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venerdì 15 maggio 2015

"Il Racconto dei Racconti": lo slow-fantasy di Garrone


Anche se non me le ha chieste nessuno, ecco sei buone ragioni per andare a vedere Il Racconto dei Racconti:

1. Perché il fantasy USA è più stecchito di questo drago
Del logoro, viziato fantasy hollywoodiano francamente non ne posso più. Pur di rimodernare una fiaba trita e ritrita ormai si butta nel calderone qualsiasi cosa, dai rimasugli di Tolkien a fluttuanti animaletti fluorescenti di dubbio gusto (vedi Maleficent e le varie Biancaneve.) Guardate questo bel drago marino morto, invece! Mi ricorda un axolotl, quelle adorabili salamandre eternamente giovani (possono rimanere allo stadio larvale per tutta la vita) che in natura hanno benedetto con la loro presenza solo il lago messicano di Xochimilco, che però purtroppo è sempre più inquinato. 
A differenza di tanti suoi dopati fratelli sputafuoco, il mostro albino di Garrone è schivo, nuota in acque torbide ed ha l'aspetto primordiale di una creatura che è sopravvissuta al diluvio universale ma non alla barbarie dell'uomo, come gli ambientalisti temono possa accadere anche al sorridente axolotl. Mi piace pensare che anche il regista abbia preso spunto da questo curioso animale, il cui nome  impronunciabile, tra l'altro, in nahuatl significa "mostro acquatico". Gliel'avrà suggerito Salma Hayek, che è messicana?

No, non è una giovanissima Romina Power smarrita nell'Alta Murgia.

2. Perché dopo lo slow-food, è tempo di slow-fantasy
Garrone ha scelto di battere un sentiero, quello del fantasy, che in pochi italiani hanno avuto il coraggio di seguire. Possa Il Racconto dei Racconti inaugurare la stagione del fantasy mediterraneo, un fantastico che contrapponga ai patinati colossal d'oltreoceano un incanto più autentico, senza troppi fronzoli e riverniciate di modernità. Perché se il fantasy è sempre stato considerato una primizia dei climi freddi o una rampicante che prospera solo sugli schermi verdi di Los Angeles, non c'è motivo per cui non possa crescere tra le nostre rocce lichenose, fiorire nelle nostre assolate colline o all'ombra dei nostri castelli. 




3. Perché non ci sono (solo) i soliti noti
Fatta eccezione per Vincent Cassel, che recita nella parte di se stesso, e l'onnipresente Alba Rohrwacher, la scelta del cast, come c'era d'aspettarsi da Garrone, non è affatto banale: c'è sì l'ardente bellezza di Salma Hayek, perfetta nei suoi abiti regali, che fanno tanto Isabella di Castiglia, ma anche volti grotteschi, che ricordano gli sdentati sorrisi dei contadinotti brugheliani o i caprichos di Goya già citati altrove. 
Quale yankee, poi, avrebbe scelto per il ruolo dei principi, nati dal cuore di un drago, quei due eterei e rachitici ragazzini, quei due Albini Rohrwacher, quando poteva piazzarci due bei figoni dagli addominali lucidi e scolpiti? 
La vera rivelazione, per me, però, è stata la principessa Viola, Bebe Cave, anche lei una bellezza che poteva essere canonica solo nel Seicento, ma che ai miei occhi si è imposta come il volto più memorabile del film, grazie ad un'espressività che riflette meravigliosamente la luce tragica scelta da Garrone per questo non facile riadattamento.




4. Perché ci sono libri migliori di Cinquanta sfumature da cui trarre un film 
Io di Giambattista Basile e del suo Lo cunto de li cunti o Lo trattenemiento de peccerille (anche detto Pentamerone) non avevo mai sentito parlare prima dell'università. Eppure questa raccolta di fiabe 
seicentesche rappresenta una pietra miliare della cultura europea. Include le primissime versioni di Cenerentola, La bella addormentata e Raperonzolo, ed è a quest'opera che hanno guardato con 
ammirazione tutti i fiabisti successivi, dai Grimm ad Andersen. Era ora, dunque, che qualcuno decidesse di riscoprire questo tesoro sepolto, e forse non poteva esserci epoca migliore di quella neo-barocca in cui viviamo per farlo: non siamo forse smarriti in una realtà labirintica che non riusciamo bene a comprendere, come l'uomo barocco? E non è forse vero che i prodotti artistico-culturali più recenti si reggono in piedi solo fintanto che sono sostenuti da più antiche fondamenta, come avveniva per la letteratura barocca, infarcita com'era di citazioni?



