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giovedì 7 agosto 2014

Julie Shore

"Quello che succede in Salento rimane in Salento."
Ventitré anni e non sentirli. Nel senso che, bisbetico e pantofolaio come sono, comincio a pensare di non essermi mai sentito veramente giovane in vita mia. Per questo io e la amica Anny, poco giorni fa, dopo aver rimesso a posto la scatola di Scarabeo, abbiamo deciso di fare almeno un tentativo e provare a comportarci come i nostri coetanei. Così abbiamo fatto i bagagli e siamo partiti per un week end lungo in puro stile spring break, nella speranza di ritrovare i ventenni scatenati nascosti in noi. Ad accompagnarci in questo viaggio nell'anima in stile bevi-flirta-ama non potevano mancare una coppia che di divertimento se ne intende: la nostra esuberante amica Betulla e il suo ragazzo Alex. Destinazione: la romantica, scricchiolante villetta gentilmente messa a disposizione da mio zio, il Cosmopolita, in quel paesino del Salento di appena trecento anime che è Giuliano (per gli amici, Julie.) Inizia con queste premesse l'avventura di Julie Shore, una vacanza che sarebbe potuta benissimo essere un reality trash di quelli che trasmettono su MTV, di cui abbiamo scoperto essere tutti segretamente spettatori assidui.



