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lunedì 16 giugno 2014

Canta che lo passi (l'esame)

Il primo special musicale de Il Tè.
Non è orribile come sembra... di più.
C'era una volta un principe che viveva rinchiuso in un'altissima torre. Il suo nome era Rafferonzolo...
Va be', per farvela breve la storia è la stessa di Raperonzolo, solo che di spropositatamente lungo ho solo la barba e al posto della strega cattiva ho una perfida matrigna che mi ricorda ogni giorno di darmi una mossa a laurearmi, mentre mio padre non nasconde di aver preso in considerazione più volte la possibilità di abbondonarmi in un bosco. Malgrado questo, ci sono così tante cose che preferirei fare anziché starmene qui in clausura a liquefarmi sui libri. Tipo leggere altri libri - di quelli che scelgo da solo - o guardare un episodio dopo l'altro di serie tv e sit-com (cadendo in quel sonno simile alla morte che io definisco 'sit-coma'), o anche solo ciondolare senza meta per la casa con la scusa di sgranchire con le gambe gli ingranaggi del cervello (è quello che io chiamo think-walking.) Oh, e mi piace tanto anche coniare neologismi come sit-coma e think-walking per poi registrarli sul mio Dizionario Raffico-Italiano (che ad oggi consta di circa quattrocento voci, tra vocaboli ed espressioni idiomatiche.)
Per un'altra malsana abitudine che mi tiene lontano dallo studio non ho ancora inventato un termine apposito: confesso che potrei trascorrere ore intere a riguardare su YouTube spezzoni di classici Disney. Non so perché lo faccia, ma dopo averne visto uno non riesco più a smettere, e mi piace soffermarmi soprattutto sugli happy ending. Che ci volete fare? "E' che mi piacciono i lieti fini..." Siano danzanti come nel caso de La Bella Addormentata e La Bella e la Bestia, o "al bacio" come Cenerentola e La Sirenetta, ripassare i finali mi aiuta a dimenticare la data dell'appello sempre più prossima e mi regala una sensazione di felicità e appagamento che dura almeno una mezzoretta buona. Amo in special modo il momento dell'apoteosi dei due innamorati, quando parte a poco a poco un crescendo di voci liriche che riprendono il tema principale del film (tipo Parte del tuo mondo ne La SirenettaE' una storia sai ne La Bella e la Bestia) portandolo ad una chiusa trionfale. Dovrei proprio scrivere una canzone in stile disneyano che descriva la mia avvilente situazione sentimentale in modo che, una volta coronato il mio sogno d'amore, venga reinterpretato da un coro del genere. Ho già iniziato a buttar giù qualche nota, ma per il titolo sono indeciso tra Tutti mi vogliono ma nessuno mi prende e Forse il problema sono io.

Anche le mie dita dei piedi emanano splendenti raggi
di luce dopo la pedicure.

Un'altra mia frequente attività alternativa allo studio, a proposito di duetti coi passerotti, è comporre parodie musicali. Una canzone patetica come Immobile di Alessandra Amoroso, ad esempio, si presta perfettamente a dar voce alla sofferenza di chi vede tra sé e la laurea un'infinita serie di esami ancora da sostenere. E' proprio un pezzo catartico, di quelli da urlare a squarciagola fino a otturarsi le vie respiratorie di lacrime miste a muco:

Non farmi immaginare quanto ancora ho da fare,
forse crescere e studiaaaare...
Quanto ancora ho, da daaaareeee
Quanto ancora ho, da faaaaareeee
Quanti esami ho, da dareeeeeeeeeeeeeeeeeee!!!!


Ultimamente, però, nell'attesa di un Bacio del Vero Amore o magari di un Bacio Accademico, provo particolare diletto nel adattare alla lingua italiana canzonette di discinte pop star, un settore della traduzione ancora poco frequentato dai linguisti.


Ad esempio, se fossero nate in Italia, quelle due principesse sul pisello di Shakira e Rihanna, anziché I can't remeber to forget you, farebbero twerking intonando le seguenti parole:

(Parte di Shakira)
Lascio un biglietto
Sul tuo lato del letto
Ho sbagliato, lo so
Un'altra volta no
Faccio sempre così
Quando sbagli tu
Non ci penso più su
Cancello tutto

Ma non mi pento!
Al mondo, sai
Non c'è nessu-
No
Co-
Me sei tu
(Eccoci qua)