5. Perché è una fiaba genuina e sugar-free
Tornando al Pentamerone, Garrone non ha saputo o non ha voluto rendere sulla pellicola la straordinaria verve comica di Basile, ma ha calcato i toni drammatici e si è soffermato con gusto barocco sugli aspetti più spaventosi e macabri della narrazione popolare. Allo stesso modo ha rinunciato a riprodurre la pirotecnica, originalissima ricchezza linguistica del napoletano, preferendo dialoghi rarefatti e una sceneggiatura brulla come le solitudini che circondano Castel del Monte.
Ciononostante, non si può non riconoscere al regista il merito di aver tenuto fede alla primordiale brutalità, alla violenza e all'irrazionalità della fiaba, che torna alla sua purezza archetipica, senza zuccheri aggiunti. Pur cambiandone significativamente i finali, nonché i nomi di alcuni dei protagonisti (d'altronde "principessa Viola" suona meglio di "principessa Porziella" e "Elias e Jonah" sono più international di "Fonzo e Candeloro"), Garrone riesce a non stravolgere troppo le tre storie selezionate (La cerva fatata, La pulce e La vecchia scorticata), che rappresentano un trittico tutto al femminile: la Fanciulla e il suo traumatico risveglio dall'infanzia all'età adulta, la Madre che deve imparare a distinguere l'amore dal possesso, e infine la Vecchia alle prese con la più amara delle lezioni, ovvero che il corso dell'esistenza non può essere cambiato.



6. Perché un sequel avrebbe senso
Le fiabe del Pentamerone sono ben cinquanta, perciò è giustificabile che Garrone abbia fatto cenno alla possibilità di girare un secondo episodio, o magari una serie. Forse, dunque, la storia continua...

giovedì 5 giugno 2014

Cornuta e contenta

So che è sbagliato, so che tutti ne hanno sparlato, ma io dovevo proprio vederla
Angelina Jolie con due etti di corna in testa...
Non so da dove venga, questa mania di rimodernare fiabe già belle così come sono. Credo da uno strano miscuglio di nostalgia e gigioneria. Questa volta tocca a La Bella Addormentata, storia tra le più amate, interpretata a seconda dei casi come un'allegoria del ciclo delle stagioni o come metafora del conseguimento della maturità sessuale femminile (la puntura dell'ago rappresenterebbe il menarca), anche se a me tutta questa insistenza sul fuso degli arcolai fa pensare che possa essere stata anche una specie di pubblicità progresso medievale contro i pericoli del tetano.
Di questa biografia inedita di Malefica, la stilosissima strega cornuta, si è detto così tanto e se n'è parlato così male che tutto sommato mi aspettavo di peggio. Il film è di gran lunga migliorabile, ma ho trovato interessanti alcune intuizioni, come le origini "naturalistiche" di Malefica nei panni di fata protettrice della brughiera. La "benefica" baby-Malefica (per quanto sia già parecchio inquietante con quelle ali giganti e le corna da caprone) vive a stretto contatto con la terra, in un mondo ancestrale e panteistico. La sua graduale trasformazione in "cattiva" ricorda un po' la diffamazione subita dagli dèi pagani nel processo di cristianizzazione della società: per la regola secondo cui le divinità dei popoli vinti tendono sempre a diventare diavoli per i vincitori, la splendente Diana, ad esempio, da dea della caccia e dei boschi, è divenuta la protettrice delle streghe, che, a loro volta, non sono altro che le giovani sacerdotesse pagane trasformate in vecchie megere. Allo stesso modo le corna, considerate simbolo di fertilità, sono passate a cingere la testa del Diavolo, la cui figura è in tutto e per tutto modellata su quella di dèi campestri e "bestiali" come Pan/Fauno, che il Cristianesimo si è affrettato a demonizzare proprio perché incarnavano la forza incontrollabile della natura. Questa velata contrapposizione tra anarchia pagana e rigore cristiano, per quanto assente nella storia che tutti conosciamo, sembra adattarcisi benissimo se consideriamo che il primo atto malvagio di Malefica è rovinare una festa di battesimo!
Non mi spiego, però, perché chiamarla Malefica anche quando è ancora una fata buona. Non sarebbe stato più opportuno un cambio di nome, un po' come l'angelo Lucifero, che a partire dalla sua caduta è noto come Satana?

