martedì 26 novembre 2013

La Biblioteca Classica di Raffy: Tu mi fai girar, tu mi fai girar...

Non capisci quanta perversione ci sia a questo mondo finché non cerchi "Barbie"
su Google. Questa è la più innocente delle fotografie di Mariel Clayton, più nota per

gli scatti in cui ritrae la bambola per antonomasia in preda ad impensabili raptus
omicidi, sanguinarie crisi psicotiche, sbronze epiche o temerarie pratiche erotiche: 

Ken fa quasi sempre una brutta, bruttissima fine.
La piccola Biblioteca Classica di Raffy mette a disposizione le sue umili stanze per dar luogo a un incontro fra due eroine letterarie molto lontane, ma solo geograficamente: la prima, direttamente "dai fio... dai fio... dai fiordi della Norvegia", è Nora, la principale inquilina della Casa di bambola costruita da Ibsen, padre del teatro moderno. La seconda è Tristana*, che non ha mai messo piede fuori dalla sua Madrid, protagonista del romanzo eponimo di Benito Pérez Galdós (che mi azzardo a definire, semplicisticamente, come il cugino spagnolo di Balzac e Tolstoj.) Ma perché mai presentarle insieme?
Non certo perché una è bionda e l'altra è mora. Nate a un decennio di distanza (nel 1879 la prima e nel 1892 la seconda), entrambe, a loro modo, sono state rigirate come bambole nelle mani di un uomo ed entrambe sono state considerate delle antesignane del movimento per l'emancipazione femminile, per quanto il loro sia un femminismo ancora timido e claudicante.
Tristana, "era giovane, bellina, flessuosa e di un candore quasi inverosimile, puro, alabastrino; guance senza colore; occhi neri, più notevoli per vivacità e luminosità che per grandezza; [...] quando si riassettava e indossava la sua vestaglia viola a rosoni bianchi, con lo chignon attraversato e tenuto su da forcine dalla capocchia dorata, era l'immagine fedele della dama giapponese di alto lignaggio. Ma che dire d'altro e di più, se non che l'intera sua persona pareva di carta, carta viva..." Questa diafana principessa delle fiabe, questa geisha dal nome malinconico è un'orfana affidata alle cure di un amico di famiglia, don Lope, un signore che più spagnolo di così non si può: sognatore ed idealista come don Chisciotte, è anche lussurioso come don Giovanni, per di più in piena crisi di mezza età. La sua è una moralità che è tutta un programma: come il nobile cavaliere errante, il vecchio don Lope lotta contro mulini a vento della modernità, professa gli anacronistici valori della cavalleria e difende a spada tratta i più deboli, ma, come il Cavaliere, non è altrettanto cavalleresco - la carne è debole! - con il sesso "debole": non esita ad accogliere la diciannovenne Tristana sotto la sua ala protettiva, le porta di sopra le valige facendo sfoggio di ogni galanteria e le mostra la sua stanza tra carezze e bonarie occhiate paterne, ma prima ancora che la nuova arrivata abbia il tempo di mormorare un complimento di circostanza alla casa, il vecchio rapace l'ha già incantata con la sua parlantina suadente, artigliata, sedotta e privata della sua innocenza. Abusando dell'ingenuità e della passività muñequil ("bambolesca") della ragazza, il consumato seduttore, inorridendo all'idea di perdere colpi, si adopera per fare della sua protetta una concubina, una bambola parlante, un grazioso soprammobile da lasciare a impolverarsi sul comò, e infine il suo ultimo, preziosissimo trofeo.
D'altronde il marpione è in buona compagnia: la letteratura ottocentesca è tutto un pullulare di sudice mani rugose che frugano nella penombra della coscienza in cerca di carni giovanili da palpeggiare. Sono gli stessi impulsi malsani che nel Novecento emergono dal sotto-testo per imporsi con sempre maggiore prepotenza (Lolita di Nabokov). Col nuovo millennio, siamo passati dalle parole ai fatti, nella fattispecie ai fatti di cronaca quotidiana, alle trascrizioni degli sms dei clienti, ai sordidi dettagli e alle smorfie della D'Urso, autentiche quanto un'emoticon di WhatsApp.
Ben presto, però, dopo pochi mesi della sua nuova, claustrofobica vita da olgettina, Tristana comincia a prendere coscienza della sua condizione. Ora capisce cosa si nasconde sotto la giacca da camera alla Hugh Hefner di don Lope e lo riconosce per quello che è veramente: il vecchio viscido che ha approfittato di lei. "Man mano che la stoppa della bambola andavano trasformandosi in carne e ossa," la giovane comincia a provare una sempre maggiore repulsione per il suo tiranno, nutre la sua già fervida immaginazione e prende a vagheggiare la fine della società patriarcale, partendo dalla pretesa di ricevere un'istruzione. Non avendo ancora modelli femminili forti che rispecchino i suoi pensieri "sovversivi", Tristana simpatizza per il più terribile: quando l'insegnante di inglese a domicilio le suggerisce di leggere i capolavori di Shakespeare, sceglie subito Macbeth, facendo sua la frase "Unsex me here!" A gridarla a gran voce è Lady Macbeth, una delle figure letterarie più inquietanti di sempre, che per convincere il marito ad uccidere il vecchio re e salire così al potere, invoca gli spiriti "che presiedono i pensieri di morte" e prega loro di "privarla del suo sesso", ossia di tutte le qualità che fanno di lei una donna, come bontà, pietà e misericordia, in modo da renderla capace di compiere la più sacrilega delle nefandezze. La nobildonna scozzese arriva persino a pregare i demoni di sostituire in veleno il latte del suo petto: da donna creatrice di vita, vuole deliberatamente tramutarsi in fredda dispensatrice di morte. Ora, non è che a Tristana sia mai passato per la mente di affettare don Lope come jamón serrano, ma anche lei, come Lady Macbeth, "rifiuta" il suo genere d'appartenenza: non intende accettare il ruolo che la società dell'epoca impone alla donna. O meglio, non si accontenta delle tre, misere alternative che le vengono offerte: angelo del focolare, attrice o prostituta.

