giovedì 26 marzo 2015

Una serie di accademici accadimenti IX - Chiamatemi (un) dottore


Giocare d'anticipo non è mai stato il mio forte. Anzi, di solito avere i minuti i contati è l'unica cosa che mi spinga all'azione. Stranamente, però, i dettagli della mia laurea erano ben chiari nella mia mente sin dall'immatricolazione. Prima di tutto avevo già progettato, sfornato e guarnito la torta con la sac-à-poche della mia immaginazione. Citando me stesso in un post di ben tre anni fa, al "primo piano, color giallo grano, con delicati papaveri rossi e uno zuccheroso Don Chisciotte con la lancia di cioccolato fondente puntata contro giganteschi mulini a vento di marzapane" ho pensato di aggiungere, a rappresentanza della cultura anglofona, un altro complessato letterario, Amleto, con l'immancabile teschio in mano, seduto in malinconica meditazione sulle merlature del secondo piano, modellato a forma di torre. Sin dalle prime bozze il principe shakespeariano indossa una casacca blu, una calzamaglia rosso scuro e un cappello con piuma in tinta, esattamente gli stessi colori che avrei indossato io. Perché blu e rosso scuro è stato il fortunato accostamento che ho scelto per il mio primo esame e che è diventato poi, insieme all'immancabile spilletta porta-fortuna di Topolino, la bicromatica uniforme di tutti quelli a seguire, fino all'ultimo. Non so perché l'università, che dovrebbe aprire e illuminare le menti, in realtà tiri fuori sempre il lato più superstizioso delle persone. Di tutti i rituali magico-sciamanici per ingraziarsi gli astri, però, il migliore resta quello di mia sorella, che ad ogni esame pretendeva di indossare - pena una terribile sciagura - un outfit fresco d'acquisto. Mica scema.
 Avendo selezionato anni prima l'argomento della tesi (i racconti fantastici di Dino Buzzati), ho cominciato al più presto ad avventurarmi nel dedalo delle biblioteche universitarie. Ad un bibliotecario ho dovuto fare lo spelling di "Einaudi", cognome che, se non per il presidente, avrebbe dovuto conoscere anche solo per la casa editrice. Riuscito per miracolo ad ottenere i libri, mi sono appassionato agli studi dei teorici che si sono interessati al tema del fantastico in letteratura, soprattutto Tzvetan Todorov, critico le cui pagine ho compulsato così di frequente da valutare attentamente se era o no il caso di invitarlo ai festeggiamenti. In momenti di delirio ho persino rimodellato la canzoncina de Il mio vicino Totoro col suo nome:
♪ ♫ Todorov, To-do-rov! Todorov, To-do-rov! ♫ 
Ovviamente prima ancora di portare a termine il mio lavoro mi ero già premurato di scegliere la giusta tonalità di rosso per la copertina in pelle, in modo da abbinarla alla mise del gran giorno. Grazie all'aiuto della commessa Marcella ho scelto un bel completo a quadri, naturalmente blu notte e bordeaux, che credo di aver visto indosso anche a quell'icona di stile che è Fabio Fazio (in effetti davanti alla commissione ero teso come se avessi dovuto intervistare Madonna.) "Sembri Battiato! E anche un po' Benigni! Ah, ed Enzo Miccio... e un po' Marco Mengoni!" ha esclamato entusiasticamente mia madre, decisamente maldestra quando si tratta di fare complimenti.
Nel frattempo, nella mia frenesia da sposina maniaca, avevo fatto presente ad amici e parenti che un bel mazzo di fiori non è un omaggio gradito solo alle donne, e ho colto l'occasione di party, ricevimenti e aperitivi per buttare lì con non chalance informazioni di vitale importanza, tipo il mio odio per i girasoli. Immaginando la vostra apprensione al riguardo, vi rassicuro anticipandovi che infatti ho ricevuto solo bellissimi anemoni e amarillidi scarlatte, senza alcuna traccia di quelle ingombranti eclissi floreali che proprio non sopporto!
Avevo opportunamente preventivato anche eventuali indisposizioni o spiacevoli imprevisti estetici come quel maledetto herpes che spunta fuori nottetempo e ti sorprende al risveglio quando ormai non c'è più niente da fare. Così avevo già stabilito tempo addietro di imburrarmi la bocca con una noce di Aciclovir, cosa che ho fatto e che ha spaventato a morte mia sorella al suo rientro a casa alla vigilia dell'evento.