Non so cos'avessero in mente quelli della Disney, ma quando Angelina ha spiegato le
ali ho pensato con un brivido al terrificante Lucifero di Franz von Stuck e alle incisioni
di Gustave Doré per il Paradiso perduto.
 
Sedotta, abbandonata e tradita da quella che credeva il suo principe azzurro (le corna le aveva già da prima, però), la fata incattivita si vendica gettando una terribile maledizione sulla piccola Aurora. E fin qui, più o meno rimaniamo sui binari della storia. Senonché Malefica si rivela ben presto una cattiva poco convinta, divisa tra sete di vendetta e rimorso. Un'antagonista voyeurista, che spia l'innocente principessa in attesa che si compia il maleficio ma non si azzarda a torcerle un capello. In altre parole, prende tempo. La ragazza, intanto, vive inconsapevolmente una specie di Truman Show, giostrato da Malefica, che, come un qualsiasi spettatore di Sky, mette "in pausa" Aurora quando vuole, la riprogramma, alterando a piacere il suo ritmo sonno-veglia, finché - sorprendentemente - il suo rancore comincia a sbollire e si fa strada un'insospettabile simpatia per la "bestiolina"...
Insomma, anche senza badare alle corna e alle ali, risulta chiaro che questa Malefica è un personaggio ibrido e complesso. Solo di tanto in tanto balugina il sarcasmo del suo corrispettivo animato. Rispetto al film del 1959, infatti, la Malefica impersonata da Angelina Jolie è molto più istintiva. E' sì crudele, ma come può esserlo un bambino o Madre Natura, per tanto è tutt'altro che incapace di amare.
L'interpretazione della Jolie, quasi inutile dirlo, è magnifica: si sarebbe potuto fare a meno di un bel po' di battute patetiche e della voce narrante, e lasciar parlare solo il suo volto ossuto.
A quanto sembra, comunque, il cachet della signora Pitt sarà stato talmente esorbitante da non permettere di ingaggiare alcun altro attore decente. Elle Fanning è un'addormentata non poi così bella e le doti recitative di attrici di prestigio come Imelda Staunton non riescono a distrarre dal fatto che il ruolo delle Fate Madrine non abbia granché senso in questa riscrittura della storia, visto che non si capisce nemmeno da che parte giochino.
A proposito di fate, personalmente avrei falciato senza pietà tutto quel brulicante sottobosco di folletti deformi, mostri vegetali, elfi alieni e tutti gli altri rimasugli di Avatar e Il Signore degli Anelli. Gli scenari virtuali hanno fatto il loro tempo: non se ne può più. E la cosa peggiore è che tutto questo guazzabuglio di pixel è associato a scene incantevoli che sembrano incise da Gustave Doré (le vedute aeree di Malefica in volo) o ancora dipinte da un preraffaelita (specie le sequenze più cupe, come quelle in cui la strega vaga sola e ferita per i campi, o ancora quando Aurora sgonnella per prati e boschi.) Insomma, per la prossima volta, meno 3D e più John William Waterhouse!

Un'Ofelia di John William Waterhouse. Quando si tratta di dipinge fanciulle che
vagabondano sconsolate per le selve, a Waterhouse non lo batte nessuno.

Maleficent è un film che lascia perplessi. Tutto ciò che possiamo fare è tenere bene a mente che non si tratta de La Bella Addormentata, ma di un'altra fiaba, indipendente dall'originale. Ammesso che ci sia un'originale, visto il passaggio da un anonimo francese a Basile, da Perrault a Grimm, da Tchaikovsky a Walt Disney, con variazioni spesso scioccanti.
In questa fiaba la morale ruota intorno alla fiducia, e re e principi azzurri fanno una magra figura, tutto a vantaggio della solidarietà tra donne. Assistiamo ancora una volta ad una rivalsa contro la matrice certamente patriarcale delle folk-tales, un processo di revisione femminista della fiaba già cominciato negli anni Settanta da Angela Carter e recentemente ripreso sempre più spesso al cinema (basti pensare al finale di Frozen.)
In attesa di sentire la vostra e capire io stesso se debba ritenerlo o no un film da ricordare, ci dormo su, ascoltando la cover di Once upon a dream di Lana del Rey, che con la sua voce velenosa culla gli spettatori rimasti seduti a guardar scorrere i titoli di coda e li trascina dolcemente in sogni al cloroformio...
 