RIT

Sei dentro me, sai
Sei dentro me, sai
Dove
Vai tu,
Ti seguo
Ti seguo
Ti seguo
Oh
Oh oh ooh oh oh
Oh oh ooh oh oh
Non mi ricordo di scordarti
Oh oh ooh oh oh
Oh oh ooh oh oh
Anche se so che dovrei dirti addio
Però se guardi me
Ricordo solo che
Ci baciavamo al chiar di luna...
Oh oh ooh oh oh
Oh oh ooh oh oh
Non mi ricordo di scordarti
Non mi ricordo di scordarti

(parte di Rihanna)
Ritorno al tuo letto,
Che sia maledetto!
Ho giurato, lo so
Un'altra volta no
Non lasciare all'oblio
quello che dico io
Ciò che non ti va giù
cancelli tutto

Ma non mi pento!
Non sono stata così sce-
Ma
Mai
Fin-
Ora
(Eccoci qua)

RIT

Che rubi o che uccida lo voglio con me,
Farei ogni cosa per lui
Darei via mia madre per stringerlo a me, sai,
Farei ogni cosa per lui (x2)

RIT

Oh oh ooh oh oh
Oh oh ooh oh oh
Non mi ricordo di scordarti
Non mi ricordo di scordarti

Dio solo sa perché mi trastulli in simili attività, ma di alcuni versi - concedetemelo - sono piuttosto fiero: "Darei via mia madre per stringerlo a me" è il mio preferito. In più questo hobby mi ha portato a riconsiderare l'utilità di paroline come "sai."
Ora che ci penso questo problema mentale credo di averlo ormai da parecchio, perché già durante il liceo avvertii l'inspiegabile urgenza di tradurre la sigla di Heidi in latino ("Heidi, Heidi, tuus nidus in montibus/ Heidi, Heidi, capellae salutem tibi dicunt / Mehercules, hic mundus amoenus est! / Heidi, Heidi... paupera! Parvula! Cum tanto magno corde!")
Una che ha sempre incoraggiato le mie velleità cantautorali è stata la mia amica Anny, collaboratrice nella composizione di numerose ballate goliardiche. Presa dall'entusiasmo del mio innecessario remake italiano di Dark Horse di Katy Perry ("Sai che giochi con il fuoco?/ Ti farai bruciare oppure no?/ Lo scoprirai solo se osi/ Perché come un'onda ti travolgerò..."), si è affrettata a commissionarmi un rifacimento del più lagnoso successo di Lana Del Rey,  Summertime Sadness.


Un bacio prima di andar via,
Malinconica stagione
Sono certa che tu sia
sempre stata la migliore.


Vesto col rosso delle mignotte,
Ballo sola al buio di questa notte.
I miei capelli belli da regina del ballo...
Via questi tacchi - sì, mi sento uno sballo!


Oh
mio Dio
Lo sento attorno a me
Il filo del
Tele-
Fono da sciogliere
Cuore sì, il fuo-
Co brucia ogni cosa
Ma paura non ne ho!


Un bacio prima di andar via,
Malinconica stagione.
Sono certa che tu sia
Sempre stata la migliore.


Sento la depressio, depressione estiva
Ho la depressio, depressione estiva,
Ho la depressio, depressione estiva
ah, ah-ah, ah, ah
...


Come vedete questo lavoro è ancora incompleto e da rivedere in più punti. Ma parallelamente sto mettendo mani anche una parodia della stessa canzone, tutta incentrata sulla piaga universitaria della sessione estiva. Cosa non si fa pur di non studiare.

Wish me good luck before I go,
Summertime session.
I just wanna you to know,
that, mommy, I'll do my best.
[...]
I've got the summertime, summertime session.
Got the summertime, summertime session...
Ah, ah-ah, ah, ah


Sì, lo so cosa state pensando...
E' meglio che torni di corsa alla mia torre e ci dia dentro con lo studio. Farò il possibile per rimanere concentrato, anche se... (coro lirico) quando sembra che... non succeda più, ti riporta via... come la marea... la voglia di cazzeggiar!

