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giovedì 30 ottobre 2014

La Biblioteca Classica di Raffy: Chi ha paura di Jane Austen?

Per una ragazza della Reggenza, come Jane Austen, le nozze erano questione di vita o di morte. Rimanere zitelle non era solo una grossa delusione o motivo di imbarazzo nelle riunioni di famiglia, ma era anche una catastrofe economica: un marito era l'unico che potesse salvare una donna dal passare la vita ad elemosinare un tozzo di pane al fratello maggiore (unico erede legale) o a trascinarsi col sedere a terra. Tutto questo spiega perché i romanzi di Jane ruotino quasi esclusivamente intorno ad una torta nuziale. Per le lettrici dell'epoca, insomma, erano dei veri e propri thriller. Altro che Harmony e Il diario di Bridget Jones. Alla fine, quando la protagonista riusciva finalmente a impalmare un ricco baronetto, si provava lo stesso sollievo di quando uno dei personaggi di Final Destination riesce per un soffio a scampare alle grinfie della Morte.
Non che nelle biblioteche dell'epoca mancassero altri libri da brividi: il romanzo gotico era talmente popolare che una giovanissima Jane Austen decise di scriverne una parodia. Il risultato è Northanger Abbey, uno dei suoi romanzi più divertenti e divertiti. Che si tratti di una parodia è già evidente dalla descrizione dell'eroina di questa storia, Catherine Morland, che ha poco a che vedere con le svenevoli, pallide fanciulle che nei romanzi gotici si ritrovano quasi sempre invischiate in una spirale senza fine di misteri, crimini ed orrori. La vita di Catherine non potrebbe essere più noiosa, priva di spaventi e a prova di cardiopatico: suo padre non ha mai pensato di chiuderla a chiave in una stanza, per esempio, e sua madre non è morta di parto come le delicate genitrici delle eroine gotiche. Niente corse a perdifiato giù per scalinate a chiocciola, forzieri chiusi a chiave, apparizioni spettrali o passaggi segreti nascosti dietro la libreria.
Per questo Catherine decide di lasciare la sua banalissima vita di campagna e partire con degli amici di famiglia alla volta di Bath, che più che una città, all'epoca era un grande villaggio vacanze dove, se non un marito, almeno un giro di valzer con un animatore lo rimediavi di sicuro. Subito Catherine si ritrova ad affrontare una prima, agghiacciante prova di sopravvivenza: un affollatissimo ballo con la sua accompagnatrice - la vanitosa signora Allen, a cui interessa solo non sgualcirsi il vestito -, senza conoscere nessuno, senza che nessuno la inviti a ballare, seduta all'estremità di un tavolo già occupato da una numerosa comitiva che non ha la minima intenzione di rivolgerle la parola o di offrirle anche solo una sbeccata tazzina del tè più annacquato. Sembra quasi di sentirlo, l'imbarazzo della nostra eroina, quella sensazione di "essere in disgrazia agli occhi del mondo" descritta con effervescente, irresistibile ironia.
Ma Catherine non sarà sola a lungo. Presto incontra il giovane Tilney, che "se non è proprio bello, ci va molto vicino" e che la conquista col suo spirito e la sua pacatezza. Anzi, col tempo Catherine penserà di aver conosciuto anche troppa gente, tipo la sua amica Isabella, regina dei passatempi vacanzieri (lo shopping, i pettegolezzi sui flirt estivi e l'individuazione dei tipi strambi da deridere), e suo fratello, la peggior razza di maschio, quello che è innamorato della propria voce, che non sa parlare altro che della propria carrozza e di quanto sia veloce il proprio cavallo, e il cui unico interesse è stimare il prezzo delle cose, il conto in banca della gente e la distanza da un posto all'altro (una noia abissale.) Eppure, non so come, ma Jane Austen riesce a tenermi incollato alle pagine anche se i personaggi stanno discutendo della qualità della mussola indiana o dibattendo su quale dei due sessi sia più versato nello stile epistolare.