giovedì 12 luglio 2012

Un biglietto per "Biancaneve e il Cacciatore" e una mela avvelenata, per favore

Voglio ricordarla così: catatonica.
Non voglio più sentir parlare di Biancaneve almeno fino al prossimo decennio. E non fatemi più vedere Kristen Stewart con una mela in mano... che sia avvelenata o quella rosso sangue di Twilight. Anzi, non fatemi vedere più Kristen Stewart.
Per lei recitare, respirare e ansimare sono praticamente la stessa cosa. La regina cattiva l'ha rinchiusa in una torre? E lei ansima disperatamente. Si è appena risvegliata da un sonno avvelenato? E ansima per la sorpresa di essere ancora viva. L'hanno appena incoronata regina? E ansima per l'emozione.
Avrà sicuramente problemi di respirazione, oppure pensa che simulare un attacco asmatico ogni cinque secondi sia la chiave per l'Oscar. Ci sei quasi, Kristen, continua così e vedrai che presto, ansante e felice, stringerai la tanto agognata statuetta.
Il bello è che lei si crede anche un'esperta di pranayama...
Un nanetto rimane ferito e lei che fa? Lo tranquillizza invitandolo a fare dei respiri profondi (e, naturalmente, gli fa vedere come si fa). A' Biancaneve, ma guarda che il nano è stato ferito da una freccia, non sta partorendo due gemelli...
Ma andiamo con ordine: partiamo dalla trama: si voleva aggiungere a tutti i costi qualcosa in più alla story-line tradizionale, ma il risultato è un polpettone poco digeribile, un continuo oscillare tra l'horror e la noia. Insomma, o ti viene un infarto, o cadi in catalessi.
Il plot consiste in una continua fuga dagli artigli della perfida regina Ravenna (Charlize Theron). I protagonisti non hanno un attimo per respirare (o, nel caso di Kristen, ansimare).
Senza contare poi le scene del tutto inutili nelle quali assistiamo ai raccapriccianti rituali di bellezza della Regina. Ci metterò un po' di tempo a dimenticare l'immagine di Charlize che emerge dal suo bagno in stile Cleopatra, ricoperta di yogurt magro dalla corona ai piedi.
D'altronde, il film è tutto uno sgocciolio disgustoso: gente che si scioglie in pozze di catrame, lo specchio che si liquefa in una sinistra creatura d'oro fuso...
Insomma, sembra la versione dark dello spot di J'adore, le neveu parfum de Christian Dior.
Se Biancaneve di Tarsem Singh si salvava per gli effetti visivi, i colori sfavillanti dei costumi e le scenografie iperboreo-barocche (clicca qui per la recensione), Biancaneve e il cacciatore è una fiaba andata a male, un trionfo di fango, liquami, muschio e muffe in quantità.
Da Dior a Müller: Charlize Theron fa l'amore con il sapore.
(Da qui in poi potreste incontrare tracce di spoiler.)
Biancaneve finisce prima in un marcescente, paludoso bosco degli orrori, brulicante di insetti e alberi tentacolari, e poi si rifugia in una radura incantata che sembra a metà strada tra il pianeta Pandora e la foresta de Le Cronache di Narnia: funghetti occhiuti, fiori di farfalle, tartarughe coperte di muschio e le fatine più brutte che siano mai apparse su uno schermo cinematografico. Mi è piaciuto però il grande cervo bianco: possente ma vellutato e coccoloso. L'Aslan della situazione, insomma, ma, per fortuna, privo di favella.
Del tutto insensata, poi, è l'aggiunta del piccolo villaggio di palafitte: un cavolo a merenda.
Quanto alla caratterizzazione dei personaggi, la Regina, nella sua misandria e ossessione per la bellezza, può anche essere credibile (soprattutto grazie alle doti recitative di Charlize Theron), mentre Biancaneve è un involucro vuoto, una bella addormentata senza un briciolo di personalità. Gli autori si sono sforzati di giustificare la malvagità di Ravenna ricostruendo un'infanzia traumatica, ma questa accuratezza psicologica manca nel personaggio dei Biancaneve: una che è rimasta chiusa in una torre per tutta l'adolescenza, come minimo un po' sociopatica lo è.
Era stata presentata come una novella Giovanna D'Arco, una Biancaneve guerriera, che lotta per il suo popolo, senza aspettare di essere salvata dal bel Principe Azzurro. In realtà se non muore dopo cinque minuti di film è solo perchè viene salvata da mezzo mondo. Non fa altro che fuggire e ansimare, e la si vede anche recitare il Padre Nostro (che, diciamocelo, stona un po' con l'atemporalità della fiaba). Capirai che eroina femminista...
Kristen Stewart sembra condannata al ruolo della donzella in pericolo. Se nella saga di Twilight è contesa tra il vampiro Edward e il licantropo Jacob, qui ad innamorarsi della più bella del reame sono il cacciatore (Chris Hemsworth, Thor) e il principe (Sam Claflin). Chi dei due sarà il fortunato?
Non fidatevi del titolo: il film lascia molti punti in sospeso, e indovinate perchè?
Biancaneve e il Cacciatore è solo il primo episodio di una trilogia (sento già le vostre urla di disperazione).
Della serie, "come possiamo spillare altri soldi ai fan di Twilight?"