giovedì 5 giugno 2014

Cornuta e contenta

So che è sbagliato, so che tutti ne hanno sparlato, ma io dovevo proprio vederla
Angelina Jolie con due etti di corna in testa...
Non so da dove venga, questa mania di rimodernare fiabe già belle così come sono. Credo da uno strano miscuglio di nostalgia e gigioneria. Questa volta tocca a La Bella Addormentata, storia tra le più amate, interpretata a seconda dei casi come un'allegoria del ciclo delle stagioni o come metafora del conseguimento della maturità sessuale femminile (la puntura dell'ago rappresenterebbe il menarca), anche se a me tutta questa insistenza sul fuso degli arcolai fa pensare che possa essere stata anche una specie di pubblicità progresso medievale contro i pericoli del tetano.
Di questa biografia inedita di Malefica, la stilosissima strega cornuta, si è detto così tanto e se n'è parlato così male che tutto sommato mi aspettavo di peggio. Il film è di gran lunga migliorabile, ma ho trovato interessanti alcune intuizioni, come le origini "naturalistiche" di Malefica nei panni di fata protettrice della brughiera. La "benefica" baby-Malefica (per quanto sia già parecchio inquietante con quelle ali giganti e le corna da caprone) vive a stretto contatto con la terra, in un mondo ancestrale e panteistico. La sua graduale trasformazione in "cattiva" ricorda un po' la diffamazione subita dagli dèi pagani nel processo di cristianizzazione della società: per la regola secondo cui le divinità dei popoli vinti tendono sempre a diventare diavoli per i vincitori, la splendente Diana, ad esempio, da dea della caccia e dei boschi, è divenuta la protettrice delle streghe, che, a loro volta, non sono altro che le giovani sacerdotesse pagane trasformate in vecchie megere. Allo stesso modo le corna, considerate simbolo di fertilità, sono passate a cingere la testa del Diavolo, la cui figura è in tutto e per tutto modellata su quella di dèi campestri e "bestiali" come Pan/Fauno, che il Cristianesimo si è affrettato a demonizzare proprio perché incarnavano la forza incontrollabile della natura. Questa velata contrapposizione tra anarchia pagana e rigore cristiano, per quanto assente nella storia che tutti conosciamo, sembra adattarcisi benissimo se consideriamo che il primo atto malvagio di Malefica è rovinare una festa di battesimo!
Non mi spiego, però, perché chiamarla Malefica anche quando è ancora una fata buona. Non sarebbe stato più opportuno un cambio di nome, un po' come l'angelo Lucifero, che a partire dalla sua caduta è noto come Satana?

Non so cos'avessero in mente quelli della Disney, ma quando Angelina ha spiegato le
ali ho pensato con un brivido al terrificante Lucifero di Franz von Stuck e alle incisioni
di Gustave Doré per il Paradiso perduto.
 
Sedotta, abbandonata e tradita da quella che credeva il suo principe azzurro (le corna le aveva già da prima, però), la fata incattivita si vendica gettando una terribile maledizione sulla piccola Aurora. E fin qui, più o meno rimaniamo sui binari della storia. Senonché Malefica si rivela ben presto una cattiva poco convinta, divisa tra sete di vendetta e rimorso. Un'antagonista voyeurista, che spia l'innocente principessa in attesa che si compia il maleficio ma non si azzarda a torcerle un capello. In altre parole, prende tempo. La ragazza, intanto, vive inconsapevolmente una specie di Truman Show, giostrato da Malefica, che, come un qualsiasi spettatore di Sky, mette "in pausa" Aurora quando vuole, la riprogramma, alterando a piacere il suo ritmo sonno-veglia, finché - sorprendentemente - il suo rancore comincia a sbollire e si fa strada un'insospettabile simpatia per la "bestiolina"...
Insomma, anche senza badare alle corna e alle ali, risulta chiaro che questa Malefica è un personaggio ibrido e complesso. Solo di tanto in tanto balugina il sarcasmo del suo corrispettivo animato. Rispetto al film del 1959, infatti, la Malefica impersonata da Angelina Jolie è molto più istintiva. E' sì crudele, ma come può esserlo un bambino o Madre Natura, per tanto è tutt'altro che incapace di amare.
L'interpretazione della Jolie, quasi inutile dirlo, è magnifica: si sarebbe potuto fare a meno di un bel po' di battute patetiche e della voce narrante, e lasciar parlare solo il suo volto ossuto.
A quanto sembra, comunque, il cachet della signora Pitt sarà stato talmente esorbitante da non permettere di ingaggiare alcun altro attore decente. Elle Fanning è un'addormentata non poi così bella e le doti recitative di attrici di prestigio come Imelda Staunton non riescono a distrarre dal fatto che il ruolo delle Fate Madrine non abbia granché senso in questa riscrittura della storia, visto che non si capisce nemmeno da che parte giochino.
A proposito di fate, personalmente avrei falciato senza pietà tutto quel brulicante sottobosco di folletti deformi, mostri vegetali, elfi alieni e tutti gli altri rimasugli di Avatar e Il Signore degli Anelli. Gli scenari virtuali hanno fatto il loro tempo: non se ne può più. E la cosa peggiore è che tutto questo guazzabuglio di pixel è associato a scene incantevoli che sembrano incise da Gustave Doré (le vedute aeree di Malefica in volo) o ancora dipinte da un preraffaelita (specie le sequenze più cupe, come quelle in cui la strega vaga sola e ferita per i campi, o ancora quando Aurora sgonnella per prati e boschi.) Insomma, per la prossima volta, meno 3D e più John William Waterhouse!