Betulla, da sempre camaleontica in fatto di capelli, per l'occasione ha tinto la sua chioma dell'esatta tonalità di rosso sfoggiata da Holly, quella con le "tette enormi", nonché la più "accogliente" dei tamarri di Geordie Shore. L'unica ad essere biasimata per non aver mai visto neanche un episodio è Anny, che non ha voluto rinunciare al suo stile "da VIP" e alla sua paglietta, accessorio che le è subito valso il titolo di "Contessa."
La giornata di un Julie inizia alle sette, con un'imprecazione rivolta alle campane che rintoccano a festa dalla chiesetta vicina. Così vicina che l'acqua del rubinetto della cucina scorre direttamente dalla fonte battesimale. All'incirca un'ora dopo questo rintronante risveglio (durante i quali tutti, tranne me, sono riusciti a riprendere sonno), ci riuniamo per la colazione in giardino all'ombra della buganvillea: l'unica già pimpante, anche senza caffè, è ovviamente Betulla, che attraversa la tendina e ci regala il suo "Buongiorno!", con tanto di plateale gesto delle braccia, come a dire "ta ta, eccomi qua!"
Dopo aver vagheggiato il mare per metà estate, finalmente i miei piedi toccano la sabbia rovente. I riflessi del sole sulle onde sembrano ammiccare proprio a me, ma il primo a tuffarsi è Alex, fresco di lezioni di nuoto, che non appena entra in acqua regredisce allo stato infantile: inforca gli occhialini - che fanno sparire i suoi occhi a mandorla - si tuffa a bomba e inizia a mettere in moto i piedi, trafiggendoci con mille schizzi di acqua ghiacciata. Contagiato dal suo entusiasmo, mi metto in testa di insegnargli il delfino, che non rientra esattamente nel livello principiante. E infatti tutto ciò che riesce ad eseguire è lo stile "a schiaccianoci", con chiusura a scatto del bacino. Gli riconosco però il merito di aver fatto bracciate da gigante in pochissimi giorni, grazie all'esercizio e ai miei consigli personalizzati: "Alex, voglio un movimento più sinuoso, serpentiforme... un brivido che parte dalla testa e corre fino alle punte dei piedi... fai come la Tatangelo, devi sentirti una muchacha troppo sexy, che non dà troppa confidenza ai maschi... Sì, così, fai l'amore con il mar..."
Dopo le esercitazioni di apnea e immersione, mi sento in vena di divulgazione scientifica: "Alex, lo sai che i trichechi si scontrano petto contro petto quando lottano per le femmine?" Mi pento immediatamente di essermi fatto scappare questa curiosità etologica non appena ricordo di avere di fronte un ragazzone di ventisei anni con un torace a due ante. Da quel momento non mi riesce di intavolare una conversazione a mollo con Anny e Betulla senza ricevere il colpo di petto a tradimento del tricheco in calore. Questo genere di agguati sfociano quasi sempre in stupri acquatici, tra lo sbigottimento e lo scandalo generale dei bagnanti, che mi guardano fuggire a nuoto e guadagnare stremato la riva invocando gli déi affinché mi sottraggano dalle grinfie del mio assalitore, anche a costo di trasformarmi in un giglio di mare.
Se intanto vi interessa avere un'idea del tipo di conversazioni che intercorrono tra i Julie mentre galleggiano oziosamente vicino alla riva, vi informo che si tratta dei temi più variegati, dai traumi infantili ("Vi ricordate la scena in cui André strappa la camicia a Lady Oscar e la scaraventa sul letto?!") a quesiti morali di un certo spessore ("Quale dea avreste scelto al posto di Paride?"), dai piccoli drammi quotidiani di Anny ("Raffy, ma non è che ora sono troppo abbronzata?") al palato difficile di Betulla ("Cosa intendi dire esattamente con 'non mi piace l'olio'?")
Intanto, col passare dei giorni, il sole e la salsedine privano via via i capelli rosso Ariel di Betulla della loro originaria intensità e allo stesso modo sbiadisce sempre più la mia autostima, ripetutamente umiliata dai fisici scultorei dei miei vicini d'ombrellone. "Ma come fanno ad essere così perfetti?" mi domando inutilmente, "Che ci mettono questi nelle pucce?" Anny si guarda in torno anche lei come a voler trovare una risposta che non c'è e mi rivolge uno sguardo solidale, poi si sistema il rivestimento floreale del costume e riprende a litigare con WhatsApp, che le impedisce di ricevere notizie del suo adorato gatto Ciccio.
Mi riaccascio sconfitto sull'asciugamano, sentendomi come se qualcuno avesse conficcato un ombrellone nelle sabbie mobili del mio amor proprio. Subito però mi risollevo, avvistando Betulla che corre dal bagnasciuga. Gli occhi luccicanti mi dicono che ha in mente qualcosa. I capelli, ora arancioni, raccolti in una coda di cavallo, la fanno assomigliare a Misty, l'allenatrice specializzata in Pokémon d'acqua. Tra l'altro ha anche un bikini a fantasia Togepi.
