giovedì 7 giugno 2012

"Wildwood - I segreti del bosco proibito" del "Decemberist" Colin Meloy

Wildwood - I segreti del
bosco proibito
di Colin Meloy,
Salani, 534 pg., 14,30 €
I cantanti e i musicisti che si cimentano con la narrativa per l'infanzia non hanno avuto vita facile in passato: sono stati quasi sempre inseguiti da una folla inferocita di critici letterari, armati di affilatissime penne stilografiche (vedi alla voce Madonna). Non nascondo che mi sarei unito volentieri a loro in molti casi: da aspirante scrittorucolo quale sono, provo sempre una punta di fastidio per chi, da un giorno all'altro, s'improvvisa scrittore, specie se fa tutt'altro nella vita (per esempio, un certo fisico, autore di un romanzo che, per qualche oscuro motivo, ha vinto il Premio Strega, privandolo del suo prestigio, almeno ai miei occhi).
Diverso è il caso di Colin Meloy, leader della band folk-rock americana The Decemberists, già molto apprezzato per l'originalità dei suoi testi, ora anche autore di un best-seller internazionale, primo volume di quella che si prevede una fortunata trilogia: Wildwood - I segreti del bosco proibito.
Chi mi conosce sa bene che non sono un esperto di musica (guai se non ci fosse, ma non potrei dire che "vivo per lei"), perciò ad attirarmi non è certo stato il nome dell'autore (per me sconosciuto), quanto le meravigliose, incantevoli illustrazioni di sua moglie, Carson Ellis, disegnatrice affermata. Spiegatemi voi come si fa a rimanere impassibili di fronte a questo tenero tasso... Giuro che lo porterei io in risciò, per quant'è dolce. Pare che anche Meloy lo adori, visto che ha inserito nella storia il cameo del tasso-tassista solo per poter aggiungere questa illustrazione.
La cura quasi fiamminga dei dettagli è commovente, come pure l'accuratezza naturalistica, che riflette la nomenclatura rigorosa dell'autore in fatto di specie botaniche e animali.
Ma prima di passare alla trama, vi invito a guardare il book trailer che trovate quaggiù: vi dà una chiara idea del tratto poetico ed evocativo dell'illustratrice.
 

Il motore della vicenda è un classico: la missione di salvataggio. La quattordicenne Prue McKeel assiste al rapimento di suo fratello Mac, appena neonato, da parte di uno stormo di corvi. Con suo sommo orrore, scopre che i lugubri rapitori sono diretti verso la Landa Impenetrabile, un'immensa e temuta foresta alla perferia di Portland (Oregon), da cui nessuno è mai più ritornato. Prue, accompagnata dal suo compagno di scuola Curtis, non si tira indietro e parte alla volta della Landa, che scopre tutt'altro che Impenetrabile, almeno per lei. Inconsapevolmente i due protagonisti si ritroveranno in un mondo parallelo, pericoloso e pervaso di magia.
So già cosa state pensando: una bambina che scopre la via d'accesso ad un mondo fantastico popolato da animali parlanti, questa sì che è avanguardia letteraria! Dopo capolavori come Alice nel Paese delle MeraviglieLe Cronache di Narnia e Il mago di Oz ce n'era proprio bisogno?
Forse no, ma Meloy gioca bene le sue carte e, accostando in modo innovativo gli elementi della tradizione fantastica europea, riesce a confezionare un microcosmo originale e misterioso: dal borghese Bosco Sud, infestato dall'asfissiante edera della burocrazia, al vertiginoso Principato Aviario, dall'impervio Bosco Selvaggio al rurale e pacioso Bosco Nord. Innumerevoli i personaggi in cui Prue e Curtis si imbatteranno: soldati coyote che scorazzano per i boschi, uccelli impegnati in missioni diplomatiche e  banditi rudi e barbuti nascosti in agguato tra i cespugli, mentre una regina spodestata trama la sua vendetta.
I temi, universali e attuali: il difficile compito dei genitori (che qui perdono la loro aura di divina rettitudine morale per mostrarsi in tutta la loro umanità), il valore della libertà (negata dal governo fascistoide di Bosco Sud) unito a un vago pacifismo (in contrasto con le scene di guerra in cui l'autore spesso indulge), e, soprattutto, il rispetto della Natura (che interviene nel romanzo sia come forza distruttrice che come madre benevola).
In tutto questo, però, è impossibile non notare le lampanti analogie con la saga di Narnia: il primo incontro dell'occhialuto Curtis con l'ammaliante Governatrice Vedova ricorda un po' troppo quello di Edmund con la Strega Bianca ne Il leone, la strega e l'armadio. Ancora, la Governatrice viene evocata suonando una campana, così come ne Il nipote del mago è il suono di una campana a risvegliare la malvagia Jadis dal suo sonno incantato.
Malgrado questi déjà-vu, la trama è senza dubbio un punto di forza del romanzo. Non posso dare torto al mio adorato Lemony Snicket (autore della brillante, deliziosa, originalissima saga de Una serie di sfortunati eventi), che ha dichiarato: "Mi ha tenuto sveglio ben oltre la mezzanotte... i responsabili di questo misfatto letterario dovrebbero essere immediatamente consegnati alla giustizia".)
Ma... c'è un altro ma: la scrittura va smussata, anzi potata abbondantemente. Non ci sono dubbi che Meloy sia un amante della wilderness: soprattutto nei primi capitoli, la scrittura è impervia, accidentata come un sentiero inselvatichito. Un continuo calpestio di periodi brevi e scricchiolanti come rami secchi. In questo monotono paesaggio sintattico, il silenzio è interrotto non dal gracchiare dei corvi, ma da scelte lessicali a dir poco stridenti, che non saprei se attribuire all'autore o alla traduttrice, Valentina Daniele.
Fortunatamente, però, man mano che ci si addentra nel folto della narrazione, gli eventi prendono a scorrere impetuosi come ruscelli e anche il racconto si fa più fluido, sebbene sono convinto che alcuni passaggi (per fortuna non essenziali ai fini della trama), specie di scontri bellici, siano chiari soltanto al suo autore.
Ho trovato deludente la figura della protagonista. Prue prometteva di essere una grintosa eroina in bicicletta, ma in realtà non fa altro che vagabondare di qua e di là chiendo aiuto a cani e porci (per l'esattezza a pennuti, mammiferi vari e santoni amanti del bio). Spero in un riscatto nei prossimi episodi.
Il personaggio di Curtis, invece, è più curato e dinamico: nella sua efficace caratterizzazione mi è sembrato di intravedere un sottobosco autobiografico.
Acclamato dal pubblico e apprezzato dalla critica (che però non ha mancato di riconoscerne i punti deboli), Colin Meloy è sicuramente un autore da tenere d'occhio. Chissà che dalla scrittura selvaggia e impulsiva non raggiunga l'ordine e la misura di un giardino perfettamente curato, ma senza per questo ridursi al piattume di un prato all'inglese. Aspettiamo il seguito di Wildwood... se son rose, fioriranno. 

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