Un'Ofelia di John William Waterhouse. Quando si tratta di dipinge fanciulle che
vagabondano sconsolate per le selve, a Waterhouse non lo batte nessuno.

Maleficent è un film che lascia perplessi. Tutto ciò che possiamo fare è tenere bene a mente che non si tratta de La Bella Addormentata, ma di un'altra fiaba, indipendente dall'originale. Ammesso che ci sia un'originale, visto il passaggio da un anonimo francese a Basile, da Perrault a Grimm, da Tchaikovsky a Walt Disney, con variazioni spesso scioccanti.
In questa fiaba la morale ruota intorno alla fiducia, e re e principi azzurri fanno una magra figura, tutto a vantaggio della solidarietà tra donne. Assistiamo ancora una volta ad una rivalsa contro la matrice certamente patriarcale delle folk-tales, un processo di revisione femminista della fiaba già cominciato negli anni Settanta da Angela Carter e recentemente ripreso sempre più spesso al cinema (basti pensare al finale di Frozen.)
In attesa di sentire la vostra e capire io stesso se debba ritenerlo o no un film da ricordare, ci dormo su, ascoltando la cover di Once upon a dream di Lana del Rey, che con la sua voce velenosa culla gli spettatori rimasti seduti a guardar scorrere i titoli di coda e li trascina dolcemente in sogni al cloroformio...
 

lunedì 30 dicembre 2013

A volte vale la pena di sciogliersi per "Frozen"

Elsa, erede al trono di Arendelle, convive sin dalla nascita con un grande segreto: è capace di
creare ghiaccio e neve, un potere straordinario ma anche oscuro. Dopo che, senza volerlo, la sua
 magia ha rischiato di uccidere Anna, sua sorella minore, si è chiusa in se stessa, isolandosi
nel dolore, nella paura e nel senso di colpa. Finché le emozioni prendono il sopravvento
 e la sua magia congela l'intero regno, costringendola alla fuga, convinta com'è che nessuno possa 
salvarla da se stessa, nemmeno l'amore di sua sorella...

Quando lo spirito natalizio scarseggia, quando mi viene voglia di fare harakiri col puntale dell'albero, quando non ci sono fantasmi del Natale passato, presente e futuro a disposizione, l'unico modo per cancellarmi dalla faccia il grugno di Scrooge è mettermi comodo sul divano e godermi una bella fiaba Disney. Perciò non poteva esserci regalo più apprezzato di Frozen, prodotto fresco, anzi freschissimo, della casa di Topolino, che è riuscito ad attizzare il fuoco dei buoni sentimenti alla pari dei grandi classici, questa volta raccontandoci una storia d'amore fraterno, quello che lega Anna e sua sorella Elsa, "La Regina delle Nevi." Anche qui ritroviamo gli elementi vincenti di Rapunzel, come la sete di libertà, l'antagonista non immediatamente riconoscibile, lo spirito di sacrificio e la predilezione per i personaggi maschili senza un titolo nobiliare, senza contare la leggera ossessione degli autori per i capelli che cambiano colore.
Sebbene la trama forse non sia così ben intrecciata quanto quella della Raperonzolo disneyana e la somiglianza delle due sorelle a volte rischi di innescare mortificanti paragoni con i film tv di Barbie, le critiche positive continuano a fioccare come neve per quello che è stato definito, probabilmente a ragione, come il miglior film dai tempi del Rinascimento Disney, ovvero il fortunato periodo che va dal 1991 (La Sirenetta) al 1999 (Tarzan) includendo capolavori come La Bella e la Bestia e Il Re Leone. In altre parole, Frozen si è rivelato una provvidenziale boccata d'aria fresca di montagna, perfetta per rinvigorire una lunga tradizione come quella dell'animazione Disney. La modernità sembra aver finalmente riscoperto l'incanto dei grandi successi del passato, tanto che si potrebbe persino parlare dell'inizio di un nuovo canone.
Gli echi e le auto-citazioni sono innumerevoli. Un esempio: la pinacoteca del palazzo reale, in cui Anna pregusta l'inizio di una nuova vita e canta la sua disperata brama d'amore (For the first time in forever, in italiano Oggi per la prima volta), non è che l'equivalente della grotta dei tesori sommersi di Ariel. Se la sirenetta cercava risposte alle sue domande contemplando La Maddalena penitente di Georges de la Tour, la principessa scandinava sogna feste e balli davanti ai banchetti paesani di Bruegel, evade dalla realtà saltando su L'altalena di Jean-Honoré Fragonard e si impratichisce nelle danze dell'amore civettando coi busti di marmo e i galanti musici di quadri rinascimentali. Un'occasione ho, il successivo duetto pop (quasi stile "bimbiminchia") in cui si esibisce con Hans è una gustosa auto-parodia dei pas-de-deux delle sue antenate, decisamente più svenevoli. La storia della protagonista, d'altronde, è quasi uno studio sul processo evolutivo della principessa Disney: questa ingenua e fiduciosa Polly-Anna si risveglierà gradualmente dal ruolo tradizionale di "bella addormentata" per armarsi di determinazione e coraggio. Il suo è il percorso "femminista" già timidamente iniziato dalla teenager ribelle Ariel e portato avanti da Pocahontas e Mulan. Ma una tale, impegnativa eredità è controbilanciata dall'autoironia, la goffaggine e l'umanità di Anna, per cui è impossibile non sciogliersi.