"Raffy, andiamo sull'aqua-rocket?!"
"Il Team Rocket? Dove?!"
"L'aqua-rocket! E' un gommone trainato da un motoscafo! Ti prego, Raffy, andiamoci!"
L'ottuagenario che c'è in me ha già risposto "no" prima ancora di sapere di cosa si tratti. Per questo accetto, anche se poco convinto. Ma forse il vero motivo della mia accondiscendenza è che voglio allontanarmi al più presto da un gruppo di tamarri che hanno deciso di giocare a calcio sul mio telo-mare (con i loro succinti speedo bianchi e la catenina d'oro al collo sembrano degli enormi e fastidiosissimi bebè.)
"Sarà divertente, Raffy!" mi assicura Betulla, "L'hanno fatto anche quelli di Geordie Shore!"
Ecco le parole magiche che volevo sentire...
Lasciamo sotto l'ombrellone Anny, che si è strategicamente finta morta, e una volta imbracati col giubbotto salvagente, io, Betulla e Alex prendiamo posto su una spaziosa poltrona gonfiabile. "Ragazzi, ma siete sicuri che sia abbastanza figo?" domando. "A me sembra un banale giro in barca... non era meglio un pedalò?"
Non riesco nemmeno a finire la frase che il motoscafo parte come un razzo mozzandomi il respiro. Alex mi sghignazza in faccia mentre mi aggrappo disperatamente alle maniglie e mi dimeno con tutto il corpo come uno sgombro appena pescato. Anche il sadico alla guida della barca se la ride all'idea di farci rischiare l'osso del collo ad ogni sobbalzo e virata repentina. Il giro della morte sembra non dover finire mai: "Ma dove ci sta portando 'sto pazzo?" grida Alex, che dopo mezz'ora di scossoni ha ben poco da ridere. "Boh, da qualche parte dove questa cosa è legale..." urlo per sovrastare il fragore degli spruzzi. "In Albania forse..."
Al termine dello sballottamento a pagamento io e lui arranchiamo più morti che vivi verso l'ombrellone, mentre Betulla si è già lanciata in un'agguerrita sfida a racchettoni con Anny, che perde, anche se dignitosamente, solo perché penalizzata dagli acciacchi dell'età. Io, nominato a mia insaputa arbitro della partita, cerco di leggere La Mandragola, se non fosse che un tizio spalmato sulla sdraio più vicina, non potendo dividere con tutti gli altri bagnanti le cuffie del suo iPod, si premura di cantare a squarciagola tutta la discografia di Vasco Rossi, a cominciare da: "Quanti anni hai, bambina? Quanti me ne dai stasera?" Non so la ragazza della canzone, ma io mi sento a un passo dal pensionamento, visto che devo infilarmi gli occhiali anche solo per seguire i movimenti dell'istruttore di aquagym.
Calate le tenebre i Julie si fanno belli per la vita notturna di Gallipoli, luogo d'incontro di tutti i galletti e le pollastrelle più festaioli del Salento. Prima, però, un salto a casa per una cena leggera (solo un'insalata anni '80 con pollo, speck, cetriolini e maionese) e una doccia, incidenti domestici permettendo: basta tirare troppo forte la tendina, che la sbarra della doccia ti cade sul piede strappandoti un'irripetibile maledizione in grico salentino stretto e costringendoti a improvvisare un'esibizione di pizzica dal dolore. Come se non bastasse, lo sventurato in questione - che sarei io - non riesce a rimetterla al suo posto e si vede obbligato a chiamare Alex. Lui la riaggiusta in un attimo mentre balzello sul piede sano nel tentativo di acciuffare l'asciugamano. "Tranquillo, Raffy, non hai niente che non abbia già visto" mi rassicura. "Sì, giusto..." convengo, "d'altronde, parafrasando Laura Pausini, yo lo tengo como todos..."
Odo scrosci di risate dalla toeletta delle ragazze. "Mi raccomando, non fate come me: tirate la tendina con la massima delicatezza... come se doveste scostare il sottile velo che separa due dimensioni parallele..."
Raggiungere la discoteca, accuratamente selezionata dalla nostra PR, Betulla, si rivela anche questa un'impresa non priva di imprevisti. Dopo giri in tondo e strade chiuse, ci decidiamo a chiedere informazioni a due vigili: "Dovete tornare indietro fino alla rotonda, poi prendere per Lido Conchiglie e proseguire dritto. Vedrete le luci..."
"Sì, è come una cattedrale nel deserto" aggiunge poeticamente il suo collega. "Non potete non vederla."