Quello che non avevo previsto, però, è che qualcosa di ben più odioso di un herpes stesse ticchettando nel mio corpo come una bomba ad orologeria. Un destino maligno infatti ha pensato mussolinianamente di "spezzarmi le reni" a poche settimane dalla tanto attesa laurea. Mentre ripetevo in automatico il mio discorsetto in italiano, inglese e spagnolo (sentendomi un capitano di crociera al cocktail di benvenuto), un misterioso doloretto ha cominciato a pulsare all'altezza della vita, come se qualcuno mi avesse spillato il fianco destro con una minuscola, invisibile graffettatrice. In breve tempo quella piccola fitta si è fatta via via più acuta, finché, gettati all'aria gli appunti, ho iniziato a galoppare furiosamente per casa emettendo il bramito del cervo trafitto da una freccia. Nonostante avesse la mia piena autorizzazione, mia madre si è rifiutata di uccidermi e porre fine alla mia sofferenza, e ha continuato a lavare i piatti, sfregandoli con più vigore per via della preoccupazione. Alla fine abbiamo chiamato l'ambulanza, ma anche dopo due flebo di antidolorifici continuavo a rovesciare gli occhi al cielo come un novello San Sebastiano. Dato che normalmente vivo in pigiama e giacca da camera, ero già pronto per il ricovero. Così mi hanno portato in ospedale, dove finalmente i medicinali hanno cominciato a fare effetto, al punto che ero abbastanza lucido da rimpiangere di non aver messo il pigiama blu anziché quello scozzese, che non era affatto abbinato alla giacca. Dopo due o tre diagnosi sbagliate, ho scoperto di avere un minuscolo granello di sabbia incastrato in quella clessidra naturale che è l'apparato urinario umano. Il dottore mi ha spiegato che non bevo abbastanza, che ho avuto una colica renale e che finché il calcolo non sarà espulso potrebbero seguirne altre, senza alcun preavviso. Magari - ho pensato con mio sommo orrore - anche il Giorno della Laurea.
Vi lascio immaginare quale profonda angoscia mi abbia procurato il pensiero di dover giocare una partita a flipper col mio corpo, con una biglia che sbatacchia da una parte all'altra tra i miei organi interni, quando invece avrei dovuto concentrarmi solo sulla tanto sospirata conclusione dei miei accademici affanni.
"E' un dolore terribile, lo so" mi ha confortato il medico, alla mia terza colica in due mesi, a una sola settimana dal giorno X. "Pensa che è paragonato a quello del parto..."
"Ah sì?"
"Almeno potrai dire di aver fatto anche questa esperienza!" ha aggiunto, con una risata. Non l'ho mandato al diavolo solo perché aveva una siringa di antidolorifico in mano. E comunque gli stavo già mostrando il mio sedere.
Non oso immaginare le conclusioni che avranno tratto i nostri vicini quando, all'alba del grande evento, mi hanno udito sbraitare dal bagno, mentre mi sistemavo la cravatta, "Ma', hai messo le siringhe nella borsa?", e lei ha urlato di rimando dal salotto, "Sì! L'ho messa nella busta con la tesi!"
"E l'ovatta e l'alcool?"
"Anche! Ho preso tutto!"
Kit pronto soccorso alla mano, ho raggiunto sano e salvo la facoltà (malgrado, come abbiamo scoperto durante il tragitto, la macchina del capo avesse un buco nella gomma.) Avevo fatto richiesta di un'ambulanza parcheggiata in zona ateneo, per sicurezza, nel caso che un'ennesima colica mi attanagliasse il fianco nel momento meno opportuno, ma non è stato possibile. Così mi sono assicurato di inserire nella lista degli invitati almeno due infermieri e un paramedico di mia conoscenza, pronti a trasportarmi in barella nello studio del mio relatore e rimettermi in sesto con un'iniezione di coraggio e Toradol...
♪ ♫ Toradol, To-ra-dol! Toradol, To-ra-dol! ♫  
Per fortuna, non c'è stato bisogno di interventi d'urgenza: i gemelli, René e Renée, si sono comportati più che bene. Tutto secondo i miei più rosei calcoli.