mercoledì 11 aprile 2012

La fiaba barocca di Biancaneve (e i sette centimetri di sopracciglia)

La radiosa Julia Roberts esamina incredula le abominevoli sopracciglia di Biancaneve...
Aiuto! Chiamate l'estetista!
Ma Biancaneve uno specchio l'ha mai visto? Non dico quello delle brame della sua matrigna, ma almeno uno specchietto da borsa...
Durante le due ore di Biancaneve (Mirror mirror, nell'originale) ho fatto davvero fatica a concentrarmi sul film: il campo visivo era completamente ostruito dalle frondose sopracciglia della protagonista (Lily Collins, figlia di Phil). Fortunatamente le magnifiche scenografie, i costumi da sogno e la brillante Julia Roberts nelle inediti vesti (e che vesti!) della cattiva sono riusciti a trarmi in salvo dalla selva oscura di Biancaneve... altrimenti detta l'Abominevole Donna delle Nevi.
Persino lo specchio delle brame (un alter-ego di Julia) evita di soffermarsi troppo sul fatto che Biancaneve abbia superato in bellezza la perfida Regina... probabilmente per evitare l'ilarità generale in sala, anche se si tratta pur sempre di una commedia e io avrei apprezzato tantissimo il gratuito dileggio di Lily Collins.
Sopracciglia a parte, i miei occhi si sono nutriti della lussureggiante, opulenta scenografia, che definirei iperboreo-barocca: dal palazzo reale, una specie di Agrabah innevata (con le cupole a bulbo in stile Cremlino), ai fastosi interni, un trionfo barocco di colonne tortili, stucchi, specchi e sale da ballo che esplodono di colori. Sono i colori violenti della compianta costumista Eiko Ishioka (premio Oscar per Dracula di Bram Stoker), che intona qui il suo canto del cigno.


 "Questa non è la storia di Biancaneve" esordisce il film, e infatti la più bella del reame è senza dubbio lei, Julia Roberts, una regina vanitosa e dispotica, ma schietta nella sua perfidia, con gli ormoni in subbuglio per il petto nudo del principe azzurro e un pungente senso dell'humour: quando il  principe decanta le grazie di Biancaneve, Julia taglia corto con un "Concordo per quieto vivere". Vale la pena guardare il film anche solo per questa scena.


In conclusione, ciò che ricorderò di questo film non è sicuramente la trama, una rivisitazione più o meno originale della fiaba dei fratelli Grimm (che, tra l'altro, non rientra tra le mie preferite). Se volete saperne di più continuate nella lettura, ma attenzione agli spoiler!