Per sicurezza, lungo la strada, Betulla chiede conferma a (quelle che scopriamo troppo tardi essere) due squillo. Avremmo dovuto capirlo dal fatto che erano stravaccate su una panchina davanti a un ristorante con i piedi poggiati su di una ringhiera, malgrado la gonna. La prima, con i capelli mesciati di biondo e un forte accento brasiliano, ci liquida subito dicendo di non sapere dov'è, sorridendo amaramente della nostra ingenuità, mentre l'altra ci dà delle vaghe indicazioni.
Finalmente, scorgiamo all'orizzonte la Cattedrale nel Deserto, un'oasi luminosa incastonata nel buio dell'Arizona salentina. Mentre incespica sui tacchi giù per la discesa rocciosa che funge da parcheggio, Betulla, i capelli sempre più rosé, sembra una principessa venusiana su suolo marziano. E sempre più alieno appare ai Julie il mondo intorno a loro una volta varcate le soglie della Cattedrale: delle sirene appollaiate su piattaforme galleggianti nel bel mezzo di una piscina lanciano sguardi ammaliatori da sotto i loro candidi cappucci alla Kylie Minogue, mentre una drag-queen alta due metri misura a grandi falcate la pista da ballo portandosi dietro uno strascico di piume di pavone (ogni deserto, d'altronde, deve avere la sua Priscilla). Da un palcoscenico che spara lingue di fuoco, una tizia sputata Lorena Bianchetti, ma strizzata in un completino di pelle nera da scomunica, canta This is the Rhythm of the Night dando inizio alla serata anni '90. Ci rendiamo conto ben presto che si tratta di una discoteca mista, che accoglie festaioli di ogni gusto, il che è bello e molto moderno ma anche poco pratico se si è in vena di avventure estive. Ovunque incantevoli menadi danzanti e semi-dei abbronzati si contorcono spargendo libagioni di vodka in onore di un Bacco col colbacco, ma tra questi si zampettano anche i soliti personaggi felliniani che costituiscono il piccolo popolo della notte: la tarchiata signora Cotechina, con delle infradito-gioiello a impreziosirle le gambe gonfie come cactus, il nano che si struscia con la biondona nordeuropea, il cannato che si fascia con cura ossessiva un braccio con delle stelle filanti o il gruppetto di cinesi scheletrici armati di ventaglio.
Gli incensieri della Cattedrale nel Deserto sprigionano ondate di nebbia artificiale, che avvolge tutto e tutti, e ogni volta che si dirada nulla sembra più com'era prima. Sorridi ad Anny che balla spensierata e, un attimo dopo, dal fumo bianco emerge una mano ignota che scivola sulla stampa foulard del suo vestito, accarezzandole la schiena. Anny si volta verso di me e Betulla, smarrita, poi i suoi occhi verdi, sgranati dalla sorpresa, inciampano nello sguardo di brace dell'affascinante sconosciuto che la stringe a sé. Lui le balla intorno per un po', giocando delicatamente coi suoi ricci castani, senza smettere di guardarla fisso attraverso gli occhiali neri da finto nerd, mentre in mezzo alla barbetta balugina un sorriso assassino, anche più bianco della camicia che lascia intravedere il petto color caramello. Assistiamo tutti compiaciuti a questo incontro fatale, cercando di leggere il labiale. Anny ha l'espressione piacevolmente incredula di Aurora quando crede di ballare col gufo e gli altri animaletti del bosco e invece si ritrova di punto in bianco tra le braccia del principe dei suoi sogni.
Ma le correnti del dance-floor, è cosa nota, sanno essere molto crudeli e portano via troppo presto l'ambrato seduttore.
Dopo non molto lo vediamo intento a ripetere lo stesso approccio mellifluo con una sciacquetta bionda dalle labbra e gli zigomi chiaramente gonfi di silicone, che io e Betulla fulminiamo all'istante con sguardi stroboscopici. Anny, invece, la prende con filosofia: una vera Julie continua a ballare e a divertirsi anche col cuore infranto.
Con pochi altri eventi degni di nota si conclude questo ritorno musicale agli anni '90, e il fatto che per divertirmi davvero abbia dovuto aspettare di muovermi a ritmo di canzoni vecchie di un decennio dimostra quanto sia fallimentare il mio proposito di iniziare a vivere pienamente la mia giovinezza. La sento costantemente sgusciarmi tra le mani, come questo week-end, giunto troppo presto alla parte dell'"end". Chiuse a fatica le valige e sistemato tutto in macchina, facciamo rotta mogi verso casa. La mia memoria senile, però, ancora una volta ci costringe a una falsa partenza.
"Perché ho l'impressione di aver dimenticato qualcosa?" borbotto, riesaminando i trolley, borsoni e beauty-case che mi seppelliscono.
"Hai spento il gas?" domanda Alex.
"Sì."
"Hai abbassato le tapparelle?" chiede Betulla.
"Sì."
Segue un attimo di silenzio, poi... scoppia il panico: "KEVIN*!!!"