Tre giorni dopo torno sul luogo del delitto per dare un ultimo addio alla mia tanto vituperata facoltà. Prima di raggiungerla passo davanti alla copisteria universitaria e, attraverso la vetrina, oltre il bancone, Scazia mi rivolge quel suo sguardo scocciato a cui deve il suo nomignolo. In tre anni l'ho vista sorridere solo una volta, quando a darle una mano con le dispense c'era un tizio con i capelli lunghi alla Piero Pelù e un gilet di pelle nera che lasciava scoperti i lombi pallidi. Per poco non copulavano sulla fotocopiatrice. Sembrava uno di quei film americani in cui una giovane barista bionda, bella ma con neanche una briciola di autostima, si mette a flirtare col camionista di passaggio, nella speranza che possa essere un padre migliore per suo figlio di quanto non sia stato il suo ex, il motociclista manesco finito dentro per guida in stato d'ebbrezza.
Pochi passi e scendo la scalinata immersa nella penombra dell'ingresso di Lingue. Appena un triennio fa ero seduto solo soletto su una di quelle sedie da sala d'aspetto ed esorcizzavo la paura scarabocchiando sul mio taccuino caricature di compagni di corso di cui non conoscevo nemmeno il nome. Guardandomi intorno scopro che non è cambiato poi molto, solo che ora la facoltà di Lingue e Letterature Straniere è diventata il Dipartimento di Lettere Lingue Arti Italianistica e Culture Comparate (io ci avrei aggiunto anche qualcos'altro, già che c'erano: che so, Bricolage e Giardinaggio) e le sedie sono quasi tutte divelte (per sedersi bisogna fare il gioco della sedia. Più facile conquistare il Trono di Spade che trovare una superficie integra su cui poggiare le terga a lezione.) Gli altri studenti (ormai ex-colleghi, come li ridefinisco mentalmente, non senza un certo compiacimento) sono però ancora gli stessi volti senza nome. Questo posto rimane un corridoio di anime perdute, un luogo di amicizie occasionali che durano il tempo di un esame (salvo rare eccezioni.) Accanto mi sfreccia una ragazza sempre troppo truccata con cui non sono mai riuscito a prendermi abbastanza confidenza da suggerirle di smetterla di conciarsi come un quadro manierista. Da lontano, vicino al distributore del caffè, riconosco un altro volto familiare, una dal risolino facile con cui ho dato l'ultimo esame, quella lunga ma magica giornata di novembre. Era terrorizzata all'idea di essere "trombata" dalla professoressa (espressione colorita con cui credo intendesse dire "bocciata".) Provo a salutarla, ma guarda altrove. Quel giorno, quello dell'ultimo esame, c'era anche un piccolo James Franco e un altro ragazzo che mostrava una ben meno lusinghiera somiglianza con Alberto Stasi, senza contare la strana tipa bassina dalla pelle diafana, due sottili occhietti da Maneki Neko e un'ostentata ritrosia a parlare dei rapporti amorosi tra docenti, di cui però si vantava di essere ben informata. Poi c'era anche Toro Sedato, una ragazza con un anello al naso, che indossava un chiodo con sopra la sagoma borchiata di un teschio, aveva palpebre pesanti e una voce morbida e rassicurante. Mentre aspettavamo i comodi della professoressa (che sarebbe arrivata con ore di ritardo e i capelli sapientemente acconciati dal coiffeur), avevamo fatto gruppo, pranzato insieme e, rinunciando a un inutile tentativo di ripasso, ammazzato il tempo facendo l'elenco dei nostri hobby e dei segni zodiacali. Lolita - occhi verdi, i capelli e le labbra rosso carminio e la voce roca che risaliva bollente dalla gola come l'acqua dal fondo di una caffettiera - anche lei dei Gemelli, si è subito mostrata un'esperta astrologa. Chissà se alla fine è riuscita a conquistare, ancheggiando nei jeans a vita alta, il suo amato, pallido professore di portoghese, che ha una folta barba ottocentesca e un'aria malinconica: i nuovi Abelardo ed Eloisa, possibilmente senza castrazione e monacazione finale.
Malgrado l'attesa angosciante, serbo il ricordo di quella giornata come una delle più piacevoli trascorse tra quelle quattro mura. Ci siamo lasciati con la promessa di invitarci tutti alle rispettive lauree, cosa che nessuno ha poi fatto. E forse è stato meglio così.