Una cartolina vintage a tema Halloween.
I giorni trascorrono monotoni a Bath, e Catherine e la sua amica Isabella passano tutto il tempo a leggere romanzi gotici come I misteri di Udolpho di Ann Radcliffe (ne ho scritto una breve parodia qui.) Il signor Tilney, per cui nel frattempo la protagonista si è già presa una sbandata che non vi dico, è sparito dalla circolazione. Non si fa vedere alle terme, nè a bordo piscina, nè al torneo di calcio balilla. Catherine dà per certo che sia stato vampirizzato, o rapito dagli alieni o segregato nella sala delle torture di una sadica nobildonna, e, per distrarsi, si immerge nella lettura dell'equivalente ottocentesco della collana Piccoli Brividi, in attesa che il suo amore riappaia (anche in forma ectoplasmatica.)
Ciò che rende Catherine così simpatica è il suo essere "quasi carina", non particolarmente brillante, ignorantella e, in più, sfigatissima. Per una cosa che le va bene, altre dieci le vanno a rotoli. Le sue disavventure le abbiamo provate tutti, o almeno io le ho provate: passare giorni senza aver un bel niente da fare e poi essere contesi, da un lato, dai tuoi amici e, dall'altro dall'oggetto del tuo interesse amoroso, che pretendono entrambi di vederti lo stesso giorno e alla stessa ora. La tragedia degli appuntamenti mancati, dei rifiuti sofferti, del "se l'avessi saputo prima non avrei preso altri impegni", senza contare la tortura inflitta dalla solita coppietta di piccioncini che pretende di averti con loro per tutto il tempo come spettatore della loro beatitudine, mentre tu vorresti essere altrove, magari a cercare qualcuno con cui tubare a tua volta anziché brillare della loro luce riflessa.
Finalmente, però, rispunta fuori il signor Tilney, più affascinante che mai, e Catherine, zitta zitta, riesce a rimediare, da quella che spera diventi presto sua cognata, un invito a trascorrere un po' di tempo nella tenuta di famiglia, Northanger Abbey. Solo a sentirne pronunciare il nome - Northanger Abbey - la testolina impressionabile di Catherine se la figura già come un rudere medievale, lugubre e misterioso, teatro di efferati delitti e indicibili segreti. E Tilney, quella vecchia volpe, si diverte ad eccitare la sua suggestionabile fantasia, forse conscio del fatto che non c'è miglior scusa della paura per far cadere una fanciulla tra le proprie braccia.
Quando arriva nel luogo tanto vagheggiato, però, la nostra eroina rimane delusa dalla "modernità" di Northanger. In un certo senso è una hipster ante litteram, un'oltranzista del vintage: schifa qualunque mobile o oggetto sia posteriore al quindicesimo secolo. E a giudicare dai suoi discorsi con Tilney su ciò che è pittoresco e su come rappresentare al meglio un paesaggio, non è da escludere che, se avesse potuto, sarebbe stata dipendente dai filtri di Instagram.
Insomma, Catherine Morland è una di noi. Mi è difficile non riconoscermi in lei, soprattutto per quel che riguarda la sua incapacità, tutta donchisciottesca, di distinguere tra realtà e immaginazione. Detto tra noi, il sottoscritto è stato capace di telefonare la sua migliore amica per questo genere di turbamenti:
"Pronto, Anny? Ti disturbo? Sono nel salotto di casa mia, dovrei andare in bagno a fare pipì ma... ho paura."
"Di cosa, Raffy?"
"Di Satana..."
"..."
"E' che sto traducendo dei passi del Paradiso perduto per l'esame di letteratura... Lo sapevo che dovevo farlo di mattina! Di sera mi suggestiono troppo!"
"Raffy! Pensa a qualcos'altro... chessò, al film di ieri con Michael Fassbender?"
"No, Anny, è ancora peggio: ho sempre pensato che Michael Fassbender sarebbe perfetto per interpretare Satana in un'eventuale trasposizione cinematografica del Paradiso perduto. O lui o Bradley Cooper. Anzi no: Sam Worthington. Ce lo vedo proprio, con quegli occhi rivolti al cielo, mentre si solleva in volo da un lago di fuoco..."
"Okay..."
"Tra l'altro c'è un quadro di Franz von Stuck che raffigura l'angelo caduto e gli somiglia da morire!"
"..."
Ma ci sono stati anche casi peggiori, tipo quando ho telefonato ad Anny perché avevo paura della Maddalena Lignea di Donatello, del ritratto del principe de La Bella e la Bestia o dell'evoluzione della specie. Sì, avevo appena finito di sfogliare col mio cuginetto un libro sui dinosauri e, tornando a casa, di sera, completamente solo, sobbalzavano ad ogni rombo di motocicletta pensando che fosse un velociraptor. Sono il tipo di persona che si spaventa persino del trailer di Scary Movie.
Fortunatamente per Catherine, i più oscuri misteri che dovrà indagare a Northanger, tra ipocrisie e atteggiamenti ambigui, non sono che le contraddizioni dell'essere umano.

