martedì 19 novembre 2013

Bruxelles, ma belle (capitolo secondo)

Dopo avervi lasciato col fiato sospeso per molto più tempo di quanto non sia sadico fare, torno a tessere per voi, con fiamminga dovizia di particolari, l'arazzo istoriato della mia permanenza in Belgio. Se l'aggirarsi di brutti ceffi per le vie di Bruxelles o i movimenti notturni degli insospettabili ospiti di un hotel a quattro stelle non vi hanno ancora sconvolto, aspettate di leggere della nostra spericolata incursione nelle Fiandre, brumoso scenario di quella che è senza dubbio la avventura più densa di mistero che abbia mai vissuto. E dove avrei potuto viverla, se non nella terra natia di George Simenon?
Lo scorso Ognissanti, io e i miei compagni di viaggio abbiamo salutato momentaneamente Bruxelles per dirigerci a Bruges, non immaginando che lo scrittore belga avesse dato alle stampe, tra i suoi innumerevoli romanzi, un giallo intitolato Il viaggiatore di Ognissanti.
"Il tipo della biglietteria mi ha detto che devo riportare il giorno e la data sul biglietto... ma come si scriverà 'giovedì' in francese?" parlottavo tra me e me, in attesa del treno, usando la schiena della mia amica Anny come secretaire. "Jeudi? J-E-U-D-I? Meglio scriverlo in inglese... se non altro perché jeu significa anche 'gioco' e se dovessi sbagliare non vorrei che il controllore mi sghignazzi in faccia: 'ahahahah ha scritto giocodì!'"
Per fortuna il mio francese (appena sauté) non è servito nella fiamminga Bruges (o Brugge), dove non è raro sentire qualcuno cambiare lingua nella stessa frase ("Ja... merci!") mentre si passeggia lungo le morbide curve dei canali, su cui si affacciano i frontoni a gradoni delle antiche dimore mercantili (più gradoni ci sono, più facoltoso era il padrone di casa.) Avrei voluto mostrarvi qualche scorcio in più del centro storico di quest'incantevole piccola Amsterdam, ma, come dice sempre mia madre in tono lamentoso, cotanta bellezza dalle foto "non reeendeee!"

La mia macchina fotografica, però, non ha fallito nell'impresa di immortalare il sinistro protagonista di un giallo fino ad allora rimasto irrisolto. L'occasione mi si è presentata inaspettata mentre stavo misurando a grandi passi l'immenso deambulatorio della Sint-Salvatorskathedraal, allegramente ignaro del fatto che di lì a poco, a distanza di una colonna, mi sarei imbattuto in una vecchia conoscenza, qualcuno che avevo già incontrato a Bruxelles ma che non avrei mai creduto di ritrovare lungo il mio cammino: il tizio con l'impermeabile. L'avrei riconosciuto tra mille, con quell'andatura lievemente lordotica e quel cappotto lungo fino alle caviglie che fa tanto pervertito o venditore di Rolex contraffatti. Era proprio lui, il sinistro figuro che avevo incrociato al Museo di Magritte e in cui ero incappato ancora una volta al Centro Belga dei Fumetti, lo sconosciuto che avevo sognato quella stessa notte e di cui avevo abbozzato persino un ritratto, il Mister X a cui Anny aveva affibbiato il suggestivo nome di Jerôme (quel circonflesso sulla "o" riproduce esattamente l'arco delle sue sopracciglia tratteggiate a china.) Quello era il terzo incontro in due giorni, o forse il quarto: appena qualche ora prima, in effetti, mi era parso di riconoscere la sua pelata lucente tra i turisti appena salpati per un giro in barca, ed ero stato tentato di saltare sulla prima bagnarola e gridare al traghettatore: "Presto, insegua quella barca!", come in un film d'azione. Poi mi sono convinto che si era trattato solo di un abbaglio, e non l'ho fatto, limitandomi a godermi il giretto sulle placide acque dello Zwin, con i cigni che, un po' seccati, ci facevano largo nel canale, mostrandoci in segno di disprezzo i loro vaporosi e candidi sederini.
Ed eccomi lì, poco dopo, nella cattedrale di Bruges, ancora una volta faccia a faccia con l'ignoto. Ero vicino tanto così dallo scoprire finalmente il segreto del tizio con l'impermeabile, i riccioli del gotico brabantino sospesi sulla mia testa come punti interrogativi. La soluzione dell'arcano era a portata di mano: aspettava solo me, dall'altro lato dell'abside. Mi sono avvicinato con non-chalance e ho capito che anche Jerôme doveva avermi riconosciuto, visto il suo sorrisetto da Gioconda. Poi è tornato a fissare la volta a crociera, la braccia incrociate dietro la schiena. L'ho inseguito con andatura da via crucis, fingendomi in preda al rapimento mistico ai piedi di una statua ogni volta che si voltava verso di me, finché non siamo usciti sul sagrato, sotto la volta cupa del cielo novembrino.

