lunedì 20 gennaio 2014

Una serie di accademici accadimenti VII - Volver

"La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda
e come la si ricorda per raccontarla." (Gabriel García Márquez)
Dopo essere stato mandato da Erode a Pilato e da Pilato a Erode, dopo essere stato scaricato come un barile, dopo essere stato sballottato come una palla da ping pong tra università e liceo, dopo aver esaurito le metafore messe a disposizione dalla cultura popolare, dalla lingua italiana e dalla mia immaginazione per rendere l'idea di tutto lo stress causato dalla burocrazia... qualche mese fa sono finalmente riuscito ad iniziare il mio tanto atteso tirocinio, sebbene a quel punto il mio raziocinio fosse già altamente compromesso.
Lo so, è un luogo comune, ma mi convinco sempre più che gli anni del liceo siano stati i migliori della mia vita (un vero e proprio Rinascimento, dopo quell'oscuro Medioevo ormonale chiamato scuola media) e la nostalgia, che edulcora ogni ricordo, mi porta a ripensare a quel solenne edificio di penitente architettura fascista, con polverose librerie, busti di oratori romani finalmente muti e sgabuzzini zeppi di animali impagliati, come ad uno dei pochi luoghi in cui mi sia sentito veramente a casa. Perciò l'idea di un grande ritorno al Liceo, se pure in un'altra scuola (col vantaggio di non dovermi mortificare in un'odiosa tuta slabbrata due volte a settimana) non poteva che elettrizzarmi. Sul serio, non vedevo l’ora di comprarmi una bella giacchetta di un colore deprimente e con le toppe sui gomiti, una di quelle che fanno tanto maestrino.
Trovare un professore del liceo linguistico Don Gallo che mi adottasse come tirocinante, però, è stato più penoso di quanto avessi preventivato, per quanto la scuola fosse convenzionata con la facoltà. Molti non ne hanno voluto sapere, il che per me non ha alcun senso, visto che personalmente non avrei mai rinunciato alla possibilità di avere un aitante giovanotto a mia completa disposizione, un servizievole galoppino che mi regga la borsa e corra ovunque gli si comandi. Inizialmente la professoressa Cuordipietra, l'insegnante di inglese, mi ha lasciato intendere di non avere nulla in contrario ad assumermi come valletto, ma sul più bello si è tirata indietro, mostrandosi del tutto insensibile di fronte al mio labbro tremante alla Oliver Twist. Rifiutato e scoraggiato, umiliato e offeso, dopo una lunga quaresima di circolari ristagnanti e telefonate stizzite, stavo quasi per gettare la spugna. Poi però mi sono convinto a sferrare un ultimo attacco, tirar fuori i cojones e sfondare a colpi d'ariete i cancelli del Don Gallo, accompagnato dal più fido dei miei scagnozzi: "Papi, lascia parlare me. Tu gonfia il petto e sforzati di avere un aspetto minaccioso".
Fortunatamente non c'è stato bisogno di ricorrere alle maniere forti, perché, contro ogni mia bellicosa previsione, la Cuordipietra ci è venuta subito in contro per presentarci l'unica anima pia disposta a prendermi sotto la sua ala protettrice: la professoressa Perengano, docente di spagnolo, che ho capito ben presto essere la più giovane e fashion del corpo insegnanti. Potrei descriverla come un incrocio tra Carrie Bradshaw e la dottoressa Altman, con le quali certamente condivide rispettivamente il senso dello stile e la generosità pedagogica.