Illustrazione di Doogie Horner per la copertina di Orgoglio, Pregiudizio e Zombie di Seth Grahame-Smith

martedì 4 febbraio 2014

Terrore Poe-meridiano

Tutti i fatti di seguito narrati
sono realmente accaduti.

Ero solo in casa, posseduto dalla lettura di Poe
e dal libro non staccavo gli occhi nemmeno per un po',
quando d'improvviso il campanello mi fece sobbalzare,
brancolai nel buio corridoio ed inquieto "Chi è?" dovetti domandare.
Sentii il cuore martellarmi in petto dalla paura
quando la risposta giunse squillante eppure oscura:
attraverso la porta udii solo qualcosa come "folletto"
e pensai subito a uno spirito degli Inferi in vena di un dispetto,
o un demone venuto a tormentare il mio solitario meriggio di studio
e del mio terrore folle trovar motivo di perverso tripudio.

Tremante aprii la porta, nascondendomici dietro,
e un alito gelido di cripta si insinuò nel salotto tetro.
Al principio non osai scrutare 'sì profonda oscurità,
ma poi mi feci forza, scacciai ogni residuo di viltà,
e mi risolsi a scoprire quali ectoplasmatiche visioni
volessero interrompere le mie ermeneutiche riflessioni:
in verità era solo un rappresentante della Folletto,
lo ammetto, di piacevole aspetto e vestito da fighetto.
Sul viso avea stampato un sorriso da furbetto,
e il suo taglio di capelli, direi, era perfetto.

Ancor nascosto dietro la porta, col naso appena sporto,
"Non son io il padron di casa" dissi, "se non se n'era già accorto.
Qui il mio unico e solo compito è di guardiano del castello,
e comunque di recente comprammo un aspirapolvere novello."
Il venditore insistette ancora e, non so proprio perché,
ci tenne a farmi sapere di avere anni ventitré.
"Ah, okay" risposi all'allegro commesso,
"Un anno più di me" aggiunsi, alquanto perplesso.
Poi, indovinando il mio disagio, pose fine alle sue ciance e si arrese
non prima di lasciare il biglietto da visita nelle mie mani timidamente tese.

Riattraversando mesto il corridoio, mi soffermai a guardarmi allo specchio,
e non potei non pensare a quanto dei miei anni sembrassi più vecchio.
La cornice ovale formava un cammeo con la mia immagine grama:
una specie di larva in giacca da camera e triste pigiama,
il viso pallido, ombre violacee sotto i miei occhi,
i capelli corvini che parean scarabocchi
e mossi da chissà quale brezza sovrannaturale,
che al vederli per poco non mi misi ad urlare.
Dinanzi a un siffatto ritratto da far raccapriccio,
compresi che di Natura ero un crudele capriccio.

Con tutta l'anima in fiamme per tali angosce ed orrori,
riflettevo sul destino che spinge a bussar alla mia porta ignari visitatori
col solo scopo di ricordarmi quanto io sia impresentabile...
Senz'altro il diabolico corvo di Poe sarebbe stato ospite più desiderabile.
Mai più farsi sorprendere in deshabillé o in una lisa vestaglia blu.
Solennemente giurai: "Che non avvenga mai più."

