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"Forse la terra è l'inferno di un altro pianeta." (Aldous Huxley) Se così fosse l'università sarebbe il girone più profondo. |
I' non benedico certo il loco e 'l tempo et l'ora del nostro primo incontro, nel corso di un temuto esame di inglese per cui mi ero presentato in facoltà con largo anticipo e con un gramo presentimento, visto che avevo avuto un terribile incubo in cui nascondevo il cadavere di Sylvia Plath in una specie di acquario di cristallo pieno di lucci (famelici pesci d'acqua dolce, spesso anche cannibali, protagonisti di una poesia di Ted Hughes, marito fedifrago dell'infelice poetessa.)
"Si dice che la professoressa sia una stronza" si sente in dovere di informarmi la mia irrequieta vicina di banco, una specie di roditore dalle enormi tasche guanciali, anche se non gliel'ha chiesto nessuno.
"Ah sì?" mugugno, senza staccare le labbra dalla mia mini-bottiglietta di Schweppes al limone.
"E anche l'assistente maschio è uno stronzo. Quella bionda invece..."
"E' più magnanima?" tiro a indovinare, speranzoso.
"No, è la più stronza di tutti!" squittisce lei, con una risata verde e lievemente isterica che le fa fremere la palpebra sinistra.
"Ma sei proprio sicura? E' vestita come Fragolina Dolcecuore..."
"Non lasciarti ingannare dal suo aspetto fru-fru" s'intromette un giovane namecciano seduto dietro di me. "Ha un'aura potentissima..."
"Ripetete bene James Joyce: la volta scorsa mi ha bocciata perché non sapevo che soffrisse di cinofobia e cheraunofobia" ci ammonisce in un sussurro una ragazza che, dopo l'appello, scopro portare l'ingrato cognome di Pisciareno.
"Dicono che ogni sabato si trasformi in serpente dalla vita in giù..." riporta con voce tremante un'altra sconosciuta, pallida, smunta e con gli occhi incavati, seduta due posti più in là.
Un ragazzo dalla faccia cavallina conferma la diceria con un nitrito, inorridito.
"Vuole fare la simpaticona, ma è senza cuore" riprende la mia vicina, più concitata di un gerbillo. "Mi hanno detto che non si è fatta scrupoli a bocciare una sua ex-compagna fuori corso! La poverina ha avuto una crisi di pianto... l'hanno dovuta trascinare via dall'aula dopo averla sedata... e indovinate un po' cos'ha fatto lei, l'assistente traditrice? Eh?! Eh?! Indovinate?!"
"Cosa?!" chiediamo in coro, sobbalzando sulle sedie.
"L'ha salutata agitando la mano e con voce zuccherosa le ha detto 'Bye bye, cara!'"
"Ma è spaventoso!" è tutto quello che riesco ad esclamare, nauseato.
"Ah, questo è niente! Voi non immaginate neanche cos'ha detto all'appello di novembre!" rincara la dose Pisciareno. "Ha fatto i complimenti ad un mio amico per i suoi bellissimi occhi color nocciola-quasi-oro e quando lui le ha rivelato che porta le lenti a contatto colorate lei ha esclamato, tutta eccitata: 'Ma allora anche tu sei un twilighter!! Come me!!'"
"Mi correggo, questo è spaventoso!" commento, portandomi una mano alla bocca.
Il ragazzo dai lineamenti equini sbuffa, orripilato, e dilata le enormi narici.
Non ho neanche il tempo di chiedermi di che morte morirò, perché, ovviamente, mi tocca lei, l'assistente bionda. Ci salutiamo seguendo il protocollo internazionale delle gatte morte: mostrando i denti. Lei sfoggia un ghigno tutto miele, ma il suo sguardo è quello del luccio che ha appena adocchiato un avannotto indifeso. Io ricambio con un sorriso ancora più caramelloso, ma i miei occhi dicono: "Ti farò mangiare la cipria, Paris Hilton de' noantri". Da vicino posso studiare ogni dettaglio del nemico: il suo taglio à la garçonne, gli occhiali rosa da gatta, le guance abbondantemente spolverizzate di blush color pesca, gli artigli laccati, la romantica camicetta a fiori e l'immancabile paio di ballerine rosa. Manca solo il chihuahua ringhiante nella borsetta.