sabato 21 gennaio 2012

"La Regina delle Nevi", Disney tira fuori dal freezer un vecchio progetto

Il primo bozzetto della Regina delle Nevi
C'è una grande, grandissima confusione in giro riguardo The Snow Queen, il film Disney ispirato a La Regina delle Nevi di Hans Christian Andersen. Il progetto, più volte accantonato negli scorsi anni (nel 2002, nel 2003 e ancora nel 2010), è stato recentemente "scongelato", per la gioia di tutti i nostalgici delle fiabe.
La Disney ha annunciato un cambio di titolo, Frozen, e ha rilasciato una data, il 27 novembre 2013. Forse questa sarà la volta buona...
Glen Keane (La Sirenetta, la Bella e la Bestia, Aladdin) ha cullato questo progetto per ben dieci anni e, dopo averlo accantonato in favore di Rapunzel, è riuscito finalmente a rimetterci le mani. La colonna sonora sarà affidata ad Alan Menken, premio Oscar per la La Sirenetta, La Bella e la Bestia, Aladdin e Pocahontas e nominato agli Oscar per Il Gobbo di Notre Dame, Hercules, Come d'incanto e Rapunzel.
Insomma, una squadra formidabile si sta mettendo all'opera per realizzare quello che si prospetta un nuovo agghiacciante successo!
Non è ancora ben chiaro se il lungometraggio sarà realizzato con le tradizionali tecniche di animazione a mano o con la Computer Generated Imagery, ma certo è che sarà disponibile in 3D (ormai, un accessorio irrinunciabile... a parer mio, invece, se ne poteva anche fare a meno.) 
Sto già eseguendo la mia personale danza della pioggia (o meglio, della neve) affinchè il film venga realizzato a mano. Sono praticamente cresciuto a pane e cartoni Disney, perciò difficilmente riuscirei a contenere la mia delusione se mi propinassero un altro film computerizzato. Certo, ho adorato comunque Rapunzel, ma vuoi mettere il fascino e la magia dei disegni a mano?
Capolavori indiscussi della casa di Topolino come La Sirenetta e La Bella e la Bestia sono stati realizzati a colpi di matita e una fiaba come La Regina delle Nevi merita lo stesso trattamento.
I presupposti per un film in tecnica tradizionale ci sono. La Disney ha più volte promesso di realizzare un film vecchio stile ogni due anni: perciò, ricapitolando, abbiamo avuto La Principessa e il Ranocchio (tradizionale) nel 2009, Rapunzel (computer) nel 2010, Winnie the Pooh - Nuove avventure nel Bosco dei Cento Acri (tradizionale) nel 2011 (adorabile, guardatelo anche se avete più di sei anni) e per il 2012 è previsto Wreck-it Ralph, quello che si annuncia una schifezza in grafica computerizzata sul mondo dei videogiochi, perciò il 2013 deve essere l'anno della Regina e dell'animazione tradizionale!
Eppure ancora non sono del tutto tranquillo...
La scelta di cambiare il titolo in Frozen ("Ghiacciato", ma se vogliamo, anche "Surgelato") ridesta i miei timori riguardo la tecnica utilizzata: mi ricorda molto quello di un altro film, realizzato al computer, cioè Rapunzel, il cui titolo originale è Tangled, "Intrecciato".
Forse anche voi, come me, vi chiederete che senso abbia cambiare il titolo delle fiabe originali per questi orrendi titoli al "participio passato"...
Facendo un po' di ricerche, ho scoperto che si tratta di una strategia di marketing la cui origine risale a qualche anno fa: La Principessa e il Ranocchio, se pur molto apprezzato, non ha ottenuto il successo sperato dalla Disney e qualche genio ha pensato che sia stata l'eccessiva enfasi sulle principesse ad allontanare i maschietti. Per questo si è deciso di evitare lo stesso errore cambiando il titolo di Rapunzel in Tangled, dando anche ampio spazio al coprotagonsita maschile, Flyn Rider (simpatico, okay, ma un principe non ci avrebbe fatto schifo).
In parole povere, per colpa di qualche marmocchio appassionato di Cars, dobbiamo sorbirci questi titoli orrendamenti storpiati. Anziché fare passi avanti, ne facciamo indietro: nel ventunesimo secolo la società pretende ancora che tutti i bambini giochino con le macchinine e tutte le bambine con le bambole.
La scelta del cambio di titolo ha lasciato perplessi anche molti esperti del settore. Floyd Norman, un animatore Disney e Pixar, ha dichiarto "L'idea di cambiare il titolo di classico come Raperonzolo in Tangled è oltremodo stupida. So già quale sarà l'unico risultato: tutti penseranno che la Disney sia alla disperata ricerca di un pubblico." Anche il critico Justin Chang ha bocciato l'idea, giudicandola una ridicola forzatura, un po' come cambiare il titolo de La Sirenetta in Beached, "Spiaggiata". Di questo passo perchè non cambiare il titolo a tutti i vecchi classici? Biancaneve in "Intossicata", La Bella e la Bestia in "Imbestialito", La Bella Addormentata in "Anestetizzata" e magari Mulan in "Travestito"...
Insomma, ribatezzare Frozen la fiaba de La Regina delle Nevi è un oltraggio che potrei perdonare solo se il film fosse effettivamente realizzato con disegni a mano. Tra l'altro, Frozen è anche il titolo di un thriller di due anni fa!
Staremo a vedere, sperando che la Disney continui a regalarci i brividi d'emozione a cui ci ha abituati!