L'altalena o I fortunati casi dell'altalena è un dipinto rococò di Jean-Honoré Fragonard
che aveva già ispirato alcuni bozzetti iniziali di Rapunzel. Una ragazza dondola sull'altalena,
spinta da suo marito, mentre uno spasimante si bea della sua vista nascosto tra i cespugli:
questa citazione pittorica sembra quasi anticipare il triangolo austeniano 
in
 cui si troverà coinvolta Anna.

Se Frozen è rimasto così tanto tempo nel freezer, spiega il produttore, è soprattutto per gli interrogativi e gli ostacoli posti da una fiaba così criptica come La Regina delle Nevi. Della storia originale rimane ben poco, salvo qualche giochino onomastico (il triangolo Hans-Kristoff-Anna è un richiamo al nome di Hans Christian Andersen) e l'immagine del "cuore di ghiaccio", ma attraverso i tormenti interiori di Elsa, apprensiva e atterrita dai suoi stessi poteri, la Disney riesce a raccontare una realtà a noi più vicina: quella dell'incomunicabilità, l'isolamento, la disperazione vissuta nel silenzio della propria stanza. E' questa la "porta chiusa" che sempre più spesso separa fratello e fratello, genitori e figli, riducendoli ad estranei. E' questa la "porta chiusa" che Anna cerca con tutte le sue forze di spalancare, sapendo che "Love is an open door".
Elsa, prigioniera di se stessa e dei suoi conflitti alla X-Men, è senza dubbio uno dei personaggi più complessi mai ritratti dalla Disney, dato che riunisce in sé il ruolo di co-protagonista, antagonista e aiutante magico: una tripla natura che basterebbe a far venire un cerchio alla testa a chiunque. 

Se proprio volete rovinarvi la sorpresa, cliccate qui.
 Col suo canto liberatorio, mentre il prodigioso castello di ghiaccio si cristallizza di fronte ai nostri occhi e l'algida regina si trasforma in una scintillante diva della dance anni '80, assistiamo anche al grande ritorno del musical disneyano. Let it go (All'alba sorgerò) regge il confronto con la celebre Defying gravity di Elphaba, futura malvagia Strega dell'Ovest di Wicked, per quanto le traduzioni italiane dei testi siano decisamente meno efficaci degli originali. Quanto al resto della colonna sonora e alle amenità grafiche, i motivetti più orecchiabili si accostano con disinvoltura ai canti lapponi e alle suggestioni musicali del Nord, portandoci tra i fiordi dell'immaginario regno di Arendelle, dove approdano navi vichinghe, svettano stavkirke, e sorgono le torri del magnifico castello ispirato ai palazzi reali di Oslo e Trondheim. A regnare, oltre il gelo, sono i colori dell'aurora boreale (verde, azzurro e porpora), e la cura dei dettagli è, come sempre, maniacale: ovunque non fioriscano fregi di ghiaccio, germogliano le decorazioni floreali in stile Rosemåling.
Per tutti questi motivi e per tanti altri, per essere un brillante compromesso tra passato e futuro, Frozen è l'equivalente cinematografico di un cristallo di neve: simile a tanti altri venuti prima di lui, eppure unico.