"Hai visto chi c'è? Il tipo con l'impermeabile" me lo indica mia madre, quando mi ricongiungo a lei ed Anny, ma senza perdere d'occhio Jerôme. Lo vedo avvicinarsi ad un altro uomo, occhialuto e brizzolato, che studia una mappa della città. Accanto a loro una ragazzina e un bambino, intenti ad addentare, con non poca difficoltà, un waffle straripante di panna.
"Sono una famiglia gay" è stato il verdetto di Mary, dopo aver fatto due più due.
L'aria annoiata dei due bambini, in effetti, era inequivocabile: si trattava di una famiglia. Sotto l'impermeabile, nessun sordido segreto.
Jerôme ha sussurrato qualcosa al suo compagno, ridendo, mentre il suo sguardo saettava di tanto in tanto verso di noi. Quella sfacciata di mia madre l'ha salutato con la mano, per poi puntualizzare: "Quello è un cappotto di fustagno, comunque, non un impermeabile."
In quel momento mi è crollato un mito, come quando il nostro professore di storia dell'arte ci svelò che la scarpetta di cristallo di Cenerentola, nella versione originale della fiaba, era in realtà fatta di vaio (il francese vair, "vaio", fu tradotta erroneamente come verre, "vetro.")
"Sembra un soprabito alla Charles Dickens" ho commentato, una volta ripresomi dalla delusione. "Ed è anche tutto consunto... forse l'ha rubato da piccolo, quando faceva il ladruncolo per conto di Faggin. Sono contento che abbia una famiglia ora, però."
"Mai fatto così tanto gay-watching come in questa vacanza..." ha osservato Anny, stringendosi nella sua sciarpa, mentre Jerôme e i suoi si avviavano lungo la strada che porta al Markt.
"Già... hai notato che tutti i personaggi strambi che incontriamo sono maschi? Neanche fossimo in un fumetto di Tintin..."
Il giorno seguente, svegliati dal vomitare copioso del giapponese della camera accanto (il nostro vicino Totoro doveva aver esagerato con la birra trappista), io e Anny siamo saltati dal letto pieni di entusiasmo e ansiosi di vivere nuove avventure a Gand (Ghent), ma forse saremmo dovuti essere più cauti nell'esprimere desideri, perché già il viaggio di andata si è rivelato un'odissea. Abbiamo trascorso l'intero tragitto in piedi, in un vagone strapieno, spalmati su una famiglia torinese come la salsa tonnata sul vitello. Insieme (noi e la famiglia Ferrero) abbiamo patito il caldo, la fame, la sete e infine una terribile flatulenza (PRRROT!) che si è diffusa nel vagone come una nube tossica. A rendere il tragitto più angosciante ci ha pensato il passeggero accanto a me, un ometto dai capelli sale e pepe, ma con poco sale in zucca, che sussurrava qualcosa in francese all'orecchio di un immaginario interlocutore. A  un certo punto mi ha indicato tre scozzesi in kilt, ridacchiando di gusto. "Almeno stanno più freschi" ho commentato (più che in francese, nell'argot degli zingari di Victor Hugo), provocando un altro scampanellio di risate e un grugnito di piacere al mio nuovo amico, la cui lucidità mentale oscillava quasi quanto il treno. Una volta giunti a destinazione, chissà com'è, l'etimologia della parola fiamminga bestemming ("capolinea") ci è parsa subito chiara.
La sofferenza del viaggio, però, è stata pienamente ricompensata dall'austera bellezza di Gand: le vetrate fiorite dei palazzi art nouveau, quelle gemmate delle chiese gotiche, gli altari barocchi in bianco e nero (che fanno tanto Chanel), gli intonaci delle case (rosso granato, blu oltremare, terracotta, prugna, uovo di pettirosso...), e ancora  i festoni in bassorilievo che incorniciano finestre-cammeo e le mura di mattoni, non a spina di pesce, ma guarniti da stucchi a tema marinaresco. Dalle merlature del castello o dalla cima del campanile, il Belfort, le case sembrano scatole di biscotti, tra cui i tram si snodano come trenini giocattolo in un paese da presepe. Non c'è niente di meglio di seguire il corso del Lei con in mano un cono di patatine fritte bollenti, cullati dallo sciabordio dell'acqua color ferro, mentre nel cielo livido e gonfio i gabbiani gridano notizie dal Mare del Nord...