Per chi dovesse avere poca familiarità con questa fiaba di Andersen, consiglio (oltre a leggere la storia originale) di guardare La Regina delle Nevi del russo Lev Atamanov, premiato al Festival di Cannes e di Venezia nel 1957.
Qui di seguito, la prima parte del cartone, di cui potrete trovare facilmente il seguito su Youtube, e un sunto della storia.



Uno spirito maligno crea uno specchio magico capace di cancellare ogni traccia di bontà in chiunque vi si rispecchi. Divertendosi così a seminare il male nel mondo, il diavolo finisce per romperlo, frantumandolo in milioni di minuscoli pezzi.
I protagonisti della storia sono due bambini, Kay e la sua amica Gerda, che vivono in due case vicine, unite da un giardino sospeso, adorno di rose.
Un giorno la nonna di Kay racconta ai bambini la storia della Regina delle Nevi, la crudele sovrana del gelo e dell'inverno, che vive nell'estremo nord, in un palazzo fatto di ghiaccio.
Un giorno due frammenti dello specchio magico finiscono nell'occhio e nel cuore di Kay, che diventa improvvisamente crudele e aggressivo, anche con sua nonna e con la sua cara amica Gerda.

Giunto l'inverno, Kay decide di uscire a giocare con lo slittino, ma viene rapito dalla Regina delle Nevi in persona, che lo porta con sé nel suo palazzo, al Polo Nord. La Regina bacia Kay due volte, la prima per non fargli avvertire più il freddo, la seconda per fargli dimenticare  Gerda e la sua famiglia. A Kay viene risparmiato un terzo bacio, che lo avrebbe ucciso.
Intanto Gerda, affranta per la scomparsa di Kay, chiede al fiume di condurla dal suo amico, regalandogli in cambio le sue scarpe nuove. La bambina giunge così nella dimora di una vecchia maga che, decisa a tenere per sempre Gerda con sé, le fa dimenticare Kay e fa scomparire tutte le rose del giardino sottoterra, affinché queste non le ricordino il suo amico scomparso. Una rosa, però, innaffiata dalle lacrime della bambina, risorge dalla terra e ricorda a Gerda lo scopo del suo viaggio. Fuggita dalla maga, Gerda incontra un corvo che le dice di aver visto Kay nel palazzo della principessa, ma, una volta entrata a palazzo, scopre che in realtà si tratta del principe, che somiglia molto al suo amico.  Gerda racconta al principe e alla principessa la sua triste storia e i due, commossi, decidono di aiutarla, fornendole una splendida carrozza e abiti caldi per resistere al freddo incombente.
La carozza di Gerda, però, viene attaccata dai briganti e la bambina viene condotta nel loro covo. I briganti vogliono ucciderla, ma vengono fermati dalla figlia del capo, che desidera che Gerda diventi la sua compagna di giochi. La figlia del brigante tiene prigionieri due colombi selvatici e una renna, Bae, i quali, dopo aver ascoltato la storia di Gerda, le dicono di avere visto Kay in Lapponia, nel palazzo della Regina delle Nevi. Impietosita, l
a figlia del brigante lascia liberi Gerda e gli animali, che partono così per la Lapponia. Qui la bambina viene accolta dall'amorevole Donna della Lapponia, che le consegna un messaggio, scritto su un pesce, per la donna di Finlandia, che potrà aiutarla. Quest'ultima, una maga, indica a Gerda la via per il palazzo della Regina e le assicura che per sconfiggerla non avrà bisogno di altri poteri oltre a quello che ha già, la forza dell'amore.
Giunta al palazzo della Regina, Gerda viene fermata da una bufera di neve, ma, dopo aver recitato una preghiera, il suo fiato caldo si trasforma in un angelo che permette alla bambina di entrare. Così Gerda trova Kay da solo, intento nel compito che la perfida sovarna gli ha imposto: comporre all'infinito parole con alcuni frammenti di ghiaccio. Solo se riuscirà a comporre la parola "eternità" Kay potrà essere libero.
Gerda, non riuscendo a contenere la sua gioia, abbraccia Kay e con le sue lacrime scoglie il gelido cuore dell'amico. Ora anche Kay riconosce Gerda e piange, facendo così uscire il frammento di specchio dall'occhio. Mentre i due amici gioiscono, i pezzi di ghiaccio compongono sponteanamente la parola "eternità", liberando Kay. Insieme lui e Gerda tornano a casa, in tempo per godersi l'arrivo dell'estate.