La descrizione di Tristana è un dipinto letterario da ascrivere al Giapponismo,
l'influenza che il Paese del Sol Levante esercitò proprio sull'arte del tardo Ottocento. 
A sinistra La toeletta (Making her toilet) dello statunitense William Meritt Chase,
a destra L'orecchino (Der Ohrring) dell'olandese Georg Hendrik Breitner.
Sarà l'amore del giovane e romantico pittore Horacio ad alimentare le sue speranze di libertà e a farle scoprire i suoi talenti nascosti. Nell'atelier dell'artista, dove sgattaiola ogni volta che don Lope fa la siesta, Tristana inizia a modellare la sua personalità e a collezionare un'aspirazione dopo l'altra: pittrice, ballerina, musicista, interprete... non c'è categoria di Amici per cui non sia disposta a farsi provinare. Horacio e Tristana, novelli Tristano e Isotta, vivono una folle passione clandestina, alle spalle del vecchio farfallone, una passione che si accende anche del sacro fuoco della letteratura: tra un'ode di Leopardi e un'aria di Verdi, i due si innamorano leggendo di Paolo e Francesca, che a loro volta leggono di Ginevra e Lancillotto... altro che Babi e Step!
Galdós doveva saperne qualcosa di innamoramento, o quanto meno doveva aver avuto una lunga esperienza di guardone, perché descrive con incredibile verosimiglianza la loro intimità e ci rende in tutto e per tutto partecipi della loro complicità: sembra quasi di sentire Tristana ridere, stretta ad Horacio, con il viso affondato nell'incavo del suo collo, e non è necessario disporre di grande immaginazione per vederli, sdraiati su una dormeuse, a punzecchiarsi, prendersi in giro e giocare a fare la lotta. Li ascoltiamo parlarsi a distanza di un bacio, scambiandosi parole di una nuova lingua, coniata a loro uso esclusivo, un misto di spagnolo di strada, citazioni colte e vezzeggiativi in italiano: quello che l'autore chiama "el vocabulario de los amantes."
Horacio, deciso a carpare il diem e a liberare Tristana dall'ombra opprimente di don Lope, vorrebbe già correre a prenotare la chiesa prima che qualche altra coppia si accaparri le date migliori, ma lei riesce a intercettare in tempo le partecipazioni: "No, no [...] se trovo un modo per campare, starò da sola. Viva l'indipendenza!... a patto ch'io continui ad amarti e ad essere sempre tua. [...] Di matrimonio neanche a parlarne. Non possiamo accapigliarci su chi deve mettersi le gonne. Se fossi la tua schiava, credo che tu mi ameresti meno e, se invece, ti tenessi in pugno io, il mio amore per te varrebbe ben poco: onorata libertà, questo il mio motto..." Slogan che all'epoca suona come un ossimoro.
Come quello di Paolo e Francesca, anche questo idillio non può durare a lungo: arriva il momento in cui bisogna darci un taglio con "Il mondo è mio" e scendere dal tappeto volante. Mentre Horacio è costretto ad allontanarsi da Madrid per assistere sua zia inferma, i due continuano a scambiarsi roventi lettere d'amore, ma Tristana comincia anche lei a scivolare in una lenta malattia e, caduta ancora una volta sotto l'egida di don Lope, si lascia sopraffare dall'immaginazione. Durante l'assenza del suo amato, inizia ad idealizzare Horacio, lo trasforma in un essere perfetto e disincarnato, "senza rendersi conto di tributare culto a un Dio che lei stessa aveva creato..."
Non voglio dirvi cosa ne sarà di questa "infelice bambolina" che sogna di diventare una donna vera. Per saperlo, oltre che, naturalmente, leggere il romanzo, vi basta domandarvi che fine fanno solitamente le bambole...
Al ritorno di Horacio, Tristana non riconoscerà l'essere ideale ed etereo delle sue fantasie, ma vedrà solo un uomo come qualunque altro. Delusa, ma in un certo senso anche rasserenata, rinuncerà alle sue ambizioni, alle sue donchisciottesche manie di grandezza e ai suoi sogni di emancipazione. Troppo avanti rispetto all'epoca a cui appartiene, il destino si affretta a farle lo sgambetto, prima che si spinga ancora oltre...