Se gli Accademici accadimenti fossero un serie tv, il ruolo della professoressa
Perengano sarebbe interpretato alternativamente da Sarah Jessica Paker e Kim Raver.
La somiglianza con la protagonista di Sex and the City, a dirla tutta, non è che mi abbia sorpreso più di tanto: come ormai saprete, ogni volta che ho a che fare con la Spagna o con lo spagnolo, c'è sempre qualcosa o qualcuno che mi ricorda Sarah Jessica Parker, come la ballerina di flamenco di quel ristorantino di Córdoba o la gigantografia della Parker vestita da matador che ho visto a Madrid.
La Perengano mi ha accolto con un radioso sorriso condito dalle parole di incoraggiamento che aspettavo, e a quel punto ho ritenuto di poter congedare con un cenno il mio intimidatorio genitore. Col suo completo tartan, i pantaloni da cavallerizza e quei lucidi stivaletti neri la professoressa sembrava pronta per una battuta di caccia con Juan Carlos. Una tenuta non troppo fuori luogo, dopotutto, considerando la natura selvatica degli studentelli del primo anno, la prima delle quattro classi con cui ho avuto a che fare e di cui tratteggerò qui di seguito i cuadros de costumbres frutto dei miei studi. 
La mia apparizione ha causato non poca confusione e perplessità tra i novellini, che si sono subito rizzati in piedi, in perfetta sincronia, come un branco di suricati, i musetti curiosi tutti puntati verso di me. "Ma chi è? Un supplente?" ho sentito squittire. "No… per me è l'Ispettore. " Cosa dovessi ispezionare, secondo loro, ancora oggi rimane per me un mistero. "Scusi, ma la Perengano non c'è? E' lei il nuovo professore?" si è arrischiato a chiedere qualcuno. Ci è voluto un po’, ma alla fine sono riuscito a far capire loro che sono uno studente universitario e che non avevano nulla da temere.
La diffidenza iniziale si è ben presto dissipata, cosa che mi ha permesso, in attesa dell'inizio delle lezioni, di osservare con interesse primatologico le abitudini di questa piccola, selvaggia comunità, da me subito soprannominata "La Nursery". Da quanto ho potuto appurare, l'attività preferita dai più è sbeffeggiare un ragazzino ancora implume e in tutto e per tutto identico al Justin Bieber degli esordi. In alternativa, le ragazze - che, come ho scoperto al momento dell'appello, portano tutti nomi di principesse Disney: Esmeralda, Aurora, Ariel, Belle... - trovano particolare diletto nel ripetere all'infinito un rumorosissimo gioco da villani che consiste nel battere i palmi, rigirare fra le dita una colla stick e poi percuoterla sul banco, il tutto alla massima velocità: la mia ipotesi è che si tratti di un'evoluzione moderna del vecchio battimani che accompagnava la filastrocca razzista "Quando io sentire/odore di banana/ subito pensare/all'Africa lontana...", unita ai movimenti acrobatici dei barman professionisti.
Non possedendo le capacità ipnotiche del pifferaio magico, inutile dirvi che mi è riuscito di tenerli buoni solo per cinque minuti. Poi un ragazzino sputato Billy Elliot è rientrato in classe tutto eccitato: "Oh, venite, c'è una rissa in 2°C!". Un annuncio come questo, com'è facilmente prevedibile, ha fatto immediatamente ribaltare a gambe all'aria sedie e banchi, mentre un branco di adolescenti imbizzarriti si è riversato nel corridoio sulle note di Children of the Revolution. O, se preferite, la sigla di "Rossana, dai, pensaci un po' tu."
Malgrado la sete di sangue, il costante sottofondo di risatine e la loro noiosa tendenza a ripetersi, i ragazzini della Nursery hanno immediatamente suscitato in me un senso di tenerezza difficile da reprimere. Il loro preoccupato interesse per aspetti insignificanti della realtà che li circonda ha quasi del commovente. Ad esempio, quel giorno la professoressa aveva pianificato una lezione sulla descrizione fisica ("Allora, ragazzi, 'biondo' si dice rubio, 'rosso' si dice pelirrojo, 'castano' castaño e 'bruno' moreno…") e immediatamente la mano di una ragazzina tutta ricci è scattata in aria: "Professoressa e come si dice in spagnolo quando uno ha i capelli castani ma con alcuni ciuffi biondi?"
"E le meches?" non può fare a meno di domandare la compagna di banco.
"E lo shatush?" chiede ancora un'altra, con una certa apprensione, come se temesse di non poter riuscire a descrivere se stessa senza quella che evidentemente ritiene la sua caratteristica distintiva.
La seconda classe che ho avuto occasione di conoscere, qualche metro più in là lungo il corridoio, non potrebbe essere più diversa dalla Nursery, tanto per età quanto per indole e scelte in fatto di hair-style. Il soprannome poco lusinghiero che le ho tosto assegnato, il Cimitero, deriva dalla prima impressione che ne ho avuto: un dormitorio per apatici liceali in fase terminale, un tetro Purgatorio di neo-punk e rastafariani, con delle capigliature che sono praticamente una variazione sul tema del porpora: per ogni testa una nuance diversa, dal lampone al barbabietola.