lunedì 28 ottobre 2013

Rendez-vous con gli dei Vudù


Aspettando Halloween, un post da mandar giù in un sorso come un chupito di rum.
E' da tempo immemore che non scrivevo di curiosità pseudo-educative come l'illuminante Guida semiseria alle lingue inventate e/o segrete,  perciò penso sia davvero arrivato il momento di risollevare il livello culturale di questo pretenziosissimo blog, e lo farò iniziandovi, che lo vogliate o no, ad uno dei più affascinanti, inquietanti, ma anche spiritosi (e spiritici) credo del mondo. Dimenticate zombie e bamboline: quelle zozzerie le fanno solo i bokor, cioè gli stregoni malvagi. In realtà  ho appreso che il Vuduismo è una religione orientata verso il bene, come qualunque altra (dichiara di essere). In più è estremamente fantasiosa e sicuramente unica nel suo genere: prendete delle antiche divinità africane appena sbarcate ad Haiti dalle navi negriere, mixatele con i santi cattolici dei colonizzatori, aggiungete al tutto fiumi di rum e shakerate a ritmo di calypso...
Cosa otterrete? Un curioso sincretismo religioso noto come Vudù.
Se gli schizzinosi dei greci non rinunciano mai all'ambrosia per soddisfare i loro palati raffinati, gli dei Vudù hanno gusti molto più semplici e non dicono mai di no ad un drink. Più che assemblee sull'Olimpo le loro sono riunioni degli Alcolisti Anonimi, sebbene poco riuscite: i vuduisti offrono alle loro divinità libagioni di bevande alcoliche e persino omaggi in sigarette e sigari. Ogni nume, inoltre, ha le proprie preferenze: c'è chi esige il rum on the rocks e chi invece i soft-drink, chi accetta solo sigarette senza filtro e chi non può rinunciare a un bel Romeo y Julieta. Buone notizie per gli amanti degli Appletini: nessun dio sembra preferirli, perciò scoliamoceli pure a volontà senza temere di incorrere nell'ira divina.
Insomma, gli dei Vudù, in generale, hanno un modo di fare più rilassato, easy-going e informale rispetto ai colleghi barbuti e perennemente accigliati di altre professioni religiose: niente ordini dall'alto, richieste a trabocchetto (tipo "uccidi tuo figlio per me") o anatemi biblici (tipo "Eva, tu partorirai nel dolore"), ma piuttosto un amichevole "Che c'hai una siga?". I fedeli li chiamano con epiteti affettuosi come "Mamma", "Papà", "cugino" o "signorina", e loro d'altronde non si prendono mai troppo sul serio: sono sboccati, narcisisti, sessualmente disinvolti e un po' irascibili, ma anche bonari e generosi. Il modo in cui sono rappresentati potrebbe sembrare quasi caricaturale all'occhio di noi europei, abituati ad aureole occhiute e tuniche bianche (alcuni, a dire il vero, sembrano appena rientrati da un concerto dei Village People, tipo Agwe), ma al di là del sorriso che può suscitare, questa pratica rivela tragedie come la deportazione, la schiavitù e la povertà. Per questo molte divinità hanno chiaramente una funzione consolatoria.
Innanzitutto i loa (gli dei) sono tantissimi, tutti al servizio dell'elusivo dio supremo, Bondyeu (dal francese bon dieu, "buon dio"). Ecco qui riuniti per l'aperitivo i più pittoreschi:
Erzuli Freda è la loa che dell'amore, della fertilità, della danza, del lusso e dei fiori. Immagino non faccia altro che abbassare la tavoletta del water e raccogliere da terra un'infinità di calzini sporchi, dato che ha ben tre mariti: Damballa, Agwe e Ogoun. Civettuola e vanitosa, adora ricevere in dono gioielli, dolci, profumi e liquori. Veste di rosa e disegna cuoricini dappertutto. Come ogni casalinga disperata, però, Erzuli Freda è intimamente insoddisfatta. Sente che nella sua vita immortale manca qualcosa, per questo essere posseduti da lei è un po' come prendersi una sbornia triste: piangi, sospiri e ti strusci troppo affettuosamente con qualunque straccio d'uomo ti capiti tra le mani. E' associata alla Madonna di Lourdes (ma a me ricorda anche Gabrielle Solis: ce la vedo proprio, ad amoreggiare col giardiniere sedicenne nel capanno degli attrezzi.)
La Sirène, una delle dee più famose, conosciuta anche come Mama Wata, è la tipica bellezza al bagno: dalla vita in su una bellissima donna di colore, dalla vita in giù pesce o serpente. Passa gran parte del suo tempo a pettinarsi i capelli (spero per lei che prima almeno se li piastri), agghindarsi e a rimirarsi nello specchio, e non di rado ha rapporti con gli uomini (benché mi azzarderei ad arguire che la sua singolare anatomia le impedisca di cimentarsi nelle pratiche amatorie tradizionali.) Esige però assoluta fedeltà: passi la coda di pesce, ma le corna mai!
E' una maniaca dell'igiene: le si offrono sempre oggetti profumati, come sapone, incenso e pomate. Negli ultimi tempi i fedeli hanno preso a dedicarle persino libagioni di Coca-Cola. E qualcosa mi dice che a lei piacerebbe di sicuro una bottiglietta col suo nome sopra.
Agwe è il dio delle acque, dei pesci e delle piante acquatiche, nonché protettore di pescatori e marinai. Coraggioso e virile, è rappresentato come un ufficiale gentiluomo: un mulatto dagli occhi verdi che, come Sailor Moon, veste alla marinara. E' conteso tra le due dee sopraccitate, entrambe sensibili al fascino della divisa. Coloro che vengono posseduti da lui sono soliti urlare ordini peggio del capitano di Full Metal Jacket e fare il saluto militare. Non mi stupirei se prendessero anche a cantare In the Navy.