Meno scomodi del sopraccitato viaggio della speranza, ma altrettanto proliferanti di sottobosco umano, i tragitti in metro a Bruxelles. Sulla linea che porta all'Atomium, io ed Anny abbiamo dovuto prendere posto di fronte a quella che era chiaramente una coppietta di sposi novelli, anche se non proprio giovincelli: lui, barbuto e canuto, non ha fatto altro che tubare per tutto il viaggio in tube con la sua giovane compagna, una Yoko Ono dalla risatina facile, senza trattenersi dal darle una palpatina al didietro.
Qualche stazione più in là, invece, aggrappati ai poggiamano come scimmioni alle liane, un branco di buzzurri italiani, in tuta acetata, marsupio a tracolla e scarpe di Gucci, facevano incauti commenti su una ragazza dalla chioma vermiglia, seduta davanti a loro e immersa nella sussultoria lettura di un romanzo in francese.
"Bona la Rossa" abbiamo sentito mugghiare uno di loro, malgrado lo sferragliare del convoglio.
"Guarda che l'ho vista prima io, la Rossa" ha protestato il ramapiteco accanto, reggendosi con una mano e battendosi il petto col pugno libero.
"Zitto, la Rossa è mia" ha bramito il primo, mostrando i denti al rivale.
"Non credo proprio" ha chiuso la questione la Rossa, chiudendo di scatto il suo libro.
Non so cosa ne sia stato di quei due, i tombeur de femmes, perché a quel punto le porte si sono schiuse per farci scendere: probabilmente i cascamorti saranno cascati come birilli, troppo imbarazzati per badare alla frenata. Sicuramente non sono scesi con noi. Immagino che la casa-museo di Victor Horta, il padre dell'art nouveau, non rientrasse nella lista delle loro priorità.
Non avendone più di integre, ho pensato di prendere in prestito qualche palla dall'
Atomium come supporto grafico per questa classifica dei principali motivi d'ansia
che hanno angustiato l'adorabile Anny durante questo viaggio:
1. Anny dai capelli rossi: "Oddio, ma perché con questa macchina fotografica
 i miei capelli vengono rossi?! Ma sono rossi?! Perché sembro Bree Van De Kamp?!
Ma sono veramente così rossi?!";
2. Scarpe diem: "Iiih, Raffy, guarda, quella tizia ha le Dr. Martens! Hey, basta,
me le devo comprare assolutamente! Appena torno in Italia!" (non le ha ancora
comprate.);
3. Un buon partito: "Uffa, le ragazze di qui sono molto più avvantaggiate nella scelta
del partner! Hanno statisticamente più chance di accalappiare un ragazzo carino!";
4. Fiumi di porpora: "Sento che sta per arrivarmi il ciclo...":
5. Uno sguardo dal ponte: "Madonna, che paura questi ponti! Non perché soffra di
vertigini... ma metti che mi cade giù qualcosa?"
Il momento di tornare a casa, come sempre, è arrivato troppo presto: proprio quando avevo cominciato a sentirmi a mio agio a chiedere informazioni ai passanti brussellesi. Sì, perché i miei primi approcci con gli abitanti del posto non erano stati dei più incoraggianti, come nel caso del mio incontro-scontro con lo scorbutico bigliettaio del Palais Royal. Dopo avergli chiesto se era possibile visitarlo, l'arcigno Gargamella mi ha riposto con uno stizzito: "Mais no! Il Palais Royal è aperto solo ad agosto! Août, A-G-O-S-T-O" Fossi in lui, non ci conterei molto, sul mio ritorno ad agosto. Si meritava proprio un assortimento delle migliori invettive del capitano Haddock, poeta dell'insulto: "Visigoto! Sottospecie di pitecantropo! Broccolo! Canaglia di un bashi-bazouk!", ma ci avrei aggiunto anche qualche francesismo di mia invenzione. Al momento ero così infastidito che proprio non c'ho pensato: il solito esprit de l’escalier! Neanche se gli avessi chiesto di visitare il bagno di casa sua...
A proposito di scortesia e viaggi scomodi, viaggiare con Ryanair è un'esperienza che regala sempre un certo frisson: l'impagabile brivido della deportazione. Senza contare il martellamento delle hostess-vucumprà: "Vuole acquistare un biglietto della lotteria? Le interessa una sigaretta elettronica? Oggi in offerta speciale vendiamo anche nostra madre! Esatto, la mamma di Ryan in persona!"
Non so poi chi li abbia autorizzati a scaraventare nella stiva il mio bagaglio a mano: al posto della mia tazza di Tintin, una volta disfatte le valige, mi aspettavo di trovare solo tanti tin tin tin tin tin...
 