Durante un'ora scoperta, però, con mia grande sorpresa, i sepolcri si sono improvvisamente scoperchiati e quelle che credevo statue funerarie si sono ridestate dal loro letargo rivelando insospettate vitalità e vis comica. La leader del gruppo, una ragazza dalla fisionomia cubista e dai penetranti occhi verdi che Almodóvar adorerebbe, quel giorno era determinata a vergare un’infuocata lettera di protesta contro le alte sfere. Il principale destinatario di questo cahier de doléance era l’autoritario Preside, che, a quanto mi hanno raccontato, suole trascorrere gran parte dell'anno scolastico in ammollo "alle terme", ma nelle rare occasioni in cui è presente, si sente in dovere di strafare, finendo così col vestire i panni di un'insopportabile suocera in casa. In effetti ricordo di averlo visto davanti all'ingresso della scuola, scuro in volto, insieme al suo fidato bidello claudicante (una specie di Igor), intento a misurare la larghezza del cancello, per chissà quale arcana ragione. Quando non armeggia col metro da falegname, mi hanno raccontato i ragazzi, pare che giri sotto travestimento per tutto il paese in cerca di studenti disertori, per trascinarli in classe per le orecchie. Altre volte, invece, mi hanno assicurato preferisca appostarsi al primo piano per nascondersi dietro le tende e fotografare dalla finestra i ritardatari, per poi subito fingere di schiacciarsi un punto nero quando qualcuno se ne accorge.
"Non ne possiamo più!" ha sospirato una ragazza dai capelli color borgogna.
"Vuole anche installare delle telecamere nel parcheggio..."
"E' arrivato il Grande Fratello!" ha commentato una compagna dalla chioma color prugna.
"... sì, perché è convinto che siamo noi ad avergli graffiato la macchina."
"Vi ricordate quando gli attaccarono un assorbente sul finestrino?"
"Sì, ma non era usato."
"Ah, be', se non era usato...!" ho esclamato, sollevato da quella precisazione.
Alla stesura della lettera è seguita una deliziosa imitazione del Preside e una descrizione dell’outfit sfoggiato dal suddetto durante una gita scolastica nella riarsa Andalusia, talmente particolareggiata che sono riuscito perfettamente a figurarmelo nella mente: allampanato, col cappellino a proteggerlo dal solleone, la crema solare colante sul naso rosso e grifagno, i fazzoletti infilati nella camicia "per non sudare" e gli impietosi bermuda che mettono in bella vista le gambette secche e gli indegni calzini bianchi.
Un fashion crime del genere non sarebbe stato di certo tollerato nel Gineceo, una classe di sole donne, per quanto le quote rosa siano la maggioranza un po' in tutta la scuola. Se nel precedente loculo prevale il punk e un mood foscoliano, in questa ridente isola di Lemno impera lo stile glam-rock e un sistema matriarcale, al cui vertice ci sono loro: le Modelle, diafane fanciulle dai lunghi capelli fluenti e le gambe tendenti all'infinito, ricoperte da cascate di borchie dorate e ammiccanti strass, avvezze a cambiarsi d’abito durante la ricreazione come neanche le vallette di Sanremo. Sempre sedute in prima fila, Bianca Balti, Bar Rafaeli e una ragazza in tutto e per tutto identica a Laura Chiatti (ma infinitamente meno chiatta, anzi, più mazza della Mazza) governano come primae inter pares questo pacifico, solidale, utopistico regno di Amazzoni.
Immaginate la mia sorpresa quando, nel bel mezzo della lezione, le ho viste tirar fuori dalle loro maxi-bag dei bottiglioni d'acqua da due litri. La ritenzione idrica, d’altronde si sa, è nemica della bellezza. Un giorno o l'altro mi sarei aspettato di vederle scolarsi un boccione intero o direttamente una cisterna.
Sebbene all’apparenza irraggiungibili, non ho dovuto faticare poi molto per entrare in confidenza con loro. Ben presto mi hanno permesso di accedere al backstage e, mentre i make-up artist erano all'opera, mi hanno raccontato della loro tragica gita in Irlanda, in cui si sono ritrovate a dividere una stanza d'albergo in dieci. Non c'è da stupirsi se praticamente ognuna di loro abbia avuto una crisi di pianto: chi lacrimava per un'inopportuna congiuntivite, chi si disperava per via della costipazione, chi singhiozzava per l'unico bagno costantemente occupato e chi si era nauseata fino alle lacrime dopo aver rinvenuto un capello nella sua tazza di latte a colazione (la diretta interessata è pronta a giurare che si sia trattato di "un pelo d'ascella.")
Quanto all'ultima classe di cui vi parlerò, credo che l'appellativo di Bronx sia già abbastanza eloquente. Ogni volta che ci mettevo piede mi sentivo un po' come Whoopi Goldberg in Sister Act 2 o come Antonio Banderas in quel film che probabilmente ho visto solo io, quello in cui deve rieducare una classe di bulletti di periferia a passi di valzer, tango e cha cha chaIo a malapena conosco il passo base della salsa, ma in ogni caso dubito che la cosa mi avrebbe fatto guadagnare punti ai loro occhi, visto lo sguardo di delusione che mi hanno rivolto quando ho ammesso di non sapere come si dica "spacciatore" in spagnolo.