Il cellulare e il bagliore di un celeste polveroso che proviene dalla finestra mi dicono che sono ancora le sei e mezza. So che non riuscirò a riaddormentarmi, così spiego il piumone come un'enorme ala bianca e lascio che i miei piedi nudi atterrino sulla moquette. Mi sento gli occhi doloranti e caldi, come se durante la notte qualcuno abbia usato le mie orbite per poggiarci due tazze di tè bollente. La doccia non lava via quella sgradevole sensazione e mi rivesto con più concentrazione di quanto l'attività richiederebbe di solito: prima i pantaloni rosso scuro, poi la camicia, e sopra il cardigan blu dai bordi rosso scuro. Troppo stanco per cercare il calzante, mi infilo a fatica un paio di Oxford blu e mi strozzo il collo del piede coi lacci rosso scuro. Come ultima cosa prima di lasciare la stanza, guardo il mio riflesso sullo specchio che mi appunta al petto la spilletta di Topolino,
I tavoli della colazione sono tutti vuoti, eccetto che per un trio di senegalesi. Uno è vestito con una lunga, stereotipica tunica a fantasia giraffa e ascolta da una radiolina una musica tutta percussioni. Accanto a lui, un ragazzo alto mi osserva mentre torno dal buffet col piatto pieno di toast al prosciutto. "Monsieur" attrae poco dopo la mia attenzione, avvicinandosi. Non parla italiano, ma capisco che vuole farmi i complimenti per il look. "Ah, grazie! Merci..." rispondo timidamente, facendomi quasi andare di traverso il caffè. Lo ritrovo poi davanti alla reception e, senza dirmi una parola, mi lascia sorridente il suo biglietto da visita, da cui leggo che si chiama Ahmeth e che è un cantante specializzato in cover di Michael Jackson tradotte in senegalese.
Rassicurato sull'abbigliamento, mi avventuro all'esterno e attraverso il Ponte Mosca, magicamente avvolto da una nebbiolina argentea. E' così che mi figuro le mie sinapsi arrugginite. La Scuola appare prima di quanto mi aspettassi: coi suoi mattoni rossi e l'orologio sembra una vecchia stazione, larga, ben assisa al capezzale della Dora. Davanti, la mongolfiera bianca mi ricorda quella che sorvola il mio paesello la notte del santo patrono. Nella borsa sbatacchiano dei grissini che hanno il sapore e la consistenza di taralli (o dei taralli a forma di grissino), uno snack che, sintetizzando la tradizione piemontese e quella pugliese, spero mi sia di buon auspicio. Nella stessa tasca ci sono anche le gocce di antidolorifico, nel caso un'altra freccia dovesse trapassarmi il fianco.
Passo oltre la Scuola, che malgrado il cancello aperto mi sembra inaccessibile, e ciondolo un po' per la strada incurvata, un ritaglio di provincia in quella grande città. Stamattina è ingombra di bancarelle di antiquariato. Nel giro di pochi minuti, mi travolgono almeno due cagnoni bianchi, due giganteschi licantropi albini, trascinandosi dietro i poveri padroni. Sbriciolo ancora qualche minuto inseguendo il Topolino ricamato sull'enorme zaino di un turista dall'aria teutonica, con la barba candida del nonno di Heidi. Sugli usci di bar e negozi di cimeli chiacchierano energicamente capannelli di anziani, tra cui uno con un impermeabile-mantello e una ragnatela di lana adagiata sulla pelata. Sembra Diagon Alley.
Con mezz'ora d'anticipo ritorno davanti alla Scuola, e mi metto a fissare col naso all'insù il drago di bronzo sopra l'arco dell'ingresso. Non è Hogwarts, ma l'ispirazione sembra quella.
Emetto un sospiro, il primo di una lunga serie, quel giorno, e mi decido ad entrare.
Una gentile Bianca Balti in versione intellettuale fa accomodare me e altre giovani facce portatrici di sorrisetti nervosi in una stanza foderata di legno chiaro. L'ambiente ricorda una sauna finlandese, e in effetti si suda, ma per la difficoltà dei test a cui siamo sottoposti, tra scrittura creativa, cinema, televisione, giornalismo, serie tv e comunicazioni web.
Sei, estenuanti ore dopo seguiamo Bianca nel tour dell'istituto, lungo corridoi tinti a colori vivaci in cui mi chiedo se potrò tornare. Gli studenti ci guardano con divertita curiosità, totalmente a loro agio, e mi chiedo se potrò sentirmi così anch'io. In biblioteca noto con entusiasmo infantile uno splendido samovar a fiori, e mi chiedo se potrò spillarci una tazza di tè.
"In bocca al lupo a tutti, allora" ci saluta la nostra guida. "Spero di ritrovarvi presto qui alla Holden!"
Contro ogni mia previsione, ci tornerò da studente.