Caldi abbracci e tanti auguri di felice anno nuovo! 

sabato 21 gennaio 2012

"La Regina delle Nevi", Disney tira fuori dal freezer un vecchio progetto

Il primo bozzetto della Regina delle Nevi
C'è una grande, grandissima confusione in giro riguardo The Snow Queen, il film Disney ispirato a La Regina delle Nevi di Hans Christian Andersen. Il progetto, più volte accantonato negli scorsi anni (nel 2002, nel 2003 e ancora nel 2010), è stato recentemente "scongelato", per la gioia di tutti i nostalgici delle fiabe.
La Disney ha annunciato un cambio di titolo, Frozen, e ha rilasciato una data, il 27 novembre 2013. Forse questa sarà la volta buona...
Glen Keane (La Sirenetta, la Bella e la Bestia, Aladdin) ha cullato questo progetto per ben dieci anni e, dopo averlo accantonato in favore di Rapunzel, è riuscito finalmente a rimetterci le mani. La colonna sonora sarà affidata ad Alan Menken, premio Oscar per la La Sirenetta, La Bella e la Bestia, Aladdin e Pocahontas e nominato agli Oscar per Il Gobbo di Notre Dame, Hercules, Come d'incanto e Rapunzel.
Insomma, una squadra formidabile si sta mettendo all'opera per realizzare quello che si prospetta un nuovo agghiacciante successo!
Non è ancora ben chiaro se il lungometraggio sarà realizzato con le tradizionali tecniche di animazione a mano o con la Computer Generated Imagery, ma certo è che sarà disponibile in 3D (ormai, un accessorio irrinunciabile... a parer mio, invece, se ne poteva anche fare a meno.) 
Sto già eseguendo la mia personale danza della pioggia (o meglio, della neve) affinchè il film venga realizzato a mano. Sono praticamente cresciuto a pane e cartoni Disney, perciò difficilmente riuscirei a contenere la mia delusione se mi propinassero un altro film computerizzato. Certo, ho adorato comunque Rapunzel, ma vuoi mettere il fascino e la magia dei disegni a mano?
Capolavori indiscussi della casa di Topolino come La Sirenetta e La Bella e la Bestia sono stati realizzati a colpi di matita e una fiaba come La Regina delle Nevi merita lo stesso trattamento.
I presupposti per un film in tecnica tradizionale ci sono. La Disney ha più volte promesso di realizzare un film vecchio stile ogni due anni: perciò, ricapitolando, abbiamo avuto La Principessa e il Ranocchio (tradizionale) nel 2009, Rapunzel (computer) nel 2010, Winnie the Pooh - Nuove avventure nel Bosco dei Cento Acri (tradizionale) nel 2011 (adorabile, guardatelo anche se avete più di sei anni) e per il 2012 è previsto Wreck-it Ralph, quello che si annuncia una schifezza in grafica computerizzata sul mondo dei videogiochi, perciò il 2013 deve essere l'anno della Regina e dell'animazione tradizionale!
Eppure ancora non sono del tutto tranquillo...
La scelta di cambiare il titolo in Frozen ("Ghiacciato", ma se vogliamo, anche "Surgelato") ridesta i miei timori riguardo la tecnica utilizzata: mi ricorda molto quello di un altro film, realizzato al computer, cioè Rapunzel, il cui titolo originale è Tangled, "Intrecciato".
Forse anche voi, come me, vi chiederete che senso abbia cambiare il titolo delle fiabe originali per questi orrendi titoli al "participio passato"...
Facendo un po' di ricerche, ho scoperto che si tratta di una strategia di marketing la cui origine risale a qualche anno fa: La Principessa e il Ranocchio, se pur molto apprezzato, non ha ottenuto il successo sperato dalla Disney e qualche genio ha pensato che sia stata l'eccessiva enfasi sulle principesse ad allontanare i maschietti. Per questo si è deciso di evitare lo stesso errore cambiando il titolo di Rapunzel in Tangled, dando anche ampio spazio al coprotagonsita maschile, Flyn Rider (simpatico, okay, ma un principe non ci avrebbe fatto schifo).
In parole povere, per colpa di qualche marmocchio appassionato di Cars, dobbiamo sorbirci questi titoli orrendamenti storpiati. Anziché fare passi avanti, ne facciamo indietro: nel ventunesimo secolo la società pretende ancora che tutti i bambini giochino con le macchinine e tutte le bambine con le bambole.
La scelta del cambio di titolo ha lasciato perplessi anche molti esperti del settore. Floyd Norman, un animatore Disney e Pixar, ha dichiarto "L'idea di cambiare il titolo di classico come Raperonzolo in Tangled è oltremodo stupida. So già quale sarà l'unico risultato: tutti penseranno che la Disney sia alla disperata ricerca di un pubblico." Anche il critico Justin Chang ha bocciato l'idea, giudicandola una ridicola forzatura, un po' come cambiare il titolo de La Sirenetta in Beached, "Spiaggiata". Di questo passo perchè non cambiare il titolo a tutti i vecchi classici? Biancaneve in "Intossicata", La Bella e la Bestia in "Imbestialito", La Bella Addormentata in "Anestetizzata" e magari Mulan in "Travestito"...
Insomma, ribatezzare Frozen la fiaba de La Regina delle Nevi è un oltraggio che potrei perdonare solo se il film fosse effettivamente realizzato con disegni a mano. Tra l'altro, Frozen è anche il titolo di un thriller di due anni fa!
Staremo a vedere, sperando che la Disney continui a regalarci i brividi d'emozione a cui ci ha abituati!