* Il nome è lo stesso del piccolo, negletto protagonista di Mamma ho perso l'aereo, ma chi o che cosa è "il nostro Kevin"? Se indovinate avrete diritto ad entrare nel cast della seconda stagione di Julie Shore!

Illustrazione di Giulia Tomai.

sabato 4 agosto 2012

Rehab in Salento

 Ci sono due modi (più o meno sani) per reagire ad un’apocalittica delusione d’amore: 1. Rimanere a letto per settimane, trangugiando chili di gelato e cantando in preda ai singhiozzi All by myself in stile Bridget Jones, oppure 2.  Darsi alla fuga e partire per un lungo viaggio consolatorio.
Trovandomi in questa malaugurata situazione, ho avuto quanto meno la fortuna di disporre dell’opzione 2 e sono letteralmente schizzato in Salento per una settimana scacciapensieri a base di sule, mare e ientu.
Come compagni di viaggio, ho scelto un’agguerrita squadra di supporto: la mia migliore amica Anny, mia sorella e il mio futuro cognato (perciò cognaturo). La partenza non è stata molto promettente: il tragitto in auto si è trasformato ben presto in un viaggio della speranza, visto che mia sorella ha ritenuto di dover portare il suo intero guardaroba e una rifornimento di vettovaglie sufficiente a mantenerci in vita di qui alla Terza Guerra Mondiale. Insomma, io e Anny ci siamo ritrovati sul sedile posteriore, schiacciati da quintali di pasta, patatine e bottiglie di tè freddo, con un inespugnabile muro di borsoni e valige a dividerci. Eravamo costretti a parlare attraverso una minuscola fessura ricavata tra il suo beauty-case e la borsa porta-scarpe di mia sorella, neanche fossimo Piramo e Tisbe. O i protagonisti di Sepolti in macchina (il nuovo reality di Real Time).
A tutto questo si aggiunge l’incessante vibrare del mio cellulare. Non era chi pensate voi (e chi speravo che fosse): lo stalker era semplicemente mio zio, il Cosmopolita, che ci ha prestato la sua residenza estiva per questa settimana e voleva assicurarsi che conoscessimo a memoria i suoi avvertimenti, le sue regole e le velate minacce. Vi propongo una selezione delle sue innumerevoli raccomandazioni (una telefonata per ognuna):
1. Seguite scrupolosamente il calendario del servizio di raccolta rifiuti (la raccolta differenziata in Salento è una specie di credo religioso, il che è lodevole, ma non ricordo di aver mai provato così tanta ansia e apprensione prima di gettare qualcosa nel bidone dell’immondizia);
2. Se i cani della vicina abbaiano, non lanciate imprecazioni, né maledizioni o anatemi biblici. I cani non le capirebbero, ma la padrona ha le orecchie ben aperte e potrebbe risentirsene;
3. Prendete tutto quello che volete dalla dispensa, ma non toccate nulla che abbia scritte in cinese sulla confezione;
4. Tenete sempre chiusa la porta del giardino, perché è stato recentemente avvistato un topo di grosse dimensioni (ho sperato fino all’ultimo giorno di scovare il nascondiglio della pantegana, da me battezzata “Passeggiatrice”, ma invano);
5. Ho ricavato delle lanterne da giardino da dei vecchi clisteri. Usatele, sono bellissime! (questa evito di commentarla);
6. Se non avete niente di meglio da fare, vi sarei grato se sbrinaste il frigorifero (a questo punto ho pensato: “lo sapevo che c’era la magagna!”)
E infinite altre regole e divieti...
Mi aspettavo anche un “7. L’ala ovest della casa è proibita”.
Dopo due ore di viaggio, con il fondoschiena ormai del tutto necrotico, raggiungiamo finalmente Giuliano (Julie, per gli amici), che no, non è il gatto di Andrea, ma un minuscolo paesino incastonato in un agglomerato di mille altri minuscoli paesini che finiscono quasi tutti in -ano. Mio zio, il Cosmopolita, ci dà il benvenuto ficcandoci del finocchio selvatico in bocca e ci fa fare un tour della casa, uno speziato mix di antiquariato ed esotismo, dal Salotto Vintage, con radio d’epoca e divani damascati rosso sangue e muniti di frange charleston, alla Stanza del Monaco, spartana camera da letto allestita giù in cantina. Io e Anny abbiamo diviso il sontuoso letto a baldacchino di quella che abbiamo ribattezzato la Camera Gotica: oltre al candelabro a bracci e l’immensa volta affrescata, c’era un forziere chiuso a chiave e una porta misteriosa, un po’ come la stanza di Emily nei I misteri di Udolpho.
Vi sfido a indovinare cosa si cela nel forziere e dietro la porta del mistero.
Ma di misteri, in questa settimana di relax, io ed Anny ne abbiamo incontrati molti altri. Per esempio, quello del gabinetto, che emette, di tanto in tanto, un lamento straziante, da far accapponare la pelle: si tratta quasi certamente dello spirito di una fanciulla che si è suicidata dopo la fine di un flirt estivo su cui lei aveva investito troppo.
Il mistero, però, non giace solo nella penombra di antiche dimore salentine, ma serpeggia anche sotto il sole cocente delle spiagge: una mattina, mentre rosolavamo a fuoco lento sui nostri teli mare, io e Anny abbiamo captato l’inquietante conversazione di una coppietta di passaggio:
“Allora, lo facciamo, il loof?” incalza lui,  mettendo una mano sulla spalla unta di crema solare della sua ragazza.
“E facciamo il loof!” risponde lei, sistemandosi il fiocchetto del costume.
Per giorni e giorni ci siamo arrovellati il cervello, chiedendoci cosa mai possa significare “loof” (pr. all’inglese “luf”). Secondo Anny è una pietanza, mentre io sono quasi certo si tratti di un’inconsueta e pericolosa tecnica amatoria.
Malgrado queste angoscianti incognite (molte delle quali rimaste senza risposta), la settimana di villeggiatura è stata soddisfacente: quando io ed Anny non eravamo in spiaggia, impegnati nei nostri programmi di rimorchio selvaggio (“Sì, rimorchio… da dietro” ha commentato Anny, scettica), ho trascorso quasi tutto il mio tempo sull’amaca del giardino di zio Cosmopolita. Dondolando dolcemente a pochi centimetri da terra, come un novello Barone Rampante, ho potuto dedicarmi a tre delle mie attività preferite: leggere, isolarmi dal mondo ed evocare l’elusiva Passeggiatrice (“Passeggiatriceeee… vieni fuori! Dove sei?”).
Vi ho già anticipato che di Passeggiatrice non abbiamo trovato traccia, ma molti altri animali selvatici hanno turbato l’afosa quiete del nostro soggiorno salentino, come nel caso di Bella, la libellula purpurea che ha terrorizzato Anny sin dal nostro arrivo. Oppure Spettro, il ragno curioso che una sera si è calato in stile Mission Impossibl
e dal nostro baldacchino (inizialmente ho cercato di rassicurare Anny, ma poi ho vacillato di fronte alle spropositate dimensioni dell’aracnide e sono dovuto ricorrere all’aiuto di mio cognaturo, onde evitare scene di panico come nella pubblicità di Mentos.)