Mi sforzo di ignorare la sua leziosa aria di sfida e l' irritante mimica facciale, e intanto combatto strenuamente per la sopravvivenza, riuscendo a deviare i numerosi colpi bassi e a conquistarmi con grande fatica la sua melliflua benevolenza, ottenuta anche grazie ad una libagione e al sacrificio di un montone dal vello nero. Alla fine, dopo un'ora di lotta per la vita, la Furia è domata, il luccio molla la presa e io posso fare ritorno incolume al mio nascondiglio tra le alghe. O meglio, quasi incolume, visto che ho schivato solo per miracolo la domanda fuori programma su Huxley (di cui sapevo solo che di nome faceva Aldous e che spesso e volentieri si faceva una pera.)
Pensavo che non avrei mai più avuto il privilegio di rivederla, ma naturalmente mi sbagliavo: me la ritrovo pochi mesi dopo, nel ruolo a lei più congegnale di baby-sitter, in occasione di un esame scritto pomeridiano che, in qualche modo, riesce a trasformare nel suo show personale. Sempre vestita come un sacchetto di pot-pourri provenzale e sempre truccata come Anna di The O.C., Laura Fresca-Di-Laurea non fa altro che ciarlare, ridacchiare, pavoneggiarsi, sfoggiare il suo humour inglese e punzecchiare noi studenti chini sui banchi, senza nemmeno tentare di porre un freno al suo narcisismo. Ormai l'ho inquadrata: è una cabarettista mancata, una simpatica umorista in continua ricerca di attenzioni. Una che ad ogni battuta si aspetta che parta il Ba dum tss! della batteria.
Ce la mette tutta per rimanere seduta alla cattedra e concentrarsi sulle sue letture erudite (un romanzetto Harmony, suppongo), ma non resiste a lungo alla tentazione di scendere in platea a salutare il suo pubblico ostile, sfilare tra i banchi atteggiandosi a sciantosa, dispensare sorrisi canditi e indirizzare pralinate minacce a chi sbircia il compito del vicino.
A un certo punto annuncia di doversi allontanare per qualche minuto e, fraintendendo i gridolini di gioia di alcuni, ci rassicura: "Non disperate, guys. Torno subito, I'll be back in a minute! Fate i bravi!"
I cinque minuti scarsi senza di lei risultano i più produttivi di tutte le quattro ore di segregazione in balìa della balia. Proprio quando cominciavamo a sperare che non tornasse più, eccola che rientra rigirando con la cannuccia i cubetti di ghiaccio del suo bicchiere di Coca-Cola, guarnito con una sorridente fetta di limone e ombrellino da cocktail. Si direbbe pronta per il party in piscina di Polly Pocket.
"Non c'è alcol, ragazzi, don't worry!" cinguetta lei, con una risatina che suggerirebbe il contrario. "E' solo Coca-Cola!"
E figuriamoci se si scolava un Cuba libre a scuola.
Per un attimo ho pensato che se ne uscisse anche con un "Hey, what did you expect?" (tanto il maquillage in stile Uma Thurman ce l'aveva già.)
In tal caso so già quale sarebbe stata la mia risposta: "Mi aspettavo fosse solo Coca, senza Cola."
Cerco di concentrarmi sul mio saggio breve, ma una ragazza (forse membro della sua claque) va a chiederle se bisogna scegliere una delle tracce o svilupparle entrambe. Lei, incredula, si strappa le piume e starnazza: "Ragazzi, no! Dovete sceglierne una sola! My gosh! Quando finiremmo poi?! Io ho una vita fuori di qui! Ho un fidanzato che mi aspetta, insomma!"
Il gelo piomba di colpo nella stanza e io nascondo la faccia dietro il foglio, vergognandomi per lei.Dopo qualche istante di imbarazzato silenzio, resasi conto del fatto che non ce ne importa una mazzancolla che sia fidanzata, sposata, poligama, in coppia aperta, single, suora orsolina o pansessuale, si corregge, con un risolino argentino: "Ragazzi, perdonate questa informazione non richiesta sulla mia... personal life." (Il vezzo di inframmezzare l'italiano con vocaboli inglesi random, in stile Nicole Minetti, è purtroppo ancora largamente diffuso tra certi insegnanti di lingue.)
Non faccio nemmeno in tempo a mettere un punto fermo al periodo che stavo scrivendo, che una studentessa chiede con una certa insistenza di poter correre alla toilette prima che inizi a scorrere dirompente il biondo Tevere. Tengo a sottolineare che la signorina in questione non è la Pisciareno.