Per chi dovesse avere poca familiarità con questa fiaba di Andersen, consiglio (oltre a leggere la storia originale) di guardare La Regina delle Nevi del russo Lev Atamanov, premiato al Festival di Cannes e di Venezia nel 1957.
Qui di seguito, la prima parte del cartone, di cui potrete trovare facilmente il seguito su Youtube, e un sunto della storia.



Uno spirito maligno crea uno specchio magico capace di cancellare ogni traccia di bontà in chiunque vi si rispecchi. Divertendosi così a seminare il male nel mondo, il diavolo finisce per romperlo, frantumandolo in milioni di minuscoli pezzi.
I protagonisti della storia sono due bambini, Kay e la sua amica Gerda, che vivono in due case vicine, unite da un giardino sospeso, adorno di rose.
Un giorno la nonna di Kay racconta ai bambini la storia della Regina delle Nevi, la crudele sovrana del gelo e dell'inverno, che vive nell'estremo nord, in un palazzo fatto di ghiaccio.
Un giorno due frammenti dello specchio magico finiscono nell'occhio e nel cuore di Kay, che diventa improvvisamente crudele e aggressivo, anche con sua nonna e con la sua cara amica Gerda.

Giunto l'inverno, Kay decide di uscire a giocare con lo slittino, ma viene rapito dalla Regina delle Nevi in persona, che lo porta con sé nel suo palazzo, al Polo Nord. La Regina bacia Kay due volte, la prima per non fargli avvertire più il freddo, la seconda per fargli dimenticare  Gerda e la sua famiglia. A Kay viene risparmiato un terzo bacio, che lo avrebbe ucciso.
Intanto Gerda, affranta per la scomparsa di Kay, chiede al fiume di condurla dal suo amico, regalandogli in cambio le sue scarpe nuove. La bambina giunge così nella dimora di una vecchia maga che, decisa a tenere per sempre Gerda con sé, le fa dimenticare Kay e fa scomparire tutte le rose del giardino sottoterra, affinché queste non le ricordino il suo amico scomparso. Una rosa, però, innaffiata dalle lacrime della bambina, risorge dalla terra e ricorda a Gerda lo scopo del suo viaggio. Fuggita dalla maga, Gerda incontra un corvo che le dice di aver visto Kay nel palazzo della principessa, ma, una volta entrata a palazzo, scopre che in realtà si tratta del principe, che somiglia molto al suo amico.  Gerda racconta al principe e alla principessa la sua triste storia e i due, commossi, decidono di aiutarla, fornendole una splendida carrozza e abiti caldi per resistere al freddo incombente.
La carozza di Gerda, però, viene attaccata dai briganti e la bambina viene condotta nel loro covo. I briganti vogliono ucciderla, ma vengono fermati dalla figlia del capo, che desidera che Gerda diventi la sua compagna di giochi. La figlia del brigante tiene prigionieri due colombi selvatici e una renna, Bae, i quali, dopo aver ascoltato la storia di Gerda, le dicono di avere visto Kay in Lapponia, nel palazzo della Regina delle Nevi. Impietosita, l
a figlia del brigante lascia liberi Gerda e gli animali, che partono così per la Lapponia. Qui la bambina viene accolta dall'amorevole Donna della Lapponia, che le consegna un messaggio, scritto su un pesce, per la donna di Finlandia, che potrà aiutarla. Quest'ultima, una maga, indica a Gerda la via per il palazzo della Regina e le assicura che per sconfiggerla non avrà bisogno di altri poteri oltre a quello che ha già, la forza dell'amore.
Giunta al palazzo della Regina, Gerda viene fermata da una bufera di neve, ma, dopo aver recitato una preghiera, il suo fiato caldo si trasforma in un angelo che permette alla bambina di entrare. Così Gerda trova Kay da solo, intento nel compito che la perfida sovarna gli ha imposto: comporre all'infinito parole con alcuni frammenti di ghiaccio. Solo se riuscirà a comporre la parola "eternità" Kay potrà essere libero.
Gerda, non riuscendo a contenere la sua gioia, abbraccia Kay e con le sue lacrime scoglie il gelido cuore dell'amico. Ora anche Kay riconosce Gerda e piange, facendo così uscire il frammento di specchio dall'occhio. Mentre i due amici gioiscono, i pezzi di ghiaccio compongono sponteanamente la parola "eternità", liberando Kay. Insieme lui e Gerda tornano a casa, in tempo per godersi l'arrivo dell'estate.