"Profe, lo sa che ieri c'è stata una sparatoria a S...?" ha esordito a bruciapelo una ragazza con l'orecchino al naso, durante l'ora di conversazione con Carmen, la calorosa professoressa madrelingua.
"¡Ay, Dios mio! ¿Y que pasó?"
"Ah, bu, niente... la mafia" ha risposto lei, continuando a ruminare la sua chewing-gum.
"Ah, vale, se è solo la mafia no hay que preocuparse! Ma chi era il bersaglio?"
"Un tipo... lo stavano cercando... in paese lo sapevano tutti..."
"Come lo sapevano tutti?!"
"Avviso a tutta la cittadinanza" le fai il verso la compagna di banco, con voce nasale: "Quest'oggi in piazza alle ore 18.30 si terrà una sparatoria pubblica..."
Mai ci fu morte più annunciata, direbbe García Márquez.
In ogni caso Carmen si è ripresa abbastanza in fretta dallo shock culturale: "Va be', chicos, traduciamola in spagnolo questa cosa, venga. 'Sparatoria' si dice tiroteo."
Tipico degli insegnanti: unire l'utile al delittuoso.
Ora che vi ho opportunamente presentato i quattro scenari delle mie avventure liceali, vi starete senz’altro chiedendo quale fosse il mio ruolo in tutto questo. Sulle prime si può dire che non abbia fatto altro che stare seduto accanto alla cattedra e fissare con sguardo vitreo gli ipnotici leggings a fantasia delle modelle del Gineceo (ne hanno di tutti i tipi: a pois, zebrati, pied-de-poule, a testa di giaguaro...) La mia presenza di muto spettatore, naturalmente, non ha potuto che creare buffi fraintendimenti e suscitare le più fantasiose teorie circa la mia identità e la mia funzione nell’ecosistema del Don Gallo. Per esempio, un dì, al trillo della campanella, il professore di educazione fisica ha fatto irruzione nel Gineceo e, dopo una poderosa stretta di mano, ha cominciato a parlarmi fitto in spagnolo, quasi in completa apnea. Perplesso, ho ritenuto di rispondergli nella stessa lingua e ridere cortesemente alle sue battute. Tra un "¿Qué tal estás?" e "¿Te encuentras bien aquí?", si è lasciato scappare anche un pepato commento sulla posa della professoressa Perengano, che, tutta scintillante nel suo maxi-pull di paillette argentate, si era piegata ad angolo retto sul banco per parlare con la sosia di Laura Chiatti: "¡Qué posición maravillosa!"
Quando però il dongiovanni mi ha chiesto di dove fossi, si è subito scoperto il qui pro quo: era convinto fossi uno studente spagnolo in Erasmus. All'apprendere che invece abito a cinque minuti di treno da lì per poco non mi manda bonariamente a quel paese. In fondo mi capita sovente di suscitare dubbi sulla mia nazionalità: parafrasando l'inno delle sciantose napoletane, "Chi mme piglia pe' frangese, chi mme piglia pe' spagnolo, ma so' nato [non troppo lontano d]a Mola e metto 'a coppa a chi vogl'i."
Fortunatamente, col passare dei giorni, mi sono state affidate sempre maggiori responsabilità, come quella di correggere parte dei compiti in classe della Nursery. E' strano, ma non appena ho preso in mano la penna rossa delle correzioni è come se il suo inchiostro scarlatto sia entrato in circolo nel mio sangue, diffondendo in tutto il mio corpo un'inebriante e fino ad allora sconosciuta sensazione: il Potere.
Grazie al cielo l'Unico Anello non è mai finito nelle mie mani, perché temo proprio che mi sarei lasciato soggiogare dalla sua malefica influenza.
Di tutte le mie mansioni, la maggior soddisfazione, però, è stata vedere i ragazzi più grandi sinceramente interessati alla mia primissima lezione di letteratura spagnola. Credo sia stato il momento più appagante, secondo solo a quella volta che ho sorpreso il tecnico del laboratorio di informatica che esaminava con aria scettica le foto "Prima e dopo la cura" di un sito di pillole dimagranti.
Non pretendo di aver lasciato un'impronta indelebile nelle coscienze di questi studenti, come Robin Williams ne L'attimo fuggente. O di aver ficcato il naso nelle loro vite familiari come Julia Roberts in Mona Lisa Smile o un qualunque professore di una qualunque fiction italiana d'ambientazione scolastica. Ma una cosa è certa: mi mancheranno. Così come mi mancheranno le dissertazioni sussurrate con la professoressa Perengano su quale ragazza del Gineceo abbia il fidanzato più bello o sulla Movida spagnola degli anni '80. Mi mancherà avere un posto dove rifugiarmi ogni mattina, che non sia il gelido petto dell'Alma Mater. Mi mancherà persino lo sguardo di civettuola curiosità che mi riservavano le professoresse di francese mentre passeggiavano a braccetto per i corridoi, come dame di corte a spasso nel Salone degli Specchi di Versailles. E sì, incredibile, mi mancherà anche il Preside, che con quel suo vezzo formale di chiamarmi "professore" mi ha fatto sentire importante. Forse anche loro sentiranno la mia mancanza. Almeno un po'. Almeno per un po'.
Ma adesso sarà meglio che ci dia un taglio con queste melensaggini alla Edmondo De Amicis.