Agwe, comunque, si tratta piuttosto bene: gli vengono offerti champagne, modellini navali (ora so cosa fare del mio modellino della Costa Fortuna ricevuto in omaggio), rum, polvere da sparo, cibi speziati e montoni la cui lana è stata tinta di indaco (quanto a richieste strane, batte anche Madonna.) E' associato tanto a San Ulrico quanto all'Arcangelo Raffaele, anche loro tradizionalmente raffigurati con un pesce in mano.
Poi ci sono Erzuli Danto, la loa della maternità, dichiaratamente lesbica, protettrice delle mamme single, e la malvagia Marinette "dalle braccia secche", scheletrica patrona dei lupi mannari. E pensare che da noi, in Italia, lesbiche, mamme single e lupi mannari devono beccarsi gli sguardi di disapprovazione del parroco... altro che divinità tutelari! (Basterebbe anche maggiore tutela legale.)
Come ogni dinastia mitologica, anche i Vudù hanno la loro famiglia Addams: i ghede, un gruppo di dei mortiferi ma più allupati di Gomez e Morticia. Tra i membri illustri, ricordiamo Baron Lacroix ("il barone della croce" in francese), Baron Cimitière ("il barone del cimitero") e Baron Criminel ("il barone criminale"), ma il più famoso è senza dubbio Baron Samedi ("il barone del sabato"), il dandy della compagnia, dio della morte, della sessualità, della magia e degli zombie, rappresentato solitamente come uno scheletro in smoking, con tanto di cappello a cilindro e occhiali scuri. In mancanza di rum e sigarette, accetta volentieri una coppetta di arachidi tostate e un bel caffè forte. Malgrado il fisico "asciutto", questo latin-lover psicopompo rimorchia più di qualunque altro dio Vudù: bazzica tanto i cimiteri quanto i bordelli, il tutto, naturalmente, di nascosto a sua moglie, l'avvenente Maman Brigitte, una delle rare loa di aspetto caucasico, con la pelle candida e due magnetici occhi verdi capaci di ammaliare qualunque mortale, sebbene i francesismi da scaricatore portuale spesso stonino con la sua immagine da fatalona.
Di gran lunga più educata e zuccherosa è Mademoiselle Charlotte, lo stereotipo della donna europea. Ai suoi devoti ordina solo bevande di colore rosa o blu (quindi immagino che la scelta si riduca agli Elisir Rocchetta, alla Gatorade e all'Angelo azzurro, che, diciamocelo, come drink è decisamente demodé.) Questa dea parla solo francese, perciò anche chi ne è posseduto si esprime in tale stucchevole lingua. Capricciosa e volubile com'è, è difficile ottenere favori da lei: sfortunatamente aiuta solo chi le sta simpatico, altrimenti a quest'ora avrei già una laurea in francese. Chissà se c'è un dio hispano-hablante, però...
Infine chiude il corteo Dinclesin, l'archetipo del colonizzatore e dello schiavista: sempre armato di frusta, è "affetto da una strana forma di cleptomania." Il suo trucco preferito consiste nel versarsi il rum nelle tasche senza bagnarsi, il potere "divino" più invidiato dai comuni mortali dopo la capacità di trasformare l'acqua in vino.
Ora che le presentazioni sono concluse, ditemi voi come si fa a non trovare adorabile un pantheon così!
Spero che questo non richiesto rendez-vous con gli dei Vudù sia stato di vostro gradimento, o almeno vi abbia suggerito qualche idea per festeggiare un Halloween diverso dal solito: magari state già pensando a un travestimento da Baron Samedi, a una seduta spiritica, una crociera ai Caraibi o un happy-hour con banane fritte e Havana Zombie (mai cocktail ebbe nome più azzeccato: provare per credere.) Io, anche per quest'anno, eviterò i rituali magici, visti miei precedenti. Sì, so che la rivelazione potrebbe scioccarvi, ma per un po', negli anni più bui della mia preadolescenza, sono stato anch'io un apprendista stregone. Non temete, sono passati secoli da quando ho deciso di chiudere con le ali di pipistrello e gli hocus pocus, un po' per colpa dell'inflazione, che non ha risparmiato nemmeno gli ingredienti per le pozioni, ma soprattutto perché mio padre cominciava a preoccuparsi davvero. Un giorno eravamo in auto, e lui mi guardava con una faccia scura, finché non si è fatto coraggio e, con un tono maledettamente serio, ha cominciato a dar voce ai suoi timori con queste esatte parole: "Come sai, a questo mondo c'è la magia bianca e la magia nera..."
Non so come intendesse continuare il predicozzo perché a quel punto sono scoppiato a ridergli in faccia di gusto: non è il genere di discorso che ti aspetteresti da un padre, e soprattutto non da mio padre. Non mi ha mai fatto il discorsetto "sulle api e sui fiori", figuriamoci se potevo immaginarmi che un giorno mi avrebbe fatto delle raccomandazioni sull'uso eticamente corretto della magia.
Eppure non riesco a reprimere un brivido di paura quando ripenso a quella volta in cui io e le mie amichette, appena tredicenni, chiedemmo all'antica dea celtica dell'amore, Aine, di manifestarsi facendo dividere in tre la fiamma della candela, cosa che - vi prego di credermi - avvenne, e per giunta subito dopo la porta della stanza si chiuse di scatto, mossa da un'improvvisa folata di vento. Senza contare poi la mia incauta, prima e ultima esperienza con una bambolina Vudù, che temo sia stata capace di provocare una frattura alla gamba al mio professore di matematica.
A volte mi faccio paura da solo...