mercoledì 18 gennaio 2012

"Once upon a time", la serie che prende le fiabe sul serio

Il logo della serie su fondale "Foresta Proibita".
Prime impressioni a levar del sole sull'esordio di Once upon a time (o C'era una volta), la serie tv fiabesca da ieri in onda su Fox (anche se l'episodio pilota è stato trasmesso in anteprima il giorno di Natale).

Non male, ma forse le mie aspettative erano troppo alte... visto che gli sceneggiatori sono gli stessi di Lost. Per ora non ho ancora visto... la magia.
In fin dei conti si tratta di un Come d'incanto senza canzoni e senza ironia, se non involontaria: è difficile trattenere una risatina di fronte a personaggi come Geppetto e la Nonna di Cappuccetto Rosso, assolutamente in contrasto con l'atmosfera epica che hanno voluto imprimere alla serie.
Okay, la ABC, la casa di produzione, non è altro che il braccio televisivo della Disney, ma, in ogni caso, scopiazzare dai film disneyani non fa onore alla serie: il mondo reale viene descritto dalla perfida Regina di Biancaneve come un luogo senza lieto fine, esattamente come afferma la malvagia Larissa di Come d'Incanto, e in più l'armadio magico che appare nell'episodio pilota ricorda troppo quello de Le Cronache di Narnia. Scopiazzature? Auto-citazioni? Oppure... boh?
Per chi dovesse cascare dal pero (o dalla pianta di fagioli magici) solo ora, protagonista della storia è la solitaria Emma Swan (Jennifer Morrison, Dottor House) che, costretta dall'assillante figlio appena ritrovato, giunge nella cittadina di Storybrooke per salvare i suoi abitanti, ovvero i personaggi delle fiabe che, a causa di un terribile maleficio, non ricordano nulla della loro identità. Così Cappuccetto Rosso è una provocante cameriera dalle meches scarlatte, Biancaneve una stucchevole maestrina delle elementari in stile Amélie Poulain, il Grillo Parlante uno psicologo impacciato e lo Specchio Magico il direttore del giornale locale, il Mirror, al servizio della malefica Prima Cittadina, alias la Regina Cattiva, e così via...
E' proprio la Regina a non convincermi, a partire dal costume da strega decisamente poco originale fino al suo insipido alter-ego "moderno". E' chiara l'intenzione (assolutamente obbligatoria) di trasformare i flat characters delle fiabe in personaggi a tutto tondo, ma non so quanto questo tentativo possa riuscire...
Sarà che l'attrice che interpreta la cattivona della serie non sembra averne il physique du role. Potrà anche vestire abitini sado-maso alla Brigitte Nielsen di Fantaghirò, ma non è neanche lontanamente minacciosa come ci si aspetterebbe.

La foto non è molto fiabesca, ma mi piaceva. La bionda è Jennifer Morrison
(Emma), accanto Jamie Dornan (Il cacciatore),
a destra Biancaneve e il Principe Azzurro

(Ginnifer Goodwin e Joshua Dallas).
Altra critica riguarda i nomi scelti. Sì, d'accordo, sono ossessionato dai nomi, ma, devo comunque protestare: Emma non è affatto un nome fiabesco! Mi fa pensare più a Jane Austen che ai fratelli Grimm. Ci voleva un bel nome poetico, dal significato immediatamente intuibile, anche banale come Hope, "Speranza" (appropriato visto il ruolo salvifico della protagonista) o qualcosa di floreale e classico come Rose o Lily, o magari, se siamo in vena di arditezze, uno in stile faunistico come Robin, "Pettirosso" (può andare, vista l'ossessione di Biancaneve - e delle principesse in genere - per gli uccellini canterini che rifanno il letto ogni mattina... d'altronde, chi non li amerebbe?).
Insomma, staremo a vedere. Per ora è un sì, ma, almeno per quanto mi riguarda, Once upon a time è ancora in prova. Troppo ingenuo. Vedremo se da ciocco di legno si trasformerà in un serial vero.

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