Fin

16 commenti:

  1. La notizia della scarpetta di cenerentola che non era di cristallo mi ha scioccato più di ogni altra cosa, come potrò dormire tranquilla stanotte?!?
    Bruges è tipo una delle cose più adorabili che io abbia mai visto, da ogni angolo che la guardi sembra uscita da una cartolina! E dopo aver visto le foto sono amaramente pentita di aver scelto di perdere un giorno a visitare l'Atomium e altre schifezzuole quando potevo andare a Gand!
    In compenso io ho visto il palazzo reale che non solo era molto bello, ma pure gratis :P
    Ps:adoro i tuoi disegni!

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    1. Ma Grazie!!! :)
      In effetti l'Atomium a me non fa impazzire, ma è uno dei simboli più famosi di Bruxelles perciò ne sarà comunque valsa la pena! :)

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  2. Ahahah: le "puntualizzazioni" di tua madre sono meravigliose quanto le toccanti preoccupazioni di Anny dai capelli rossi.
    Quanto è brutto incontrare degli italiani all'estero, eh? ;-)

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    1. Ahahah non sai quanto è felice mia madre per il complimento: non fa altro che mettere bocca su tutto, figuriamoci adesso! :P
      Gli italiani in vacanza all'estero danno il peggio di sé... Mi riferisco ai latin lover metropolitani ovviamente. I tuoi concittadini sul treno erano simpatici, specie la nonna :)

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    2. mmm... Torinesi simpatici... è un ossimoro ;-P

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    3. Ahahah perché dici così? :D Se andrò a vivere a Torino dovrò chiederti il decalogo delle cose da fare o da non fare per piacere ai torinesi :P

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  3. Io sapevo che la scarpetta di Cenerentola in realtà fu fatta da degli scoiattoli (o forse con la loro pelliccia,non ricordo bene)....
    Comunque..............nuooooooooooooooooo e io che pensavo che Jerôme fosse un agente segreto,un alieno,un maniaco,un serial killer....ci son rimasta male >-<

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    1. Ahahah so che il vaio è una pelle animale ma spero davvero che non sia fatta con la pelliccia degli scoiattoli O_____O
      Comunque anch'io ci sono rimasto male per Jerôme, anche se nel paese medievale in cui viviamo una famiglia gay fa ancora scandalo purtroppo!

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    2. beh,fai conto che io vivo nella Preistoria (Sicilia) dove il solo fatto di non avere nulla contro l'omosessualità (compresi quindi famiglia e figli) ti rende un diverso a gli occhi di molti!
      Però,ammetto che a tutto pensavo riguardo Jerome, tranne all'esser un dolce papà pronto a far annoiare i propri figli in viaggio ^_^

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    3. Ahahahah in effetti sarà buffo come genitore. Mi fa pensare al cartone "Papà gambe lunghe" :D

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    4. Senza offesa,ma "papà gamba lunga" era magro,capellone e figo xD
      Jerome ,invece,non m sembra tanto alto :D

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    5. Ahahahahah, no, il paragone si riferiva all'aura di mistero che lo circonda :D Sono indubbiamente due bellezze diverse...

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  4. Mado fantastico ! Sembro una completa idiota ora XD eccoti pronta un' altra preoccupazione: ma sono veramente cosi idiota? E so gia che la risposta è sì ;) ahahahahah
    comunque, bravissimo come sempre, mi diverto troppo a leggere i tuoi post *_* anny

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    1. Ahahahahah bobo sembreri idiota anch'io se non glissassi sulle mie di preoccupazioni :P O forse lo sembro in ogni caso! :)
      Grazie bobina, anche per l'autoironia che non è mai scontata :***

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  5. Il caro Pedro non si smentisce mai... :)

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    1. Ahahah spero non vi abbia smontato altre fiabe :P

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