Una serie di accademici accadimenti:
Episodio I - Stranieri e strani estranei
Episodio II - Grandi speranze
Episodio III - Legami chimici
Episodio IV - Studenti esasperati
Episodio V - In balìa della balia
Episodio VI - C'era una svolta
Episodio VII - Volver
Episodio VIII - Senza vergogna
Episodio IX - Chiamatemi (un) dottore

12 commenti:

  1. Yeahhh Raffy! Che divertente!
    E ai tuoi dubbi esistenziali circa la scelta del college non hai accennato? ahaha ��

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    1. Ahahh no bobo, ho preferito tralsciare i dettagli più penosi! :D

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  2. Ahahah povero! Congratulazioni per il traguardo raggiunto e spero di leggere presto la nuova serie di accademici accadimenti visto che se ho capito bene ti sei riscritto all'università:)

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    1. Ahaha grazie mille! :) comunque forse avrei dovuto spiegare meglio. Mi sono iscritto alla Holden, una scuola di scrittura creativa (e sceneggiatura e giornalismo ecc..) a Torino.

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  3. Raffyy complimenti! Che il futuro sia rose.... no,no, che il tuo futuro sia rosso e blu!!! O bordeaux e blu! O qualsiasi abbinamento simile tu voglia fare giocando con le varie tonalità :*
    E per ogni evenienza, ricordati che l'acqua Fiuggi è tua amica (lo dico per i calcoli) :)

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    1. Grazie mille carissima! :D Citando Rocco, le ho provate di tutti i tipi... Le acque minerali, intendo ;)

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  4. Raffy!!!!!!!!! Oddio, quando ho letto "Ponte Mosca" mi si sono rizzati i capelli in testa! Cioè....CIOÈ: non ci credo!!! Spero davvero possa essere un nuovo inizio alla Holden. Dai, faccio il tifo per te che neanche una quindicenne esagitata al concerto degli One direction! ( e si era capito dai "cioè" in effetti...)

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    1. Ah ahahahah cioè grazie!!! *-* giuro che se fossi uno degli One Direction ti farei salire sul palco!

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  5. ciao Raffy, ti seguo da più di due anni ormai, sino ad ora non ho mai pensato di volere o avere il diritto di commentare i tuoi fantastici post, eppure adesso penso siano dovuti i complimenti. Ti faccio i miei augri più grandi, quelli più grandi che tu possa immaginare, perché te ne meriti tante di soddisfazioni come questa qua sopra e perché soprattutto non vedo l'ora di leggere la prossima puntata di questi amabili, accademici accadimenti -un lettore

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  6. Grazie mille! Ma perché non avresti dovuto avere diritto di commentare? Mi piacerebbe anche sapere chi sei, anche se ho qualche sospetto. In ogni caso ti ringrazio davvero tanto! :)

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  7. Che dire Raffy... per altre vie, ti "conosco" da quando eri poco più che un "fanciullo" che mi ha colpita immediatamente col suo freschissimo e originale modo di scrivere quindi leggere della tua laurea mi ha commosso un bel po' :,)
    Complimentissimi per questo traguardo! Poi travagliato fino alla fine con i problemi di salute che si sono messi pure di mezzo... sei il mio eroe! :D Sono sicura che tu sia stato grandioso e non posso fare altro che augurarti un luminoso futuro pieno di altri splendidi traguardi e soddisfazioni perché te le meriti tutte! :)
    (La torta -ovvero, il suo progetto :P - me la ricordavo dal tuo vecchio post! Coerente fino alla fine, bravo! *-*)
    Un bacione grandissimo, rigorosamente con schiocco, e in bocca al lupo per la tua nuova avventura! :* (scrittura creativa... farai faville! *-*)

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    1. Grazie mille mia cara! *___* E' vero, tu mi hai seguito sin dall'inizio e ti ringrazio tantissimo! Ricambio raddoppiandoli i tuoi luminosi auguri! :* Un bacio lungo quanto gli anni che ci scriviamo :*

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