolo di Balzac e Tolstoj.) Ma perché mai presentarle insieme?
Non certo perché una è bionda e l'altra è mora. Nate a un decennio di distanza (nel 1879 la prima e nel 1892 la seconda), entrambe, a loro modo, sono state rigirate come bambole nelle mani di un uomo ed entrambe sono state considerate delle antesignane del movimento per l'emancipazione femminile, per quanto il loro sia un femminismo ancora timido e claudicante.
Tristana, "era giovane, bellina, flessuosa e di un candore quasi inverosimile, puro, alabastrino; guance senza colore; occhi neri, più notevoli per vivacità e luminosità che per grandezza; [...] quando si riassettava e indossava la sua vestaglia viola a rosoni bianchi, con lo chignon attraversato e tenuto su da forcine dalla capocchia dorata, era l'immagine fedele della dama giapponese di alto lignaggio. Ma che dire d'altro e di più, se non che l'intera sua persona pareva di carta, carta viva..." Questa diafana principessa delle fiabe, questa geisha dal nome malinconico è un'orfana affidata alle cure di un amico di famiglia, don Lope, un signore che più spagnolo di così non si può: sognatore ed idealista come don Chisciotte, è anche lussurioso come don Giovanni, per di più in piena crisi di mezza età. La sua è una moralità che è tutta un programma: come il nobile cavaliere errante, il vecchio don Lope lotta contro mulini a vento della modernità, professa gli anacronistici valori della cavalleria e difende a spada tratta i più deboli, ma, come il Cavaliere, non è altrettanto cavalleresco - la carne è debole! - con il sesso "debole": non esita ad accogliere la diciannovenne Tristana sotto la sua ala protettiva, le porta di sopra le valige facendo sfoggio di ogni galanteria e le mostra la sua stanza tra carezze e bonarie occhiate paterne, ma prima ancora che la nuova arrivata abbia il tempo di mormorare un complimento di circostanza alla casa, il vecchio rapace l'ha già incantata con la sua parlantina suadente, artigliata, sedotta e privata della sua innocenza. Abusando dell'ingenuità e della passività muñequil ("bambolesca") della ragazza, il consumato seduttore, inorridendo all'idea di perdere colpi, si adopera per fare della sua protetta una concubina, una bambola parlante, un grazioso soprammobile da lasciare a impolverarsi sul comò, e infine il suo ultimo, preziosissimo trofeo.
D'altronde il marpione è in buona compagnia: la letteratura ottocentesca è tutto un pullulare di sudice mani rugose che frugano nella penombra della coscienza in cerca di carni giovanili da palpeggiare. Sono gli stessi impulsi malsani che nel Novecento emergono dal sotto-testo per imporsi con sempre maggiore prepotenza (Lolita di Nabokov). Col nuovo millennio, siamo passati dalle parole ai fatti, nella fattispecie ai fatti di cronaca quotidiana, alle trascrizioni degli sms dei clienti, ai sordidi dettagli e alle smorfie della D'Urso, autentiche quanto un'emoticon di WhatsApp.
Ben presto, però, dopo pochi mesi della sua nuova, claustrofobica vita da olgettina, Tristana comincia a prendere coscienza della sua condizione. Ora capisce cosa si nasconde sotto la giacca da camera alla Hugh Hefner di don Lope e lo riconosce per quello che è veramente: il vecchio viscido che ha approfittato di lei. "Man mano che la stoppa della bambola andavano trasformandosi in carne e ossa," la giovane comincia a provare una sempre maggiore repulsione per il suo tiranno, nutre la sua già fervida immaginazione e prende a vagheggiare la fine della società patriarcale, partendo dalla pretesa di ricevere un'istruzione. Non avendo ancora modelli femminili forti che rispecchino i suoi pensieri "sovversivi", Tristana simpatizza per il più terribile: quando l'insegnante di inglese a domicilio le suggerisce di leggere i capolavori di Shakespeare, sceglie subito Macbeth, facendo sua la frase "Unsex me here!" A gridarla a gran voce è Lady Macbeth, una delle figure letterarie più inquietanti di sempre, che per convincere il marito ad uccidere il vecchio re e salire così al potere, invoca gli spiriti "che presiedono i pensieri di morte" e prega loro di "privarla del suo sesso", ossia di tutte le qualità che fanno di lei una donna, come bontà, pietà e misericordia, in modo da renderla capace di compiere la più sacrilega delle nefandezze. La nobildonna scozzese arriva persino a pregare i demoni di sostituire in veleno il latte del suo petto: da donna creatrice di vita, vuole deliberatamente tramutarsi in fredda dispensatrice di morte. Ora, non è che a Tristana sia mai passato per la mente di affettare don Lope come jamón serrano, ma anche lei, come Lady Macbeth, "rifiuta" il suo genere d'appartenenza: non intende accettare il ruolo che la società dell'epoca impone alla donna. O meglio, non si accontenta delle tre, misere alternative che le vengono offerte: angelo del focolare, attrice o prostituta.