Cliccate qui per scaricare la VERSIONE ILLUSTRATA di questo post,
con le superbe illustrazioni di Clyo (il suo blog: La vita puzza), che non
smetterò mai di ringraziare e idolatrare per questo regalo a dir poco divino!

 
 
Buon Ognissanti e a tutti voi un Halloween da urlo!
Intanto, commento o scherzetto...?


mercoledì 31 ottobre 2012

Un Tea Party con delitto

 
Quale modo migliore per celebrare degnamente Halloween se non ammazzare un amico?
Ovviamente solo per finta, organizzando un tenebroso tea party con delitto: una vittima, un assassino, un'arma del delitto e tanti sospettati. In altre parole, un Cluedo vivente. Quello dei ricevimenti con delitto è una moda dilagante, ma ammetto con profonda vergogna di aver preso l'idea da un episodio di Lizzie McGuire (l'unico di cui io conservi memoria, e grazie al cielo!).
Il mio primo murder tea party è stato un successo inaspettato, vista la mia scarsa esperienza nel territorio del giallo, genere che ho cominciato ad apprezzare solo di recente. 
Per la buona riuscita di un tè con delitto sono fondamentali degli ospiti entusiasti e una trama ben congegnata. Vi propongo la mia, che, considerando la mia scarsa dimestichezza con le detective stories, punta più sul goliardico che sul verosimile: la maliziosa marchesa Marie-Cosette De Mignotte viene ritrovata cadavere sulle rive del lago Sher Loch Ness. La cittadina di Detectiville è sconvolta dalla sua tragica morte e il detective Rafael Cadalso si mette subito all'opera per scoprire il colpevole, riunendo davanti a una fumante tazza di tè i principali sospettati, o meglio, un'affascinante trio di potenziali assassine: una femme fatale sull'orlo della bancarotta, un'androloga afflitta dalle pene d'amore e una ricca ereditiera con un oscuro segreto. Ognuna aveva un motivo per volerla morta, ma chi di loro ha ucciso la marchesa De Mignotte?
Cliccando su "continua a leggere..." potrete dare un'occhiata (e utilizzare a vostro piacimento) l'intero "copione" de Il mistero della marchesa. Nel mio caso, per chiari motivi di misantropia, i personaggi principali sono solo quattro, ma il numero ideale di partecipanti oscillerebbe intorno a dieci. Su questo sito trovate ottimi spunti, trame complete e consigli d'oro per organizzare il/la vostro/a apertivo/tè/cena con delitto, ma vi suggerisco di personalizzare il più possibile la storia e "cucire" i personaggi addosso ai vostri ospiti, enfatizzandone vizi e virtù. Ognuno degli invitati dovrà disporre di una pergamena di presentazione (che include una mappa del luogo e i profili "pubblici" dei personaggi) e una busta segreta contenente tutte le indicazioni necessarie per portare avanti il proprio ruolo.
 