mercoledì 18 gennaio 2012

"Once upon a time", la serie che prende le fiabe sul serio

Il logo della serie su fondale "Foresta Proibita".
Prime impressioni a levar del sole sull'esordio di Once upon a time (o C'era una volta), la serie tv fiabesca da ieri in onda su Fox (anche se l'episodio pilota è stato trasmesso in anteprima il giorno di Natale).

Non male, ma forse le mie aspettative erano troppo alte... visto che gli sceneggiatori sono gli stessi di Lost. Per ora non ho ancora visto... la magia.
In fin dei conti si tratta di un Come d'incanto senza canzoni e senza ironia, se non involontaria: è difficile trattenere una risatina di fronte a personaggi come Geppetto e la Nonna di Cappuccetto Rosso, assolutamente in contrasto con l'atmosfera epica che hanno voluto imprimere alla serie.
Okay, la ABC, la casa di produzione, non è altro che il braccio televisivo della Disney, ma, in ogni caso, scopiazzare dai film disneyani non fa onore alla serie: il mondo reale viene descritto dalla perfida Regina di Biancaneve come un luogo senza lieto fine, esattamente come afferma la malvagia Larissa di Come d'Incanto, e in più l'armadio magico che appare nell'episodio pilota ricorda troppo quello de Le Cronache di Narnia. Scopiazzature? Auto-citazioni? Oppure... boh?
Per chi dovesse cascare dal pero (o dalla pianta di fagioli magici) solo ora, protagonista della storia è la solitaria Emma Swan (Jennifer Morrison, Dottor House) che, costretta dall'assillante figlio appena ritrovato, giunge nella cittadina di Storybrooke per salvare i suoi abitanti, ovvero i personaggi delle fiabe che, a causa di un terribile maleficio, non ricordano nulla della loro identità. Così Cappuccetto Rosso è una provocante cameriera dalle meches scarlatte, Biancaneve una stucchevole maestrina delle elementari in stile Amélie Poulain, il Grillo Parlante uno psicologo impacciato e lo Specchio Magico il direttore del giornale locale, il Mirror, al servizio della malefica Prima Cittadina, alias la Regina Cattiva, e così via...
E' proprio la Regina a non convincermi, a partire dal costume da strega decisamente poco originale fino al suo insipido alter-ego "moderno". E' chiara l'intenzione (assolutamente obbligatoria) di trasformare i flat characters delle fiabe in personaggi a tutto tondo, ma non so quanto questo tentativo possa riuscire...
Sarà che l'attrice che interpreta la cattivona della serie non sembra averne il physique du role. Potrà anche vestire abitini sado-maso alla Brigitte Nielsen di Fantaghirò, ma non è neanche lontanamente minacciosa come ci si aspetterebbe.

La foto non è molto fiabesca, ma mi piaceva. La bionda è Jennifer Morrison
(Emma), accanto Jamie Dornan (Il cacciatore),
a destra Biancaneve e il Principe Azzurro

(Ginnifer Goodwin e Joshua Dallas).
Altra critica riguarda i nomi scelti. Sì, d'accordo, sono ossessionato dai nomi, ma, devo comunque protestare: Emma non è affatto un nome fiabesco! Mi fa pensare più a Jane Austen che ai fratelli Grimm. Ci voleva un bel nome poetico, dal significato immediatamente intuibile, anche banale come Hope, "Speranza" (appropriato visto il ruolo salvifico della protagonista) o qualcosa di floreale e classico come Rose o Lily, o magari, se siamo in vena di arditezze, uno in stile faunistico come Robin, "Pettirosso" (può andare, vista l'ossessione di Biancaneve - e delle principesse in genere - per gli uccellini canterini che rifanno il letto ogni mattina... d'altronde, chi non li amerebbe?).
Insomma, staremo a vedere. Per ora è un sì, ma, almeno per quanto mi riguarda, Once upon a time è ancora in prova. Troppo ingenuo. Vedremo se da ciocco di legno si trasformerà in un serial vero.

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