La descrizione di Tristana è un dipinto letterario da ascrivere al Giapponismo,
l'influenza che il Paese del Sol Levante esercitò proprio sull'arte del tardo Ottocento. 
A sinistra La toeletta (Making her toilet) dello statunitense William Meritt Chase,
a destra L'orecchino (Der Ohrring) dell'olandese Georg Hendrik Breitner.
Sarà l'amore del giovane e romantico pittore Horacio ad alimentare le sue speranze di libertà e a farle scoprire i suoi talenti nascosti. Nell'atelier dell'artista, dove sgattaiola ogni volta che don Lope fa la siesta, Tristana inizia a modellare la sua personalità e a collezionare un'aspirazione dopo l'altra: pittrice, ballerina, musicista, interprete... non c'è categoria di Amici per cui non sia disposta a farsi provinare. Horacio e Tristana, novelli Tristano e Isotta, vivono una folle passione clandestina, alle spalle del vecchio farfallone, una passione che si accende anche del sacro fuoco della letteratura: tra un'ode di Leopardi e un'aria di Verdi, i due si innamorano leggendo di Paolo e Francesca, che a loro volta leggono di Ginevra e Lancillotto... altro che Babi e Step!
Galdós doveva saperne qualcosa di innamoramento, o quanto meno doveva aver avuto una lunga esperienza di guardone, perché descrive con incredibile verosimiglianza la loro intimità e ci rende in tutto e per tutto partecipi della loro complicità: sembra quasi di sentire Tristana ridere, stretta ad Horacio, con il viso affondato nell'incavo del suo collo, e non è necessario disporre di grande immaginazione per vederli, sdraiati su una dormeuse, a punzecchiarsi, prendersi in giro e giocare a fare la lotta. Li ascoltiamo parlarsi a distanza di un bacio, scambiandosi parole di una nuova lingua, coniata a loro uso esclusivo, un misto di spagnolo di strada, citazioni colte e vezzeggiativi in italiano: quello che l'autore chiama "el vocabulario de los amantes."
Horacio, deciso a carpare il diem e a liberare Tristana dall'ombra opprimente di don Lope, vorrebbe già correre a prenotare la chiesa prima che qualche altra coppia si accaparri le date migliori, ma lei riesce a intercettare in tempo le partecipazioni: "No, no [...] se trovo un modo per campare, starò da sola. Viva l'indipendenza!... a patto ch'io continui ad amarti e ad essere sempre tua. [...] Di matrimonio neanche a parlarne. Non possiamo accapigliarci su chi deve mettersi le gonne. Se fossi la tua schiava, credo che tu mi ameresti meno e, se invece, ti tenessi in pugno io, il mio amore per te varrebbe ben poco: onorata libertà, questo il mio motto..." Slogan che all'epoca suona come un ossimoro.
Come quello di Paolo e Francesca, anche questo idillio non può durare a lungo: arriva il momento in cui bisogna darci un taglio con "Il mondo è mio" e scendere dal tappeto volante. Mentre Horacio è costretto ad allontanarsi da Madrid per assistere sua zia inferma, i due continuano a scambiarsi roventi lettere d'amore, ma Tristana comincia anche lei a scivolare in una lenta malattia e, caduta ancora una volta sotto l'egida di don Lope, si lascia sopraffare dall'immaginazione. Durante l'assenza del suo amato, inizia ad idealizzare Horacio, lo trasforma in un essere perfetto e disincarnato, "senza rendersi conto di tributare culto a un Dio che lei stessa aveva creato..."
Non voglio dirvi cosa ne sarà di questa "infelice bambolina" che sogna di diventare una donna vera. Per saperlo, oltre che, naturalmente, leggere il romanzo, vi basta domandarvi che fine fanno solitamente le bambole...
Al ritorno di Horacio, Tristana non riconoscerà l'essere ideale ed etereo delle sue fantasie, ma vedrà solo un uomo come qualunque altro. Delusa, ma in un certo senso anche rasserenata, rinuncerà alle sue ambizioni, alle sue donchisciottesche manie di grandezza e ai suoi sogni di emancipazione. Troppo avanti rispetto all'epoca a cui appartiene, il destino si affretta a farle lo sgambetto, prima che si spinga ancora oltre...

Come al solito, mi sono dilungato troppo. Il nostro tè letterario prosegue nel salotto buono degli Helmer, a Oslo. Raggiungeteci cliccando qui.

* Bibliografia: Tristana di B. Pérez Galdós, traduzione di Francesco Guazzelli, La Biblioteca di Repubblica, Gruppo Editoriale L'Espresso, Roma 2004; Tristana di B. Pérez Galdós, a cura di Isabel Gonzálvez e Gabriel Sevilla, Ediciones Cátedra, Madrid 2004.  

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