Una serie di accademici accadimenti:
Episodio I - Stranieri e strani estranei
Episodio II - Grandi speranze
Episodio III - Legami chimici
Episodio IV - Studenti esasperati
Episodio V - In balìa della balia
Episodio VI - C'era una svolta
Episodio VII - Volver
Episodio VIII - Senza vergogna
Episodio IX - Chiamatemi (un) dottore

8 commenti:

  1. Fantasticoooooo!!! :') che adorabile, tenero tirocinante!
    Ho riso tantissimo, soprattutto quando è risbucata Sarah Jessica Parker, perchè, è vero, cavolo, ti perseguita quando si parla di Spagna!
    Comunque, come avrai notato, quello che succede nelle fiction non è molto lontano dalla realtà... Chissà se pure in ospedale c'è una vita parallela alla Grey's Anatomy. Magari più in là ti farò un resoconto analogo...;)
    Di certo, Raffy, (anche) come professore saresti perfetto: mi è bastato esaminare la tua lezione di letteratura spagnola per capirlo :) Era meravigliosa! Complimenti :*

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    1. Ahahahahah grazie sbobola :* Sarah Jessica ci mette sempre lo zampino... o meglio, la Manolo Blanhik... :)
      Comunque non vedo l'ora che anche tu faccia tirocinio :P Ti intervisterò approfonditamente e dedicherò un post intero ai retroscena più peccaminosi *-*

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  2. Oh Raffy, quante avventure! Ma adesso...come funziona? torni in università? oppure vagherai di liceo in liceo fino fino a che un giorno non ti sarà concessa una cattedra?
    Insomma: che fine fanno i tirocinanti? dove vanno quando "muoiono"? io mica lo so...

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    1. Ahahahah si tratta di un tirocinio incluso nel corso di studi, perciò tornerò a vagare in facoltà finché un giorno qualcuno non mi darà una laurea ;) È ancora presto per anche solo pensare a trovare una cattedra... :D

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  3. Ti dirò sono sorpresa che tutte le classi che hai trovato non fossero il Bronx, vuol dire che c'è ancora un po' di speranza allora XD

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    1. Ahahahahah non hai tutti i torti :D Meno male... :P

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  4. Letto tutto d'un fiato! Tu nella vita devi scrivere libri, credimi!

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    1. È quello che spero di fare... TI RINGRAZIO tantissimo per questa ventata di coraggio!
      *-*

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