"I'm sorry, ma c'è già un'altra ragazza in bagno" miagola Laura.
"Ma io sto morendo!" frigna la fanciulla in ostaggio della sua vescica, mentre si esibisce nella samba dell'incontinente. Ma si sarebbe anche potuto trattare di un boogie-woogie della dissenteria: la differenza è sottilissima.
"Eh, signorina, io non so che dirle" trilla l'assistente, godendo visibilmente della sua sofferenza. "Capisco l'urgenza, ma non posso farla uscire se non rientra la sua collega. So che non si direbbe, ma sono nata prima di voi, e quando ho fatto io questo esame c'era una mia amica che si incontrava in bagno col suo boyfriend e si faceva dare le risposte del test. Per quanto ne so io, lei potrebbe benissimo essere la girlfriend della signorina..."
Ripiomba nuovamente il gelo, e ora non so più dove nascondere la faccia. Miss K. Lorina si arrende e torna al suo posto, perdendo l'occasione per un eventuale coming-out pubblico.
In ogni caso, l'assistente deve essersi fidanzata da poco, perché è chiaramente ossessionata dal love of her life e non vede l'ora di sbandierare ai quattro venti le glorie della propria vita di coppia. Mi ricorda la liceale dei film americani che si presta a fare da tata ai bambini dei vicini con l'unico scopo di far entrare di nascosto il suo ragazzo e arrivare in terza base con lui sul divano.
Okay, sei innamorata, auguri e figli maschi, ma qui staremmo facendo un esame, sai com'è.
Per citare il suo amato Huxley, "c'è qualcosa di estremamente noioso nella felicità di qualcun altro." Specie se questo qualcuno gongola per la propria vita sentimentale più di quella civetta di Lydia Bennet, che già era oca in partenza, poi è rimasta completamente ipnotizzata dal luccichio della propria fede nuziale.
Rileggo per l'ennesima volta la brutta copia del mio essay sulla "tragedia scozzese", promettendomi di non prestare più la minima attenzione all'amica chips e al mondo esterno.
Il problema è che riesco facilmente a distrarmi anche solo con la mia immaginazione. Per quanto mi sforzi, una parte del mio cervello continua ad ascoltare le ciance di Laura e l'altro emisfero non smette di cantare Unsex me, il mio tentativo di musicare il monologo della sanguinaria Lady Macbeth sulle note del ritornello di Undress me, vecchio successo anni '90 dell'ormai dispersa Anggun.
Versione ispirata a Lady Macbeth
Unsex me!
Unsex me!
And fill me all of cruelty!
Remind me of my mean aims...
Versione originale di Anggun
Undress me!
Undress me!
Unlock this chain and set me free!
Remind me to be myself...
Comincio a credere che non siano solo certi assistenti ad aver bisogno di assistenza psichiatrica.
Intanto suona il gong che annuncia la fine dell'esame. Mentre gioco al tiro alla fune con Laura Fresca-Di-Laurea per non farmi strappare di mano il compito, mi sorprendo ancora piuttosto dubbioso sul mio lavoro. Alla fine cedo, chiedendomi se consegnare il testo musicale scritto a sei mani con Anggun e Shakespeare non mi sarebbe valso un voto più alto. Ma, dopotutto, dice bene Lady Macbeth: what's done is done. Quel che è fatto è fatto. L'importante è che non sia mai più costretto ad assistere ad un altro varietà dell'assistente.
Restituisco a Laura un sorriso mandorlato, esco dall'aula e corro a farmi una vita anch'io, fuori di qui...
"Bye bye, cara!"
Eppure, mentre mi do alla fuga, continua ad inseguirmi il pensiero che, se non fossimo nemici naturali, probabilmente le avrei proposto di fare shopping insieme, passeggiando a braccetto e saltellando come Dorothy e lo Spaventapasseri, di boutique in boutique, lungo i sentieri dorati del centro...
Una serie di accademici accadimenti:
Episodio I - Stranieri e strani estranei
Episodio II - Grandi speranze
Episodio III - Legami chimici
Episodio IV - Studenti esasperati
Episodio V - In balìa della balia
Episodio VI - C'era una svolta
Episodio VII - Volver
Episodio VIII - Senza vergogna
Episodio IX - Chiamatemi (un) dottore