Come al solito, mi sono dilungato troppo. Il nostro tè letterario prosegue nel salotto buono degli Helmer, a Oslo. Raggiungeteci cliccando qui.

* Bibliografia: Tristana di B. Pérez Galdós, traduzione di Francesco Guazzelli, La Biblioteca di Repubblica, Gruppo Editoriale L'Espresso, Roma 2004; Tristana di B. Pérez Galdós, a cura di Isabel Gonzálvez e Gabriel Sevilla, Ediciones Cátedra, Madrid 2004.  

6 commenti:

  1. Uh, io questo non l'ho mai letto, ne lo conoscevo. Sembra interessante e poi io adoro i romanzi-shop opera, come quelli di Tolstoj: dove ti appassioni alle vicende di uno e dell'altro e aspetti sempre una nuova puntata con curiosità.
    Su Nora sono più preparata anche se l'ho letto tanto tempo fa e me la sono sempre immaginata coi capelli bruni (come il piumaggio di un usignolo!). Tra l'altro in questo periodo mi è tornata spesso alla mente... ho sempre il timore di finire così!

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    1. In effetti prima di studiarlo non ne avevo mai sentito parlare. E' stato il primo romanzo spagnolo che abbia letto, tradotto, studiato e su cui abbia sputato sangue... e ci sono affezionatissimo *_____*
      Spero di averti incuriosita! :)
      Quanto a Nora, non credo che Ibsen faccia mai accenno al suo aspetto fisico, ma la immagino bionda perché immagino tutti i norvegesi biondi :)
      A proposito, nel film di Bunuel, Tristana è interpretata da Catherine Deneuve, che è bionda. Cosa che non mi hai entusiasmato, visto che me la immaginavo diversa (e Galdòs la descrive diversa), ma se penso che ho corso il rischio di vedere la Sandrelli al posto della Deneuve, tiro un sospiro di sollievo! :O
      Comunque, dai :) Non pensarci neanche a fare come Nora... Sono sicuro che Mr.Fedo è molto molto meglio di Torvald ;)

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    2. No, di sicuro mr. Fedo è molto meglio! Sono io che non devo impigrirmi nella mia torre d'avorio e trovare una mia strada :-)

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    3. Ah, come ti capisco! Nella torre d'avorio ci si sta una meraviglia! :)

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  2. lo leggeròòòòòò :)
    Bravo Raffino, serio ma anche divertente :*
    Anny

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