So che non morivate dalla voglia, ma adesso beccatevi questo mio scatto vagamente osé!
(foto di Anny)

Altra nota stonata è quella delle campane della chiesetta in fondo alla strada, che ci svegliavano ogni mattina con un maledetto e interminabile scampanio che neanche al matrimonio di Cenerentola.
Mettendo da parte misteri, sterili giochi di sguardi sulla spiaggia, animali mitologici e rintocchi festosi alle sette di mattina, la nostra è stata anche una vacanza culturale:  abbiamo visitato la splendida Otranto (che a proposito di romanzi gotici, ne ha ispirato il primo in assoluto: il castello di Otranto di Horace Walpole), con il suo meraviglioso panorama e la suggestiva cattedrale, per non dimenticare poi il castello aragonese, che ospita anche una bellissima mostra di Andy Warhol.
Dopo un lungo pellegrinaggio, abbiamo esplorato anche l’oasi di Porto Selvaggio, definita da alcuni come “la spiaggia più bella di tutte le Puglie”, nonché raccomandata caldamente da riviste autorevoli come Glamour. Una discesa rocciosa ci ha permesso di ammirare la vista mozzafiato della scogliera, del mare cristallino e della fitta foresta di pini d’Aleppo (peccato che anche questa discesa, come molte altre di mia conoscenza, abbia il vizio di trasformarsi in una salita: ho dovuto sfoggiare tutta la mia agilità di capra di montagna).
Né la guida turistica né Glamour, però, fa accenno di un’ectoplasmatica creatura che popola le spiagge di Porto Selvaggio:  la donna più candida che abbia mai visto. Una bagnante francese dalla pelle color bianco ottico, da far male agli occhi. Praticamente un beluga. Un’Estranea uscita da Il Trono di Spade.
Non esagero: non ho mai visto un candore così abbacinante. Ho provato a scattarle un paio di foto da vendere alla Società Internazionale di Criptozoologia, ma il riflesso della luce ha reso inutile ogni tentativo.
Dopo tutte queste meravigliose avventure,  però, il momento del rientro all’ovile è arrivato più in fretta di quanto desiderassi.
Torno a casa con cinquanta sfumature di marrone sulla pelle, la sceneggiatura di una telenovela scritta a quattro mani con Anny (Lecho de rosas, intrighi, crimini e passioni sullo sfondo di una torbida Bogotá), il mio (tanto agognato) braccialetto macramè al polso e il corpo tonificato dall’acquagym.
Sto bene. Per ora.
Ma so che appena avrò varcato la soglia di casa questo spirito di patate svanirà e verrò assalito da due instancabili avversari: Angoscia e Senso di Abbandono.
Ma li prenderò a calci nel sedere. Fosse l’ultima cosa che faccio. Magari a ritmo di pizzica. Il ballo nasce come antidoto al morso della tarantola, ma chissà che non funzioni anche per altri mali...

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