 
Naturalmente, mentre i vostri amici si interrogano a vicenda, si azzuffano, sputano fuori antichi rancori, si pugnalano alle spalle e cercano di correggere il tè del vicino con cianuro e arsenico, servirà anche che li sfamiate. Partendo dalla bevanda protagonista, ho scelto un rooibos, o tè rosso, che ha tutto l'aspetto di un normale tè, ma deriva in realtà da una pianta africana (l'Aspalathus linearis), è privo di caffeina e, secondo la mia spacciatrice, avrebbe un naturale retrogusto di cioccolato. Se il rosso sangue del rooibos non fa per voi, un'ottima alternativa è il classico Gunpowder, il tè verde cinese più famoso, la cui consistenza (come pure il nome) ricordano la polvere da sparo: associazione mentale perfetta per una serata in cui a fumare non sono solo le tazze, ma anche qualche rivoltella.
"Non è quel che sembra" è un criterio da adottare anche nella scelta degli stuzzichini, come nel caso dei muffin inaspettatamente salati o dei soufflé a sorpresa.
 
*Non ponete limiti alla fantasia: un pizzico di peperoncino per un tocco alla
Chocolat (ottimo per un delitto passionale) una spolverata di farina di cocco
per sognare i Caraibi (e paradisi fiscali), o magari qualche goccia di succo
d'arancia
per deliziare gusto e olfatto (mentre si cerca di risolvere un caso di
omicidio con movente mafioso)...

E adesso passiamo al luogo del delitto: la tavola. Quale colore più appropriato per la tovaglia se non il giallo?
I lussureggianti candelabri della nonna (potenziali corpi contudenti) e il classico servizio da tè dei vostri genitori (regalo di nozze dimenticato prima ancora del taglio della torta) è tutto quel che vi ho occorre per trasformare casa vostra nel salotto di Miss Marple.
Per qualche assurdo motivo, frugando nell'ufficio dei miei, ho trovato anche un rotolo di quel nastro rosso e bianco che la polizia usa per delimitare le scene del crimine (non chiedetemi che cosa ci facesse lì, chiuso in un cassetto, perchè questo è un mistero che non sono proprio riuscito a risolvere) e così ho pensato di drappeggiarci la tavola a mo' di macabro festone.

Il risultato finale! (Clicca per ingrandire)
Raccogliete tutti gli indizi e le informazioni utili ai vostri ospiti in una pergamena
(magari chiusa con nastro rosso sangue) che potrà poi fungere anche da segnaposto.
Potete legare alla pergamena anche un piccolo oggetto che rappresenti ognuno dei
partecipanti: io ho scelto una lente d'ingrandimento per il detective, una penna
stilografica per la dottoressa, una rosa rossa per la femme fatale e un anello con
cammeo per la ricca ereditiera.

 Non esiste il delitto perfetto, nè tanto meno il tè con delitto perfetto, ma la cura dei dettagli non è mai troppa. Per esempio, potete richiedere ai vostri ospiti un dress-code retrò (state ancora leggendo Il Tè, non un inserto di Glamour), e creare una play-list a tema (le colonne sonore di thriller e polizieschi famosi come Psycho I soliti sospetti, le sigle di serie televisive storiche come Nero Wolfe, Poirot, Miss Marple, Alfred Hitchcok presenta Un detective in corsia, e infine, per spezzare la tensione, sottofondi musicali dagli inevitabili risvolti comici come Detective Conan, La signora in giallo o Il commisario Rex.)
Un tè col delitto, insomma, è un modo ideale per ammazzare il tempo e la noia. In più... volete mettere l'intima soddisfazione di inscenare l'assassinio del più insopportabile della comitiva?

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